di Chiara Santomiero
ROMA, mercoledì, 1° dicembre 2010 (ZENIT.org).- Oriente e Occidente, la tradizione della romanità cattolica e quella della cristianità bizantina sulla quale s’innesta poi l’Islam: sono questi i due mondi che si sono contrapposti nella storia e continuano ancora oggi a confrontarsi.
Se ne è parlato nella Giornata di studio “L’incontro tra due mondi” organizzata dalla Comunità di S. Egidio in occasione del 50° anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Turchia e svoltasi mercoledì 1° dicembre a Roma.
“Sulla bipolarità Oriente e Occidente – ha affermato Andrea Riccardi, docente presso l’Università di Roma tre – si è impostato il secolare conflitto di religione, tra cristianesimo occidentale, in larga parte identificato con la Chiesa di Roma e l’islam di cui l’impero ottomano con il sultano-califfo è espressione prioritaria e forte”.
Una realtà e un mito
Una “realtà e allo stesso tempo un mito ricorrente”. Un archetipo, però, da non sottovalutare considerato che è “lo stesso su cui ha giocato il terrorismo globale di Al Qaeda – ha ricordato Riccardi – proclamandosi punto di riferimento nella lotta contro l’Occidente, con la volontà di coagulare dietro a sè tutti i musulmani” e un archetipo che “per la sua forza semplificatrice attrae le opinioni pubbliche confuse in un mondo troppo complicato”.
Va sottolineato, tuttavia, che oltre agli aspetti conflittuali e bellici di questa bipolarità, “molti furono gli incroci, gli incontri, gli scambi e le sovrapposizioni nelle relazioni tra impero ottomano e Europa, tra questo e la Chiesa cattolica”.
Oriente e Occidente, infatti, non sono “due mondi chiusi e monoliti, ma tante diversità e tanti mondi insieme”. Soprattutto l’Oriente ottomano non è mai monolitico: “il pluralismo ottomano – ha notato Riccardi – resta un fatto occultato dalla storia che, nonostante i limiti, rappresenta una reale convivenza tra mondi religiosi e etnici diversi in stagioni in cui in Europa non c’era spazio o molto poco per chi non fosse cristiano”.
Il metodo Roncalli
Una “società del convivere insieme tra diversi” ancora visibile nella repubblica laica di Kemal Ataturk e apprezzata da Papa Giovanni XXIII che fu nunzio apostolico in Turchia dal 1935 al 1944.
In controtendenza rispetto a buona parte dei cattolici i quali “temono la laicizzazione dello Stato e il nazionalismo turco – ha ricordato Valeria Martano della Comunità di S. Egidio che ha curato la pubblicazione dei diari di Giovanni XXIII -, Roncalli, che ne comprende le ragioni storiche, prova simpatia per il desiderio del popolo turco di emanciparsi”.
La “bussola spirituale della simpatia” non è ingenuità ma comprensione profonda e si traduce in scelte importanti come “l’introduzione, fin dal 1935, della lingua turca nelle comunicazioni pubbliche della diocesi e nella liturgia”.
Quando la legge che proibisce l’uso degli abiti religiosi in pubblico, “getta nello sconforto la comunità cattolica, Roncalli si adegua di buon grado e annota che il divieto favorisce i contatti con i capi religiosi ortodossi e musulmani così che ‘se il diavolo ha suggerito questa norma si è trovato servito e canzonato’”. Sebbene non sia ignaro delle difficoltà della nuova contingenza storica, ne vede anche le chances e invita a guardare “all’avvenire piuttosto che al passato o al presente”.
Un’amicizia quella tra Roncalli e il popolo turco – il quale, scriveva il futuro Papa “ha il suo posto preparato nel cammino della civilizzazione” -, che porterà nel 1960 all’instaurarsi delle relazioni diplomatiche tra Turchia e Santa Sede. Frutto di una diplomazia della “pazienza e del buon garbo” che, scriveva Roncalli “sono le due cose importanti che il Signore ci chiede in pratica”.
Del “metodo Roncalli” ha parlato anche Rinaldo Marmara, studioso di storia oltre che direttore della Caritas turca, per il quale il futuro Giovanni XXIII “creò nei dieci anni della sua permanenza in Turchia buone relazioni con istituzioni turche e un’atmosfera di confidenza che resta ancora oggi un’esempio per il ruolo della Chiesa”.
Riportando delle espressioni di mons. Luigi Padovese, successore di Roncalli in Anatolia, Marmara ha sottolineato come “al di là del bene prodotto alla chiesa in Turchia, il soggiorno del futuro Papa in questa terra è servito soprattutto alla Chiesa universale, per l’esperienza di uomini e realtà che egli fece e che poi influenzarono le sue scelte da Papa”.
Nè il ponte diplomatico stabilito con la Turchia rimase una formalità: “tre Papi – ha sottolineato Riccardi – hanno visitato la Turchia: Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI” anche se “il fuoco dei loro viaggi era l’incontro ecumenico con il patriarca di istanbul”.
Abbiamo la capacità di vivere insieme?
“Non esistono più mondi omogenei”, ha affermato Riccardi. Se Istanbul non lo è mai stata, non lo è nemmeno Roma “dove abita una vasta comunità musulmana e una cristiana ortodossa accanto agli ebrei e alla maggioranza cattolica”. La domanda da porsi è allora, secondo Riccardi “abbiamo la capacità di vivere insieme, nello spirito dell’incontro di Assisi voluto da Giovanni Paolo II nel 1986?”.
“Le ultime parole di Maometto ai suoi discepoli – ha affermato Bekir Karliga, presidente del Comitato nazionale di coordinamento per l’alleanza delle civiltà – sono state ‘non fate violenza contro coloro che non sono musulmani’”.
La Turchia “è crocevia di religioni diverse, siamo padroni di casa di 22 civiltà e di 20 etnie che durante l’impero ottomano hanno convissuto in pace e la base di questo successo è stato il concetto islamico di tolleranza”. Occorre “raccogliere questa eredità nel mondo moderno” e un esempio in questa prospettiva è proprio “il progetto per l’alleanza delle religioni e delle culture promosso congiuntamente dai premier Erdogan e Zapatero”.
“Adesso – ha concluso Karliga – abbiamo l’opportunità di porre in rilievo i valori universali della cultura e dell’uomo collaborando per realizzarli tutti insieme”. “Ogni civiltà – ha affermato Kenan Gürsoy , ambasciatore della Turchia presso la Santa Sede – porta in sè un messaggio di pace per l’altro: cerchiamo di riconsiderare le nostre civiltà e culture da questo punto di vista, come promessa per l’altro”.
“Viviamo – ha aggiunto Gürsoy – un autentico passaggio della storia in cui siamo obbligati a conoscere l’altro e nell’altro riconoscere noi stessi”. La diversità non è necessariamente occasione di conflitto, ma come afferma un versetto coranico “da un solo padre e da una sola madre vi abbiano creati diversamente perchè vi amaste”. “In questa armonia – ha concluso l’ambasciatore turco presso la Santa Sede – l’umanità intera si realizzerà completamente, attingendo dai valori di ogni civiltà e credo religioso”.