di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 20 agosto 2010 (ZENIT.org).-“Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino per Gerusalemme. Un tale gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” Disse loro: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e sederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi” (Lc 13,22-30)
“Fratelli…è per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati” (Eb 12,7.11).
Nel Vangelo di oggi, il volto misericordioso del Padre che Luca si compiace spesso di mostrare nelle opere e nelle parole di Gesù, sembra assumere un aspetto severo: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!” (Lc 13,27). Ma noi sappiamo, anche dagli altri evangelisti, che Gesù ha sempre accolto gli “operatori di ingiustizia”, come Zaccheo capo dei pubblicani (Lc 19,1-10); Matteo esattore delle tasse (Mt 9,9-13); e l’adultera (Gv 8,1-11). Ognuno di noi, poi, si trova nel numero di quegli “ingiusti” che confidano nella continua misericordia di Colui che non è venuto per giudicare, ma per salvare i peccatori.
Qual è dunque il senso del duro discorso fatto oggi da Gesù, e a quali “operatori di ingiustizia” si riferisce? Inoltre: chi rappresenta questo “tale”, suo interlocutore?
Per rispondere, anzitutto vediamo che cosa può aver mosso quest’ultimo a chiedere: “Signore, sono pochi coloro che si salvano?” (Lc 13,23).
Sono possibili due opposti moventi. Il primo, forse più comune, è paragonabile all’interesse di uno studente negligente che cerca di informarsi: “sono pochi quelli che passano l’esame?”. Egli sa di essere impreparato, ma spera nella bontà del professore, o nella fortuna. Il secondo caso è quello di uno studente che ha studiato, ma essendo di temperamento ansioso, teme quella severità del professore di fronte alla quale facilmente si arresterebbe.
Gesù sapeva sempre quello che c’era nel cuore di coloro che lo interrogavano (Gv 2,24-25), e verosimilmente vede oggi che il suo interlocutore non è in buona fede, che vuole calcolare il costo della salvezza anziché accoglierne umilmente il dono.
Questo tale è il rappresentante di tutti coloro che “giocano al risparmio”, e non comprendono che la salvezza non consiste nel non essere eliminati nelle qualificazioni, ma è puro dono da accogliere seguendo l’unico vincitore, Gesù: “Una cosa sola ti manca: – dice Gesù al giovane ricco – va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” (Mc 10,21).
Sappiamo che nel commentare il rifiuto di costui, Gesù prospetta a chi vuole seguirlo una porta tanto stretta da sembrare assurda: “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio” (10,25), e tuttavia ne apre contemporaneamente un’altra che impedisce a chiunque di sentirsi escluso: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio” (10,27).
Il senso, allora, della risposta del Signore al “tale” di oggi, può essere questo: quelli che si salvano sono coloro che hanno capito che diventare come bambini (via obbligata per entrare nel regno di Dio) è una porta tanto stretta per l’orgoglio della nostra natura da risultare invalicabile; eppure essa è nello stesso tempo tanto conforme alla nostra condizione di figli di Dio, da essere imprescindibile per avere accesso al suo e nostro regno. Come fare allora?
Ecco. Se il piccolissimo bambino appena concepito si rendesse conto che nove mesi dopo, divenuto un bambino enormemente più grande, dovrà uscire alla luce attraverso quel grembo strettissimo in cui arriverà tra una settimana, vedendosi nella situazione impossibile del cammello e dell’ago non potrebbe pensare ad alcuna possibilità di uscita alla luce diversa dal taglio cesareo. Egli non sa che Dio andrà modificando il grembo materno in modo da consentirgli quel passaggio impossibile che non può intravedere ora, non senza il gran travaglio che sperimenterà a suo tempo assieme a sua madre.
Così Dio si comporta con ognuno di noi quando permette che ci veniamo a trovare nel buio di una prova apparentemente superiore alle nostre forze. Egli risolverà ogni cosa a suo tempo; ha solo bisogno della nostra totale fiducia ed abbandono al suo amore di Padre, fondato unicamente sulla sua Parola.
L’autore della Lettera agli Ebrei oggi ci avverte: “è per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli” (Eb 12,7). Di quale correzione si tratta? Della purificazione da tutto ciò che impedisce al nostro cuore di avere e mantenere l’atteggiamento di abbandono e di fiducia totale dei bambini: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.(…) Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,25-30).
Dio vuole ricolmarci della sua grazia e della sua gioia facendoci partecipi del suo regno d’amore fin dal grembo oscuro di questa vita terrena. Glielo impedisce quel peccato originale di orgoglio e disobbedienza che ereditiamo dalla natura umana fin dal concepimento. Per questo la sua Misericordia “corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio” (Eb 12,6). Infatti, se c’è una cosa che mortifica l’umana superbia è la sofferenza, la quale ci umilia nel corpo, nella mente, nel cuore e nello spirito, costringendoci a dipendere dagli altri e ad accettare con fede le misteriose vie di Dio. Certo, “sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati” (Eb 12,11).
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.