Un lontano concilio, il Concilio di Nicea II nel 787, ha definito la correttezza dell’uso delle immagini in Chiesa, ponendo autorevolmente fine alle tentazioni iconoclaste. Eppure nella nostra contemporaneità, dominata dall’uso ossessivo di ciò che si vede, le chiese vengono sovente progettate e realizzate con un atteggiamento che se osservato più da vicino, appare nuovamente iconoclasta: le pareti sono nude, non ci sono immagini, tutt’al più elementi simbolici stilizzati, che applicano linguaggi mutuati da esperienze artistiche lontane dal cristianesimo, se non addirittura avverse ad esso.
Occorre allora ripercorrere l’antica strada della legittimazione delle immagini. Partiamo proprio dal Concilio di Nicea II, analizzandone le precise indicazioni: «noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie». Le immagini sacre vengono poste sullo stesso piano della raffigurazione della croce, e a somiglianza della croce devono essere esposte in ogni luogo: nel contesto della liturgia, nei luoghi sacri, ma anche nella vita quotidiana, nei luoghi privati quali le case, e nei luoghi pubblici quali le vie. L’universalità del messaggio cristiano indica la misura dei luoghi in cui esporre le immagini, ovvero tutti i luoghi. Le immagini sacre devono inoltre essere presenti negli arredi sacri ed anche sui paramenti. Non viene precisata la tecnica, infatti le immagini possono essere dipinte, a mosaico, o in qualsiasi altra tecnica opportuna, ma viene precisato il soggetto: «siano esse l’immagine del signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell’Immacolata Signora nostra, la Santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti». Dunque si tratta chiaramente di immagini che rappresentino prioritariamente Gesù Cristo, la cui incarnazione è il principio fondante dell’arte sacra figurativa, ed anche la Madre del Signore, gli angeli, i santi ed i giusti, ovvero tutta il corpo della Chiesa, il suo mistero e la sua storia.
Il Concilio precisa poi i motivi e le finalità delle immagini sacre: «Infatti, quanto più prudentemente queste immagini vengono contemplate, tanto più quelli che le contemplano sono portati al ricordo e al desiderio dei modelli originali e a tributare loro, baciandole, rispetto e venerazione». La contemplazione delle immagini induce al ricordo e al desiderio dei soggetti rappresentati; si tratta dunque di una dinamica conoscitiva e affettiva, che parte dall’immagine rappresentata ma termina nel soggetto reale; è analoga, potremmo dire, alla funzione che hanno le fotografie dei nostri cari, che ci ricordano le persone amate. Tenere vivo il ricordo e il desiderio costituisce un importante cura della propria fede, la coltivazione della propria vita spirituale.
Si tratta di un rapporto non idolatrico, perché il termine dell’adorazione non è appunto l’immagine, ma il soggetto rappresentato. Infatti, il Concilio ha cura di prevenire e di arginare gli eccessi che erano stati presenti nell’Oriente cristiano, e che avevano anche indotto, per contrasto, la reazione iconoclasta. «Non si tratta, certo, di una vera adorazione (latria), riservata dalla nostra fede solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende alla immagine della croce preziosa e vivificante, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l’offerta di incenso e di lumi secondo il pio uso degli antichi. L’onore reso all’immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto.» Si tratta dunque di un onore reso alla realtà e non alla rappresentazione, ma tramite il culto reso all’immagine si alimenta e si esprime l’adorazione verso Dio, l’unico degno di essere adorato. Notiamo che il corretto parametro del culto dell’immagine è costituito dal culto della croce, preziosa e vivificante, e posto in analogia al culto che si dà al Vangelo, che ovviamente non significa adorazione del libro ma della Parola di Dio.
Il Concilio sottolinea che il culto delle immagini fa parte della tradizione della Chiesa: «Così si rafforza l’insegnamento dei nostri santi padri, ossia la tradizione della chiesa universale, che ha ricevuto il Vangelo da un confine all’altro della terra. Così diventiamo seguaci di Paolo, che ha parlato in Cristo, del divino collegio apostolico, e dei santi dei padri, tenendo fede alle tradizioni che abbiamo ricevuto. Così possiamo cantare alla chiesa gli inni trionfali alla maniera del profeta: “Rallegrati, figlia di Sion, esulta figlia di Gerusalemme; godi e gioisci, con tutto il cuore; il Signore ha tolto di mezzo a te le iniquità dei tuoi avversari, sei stata liberata dalle mani dei tuoi nemici. Dio, il tuo re, è in mezzo a te; non sarai più oppressa dal male». Il culto delle immagini si legittima nell’insegnamento apostolico, nella tradizione della Chiesa universale. Non solo ma viene poi precisato che «ciò che è stato affidato alla chiesa» è «il vangelo, la raffigurazione della croce, immagini dipinte o le sante reliquie dei martiri»; dunque le immagini dipinte fanno parte del deposito della Fede, di ciò che è stato “affidato” alla Chiesa, sfuggendo dunque all’arbitrio degli uomini: nessuno può decidere che si può fare a meno del culto delle immagini.
La tradizione del culto delle immagini è ininterrotta nella Chiesa cattolica che anzi trova in questa pratica un segno di distinzione dalle tendenze iconoclaste proprie di molte correnti protestanti. Il Concilio Vaticano II si pone in continuità con la tradizione e nella Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium afferma: «Si mantenga l’uso di esporre nelle chiese alla venerazione dei fedeli le immagini sacre». Analogamente al Concilio di Nicea, precisa che la devozione deve essere corretta, e soprattutto che il sentimento da suscitare non è l’ammirazione verso l’immagine, ma la venerazione dei soggetti rappresentati: «si impongano in numero moderato e nell’ordine dovuto per non destare ammirazione nei fedeli e per non indulgere a una devozione non del tutto corretta».
Forse una delle riflessioni più chiare e profonde sull’uso delle immagini sacre, è fornita dalla introduzione al Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (20 marzo 2005): «Esse [le immagini] provengono dal ricchissimo patrimonio dell’iconografia cristiana. Dalla secolare tradizione conciliare apprendiamo che anche l’immagine è predicazione evangelica. Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. È un indizio questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico» ( n. 5, corsivi aggiunti).
L’immagine nei secoli è riuscita a trasmettere i fatti salienti del mistero della salvezza, e tanto più oggi, nella civiltà dell’immagine, deve saper recuperare la propria fondamentale importanza, in quanto l’immagine esprime più delle stesse parole, in un dinamismo di comunicazione e trasmissione della Buona Novella.
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* Rodolfo Papa è storico dell’arte, docente di storia delle teorie estetiche presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana, Roma; presidente della Accademia Urbana delle Arti. Pittore, membro ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi
al Pantheon. Autore di cicli pittorici di arte sacra in diverse basiliche e cattedrali. Si interessa di questioni iconologiche relative all’arte rinascimentale e barocca, su cui ha scritto monografie e saggi; specialista di Leonardo e Caravaggio, collabora con numerose riviste; tiene dal 2000 una rubrica settimanale di storia dell’arte cristiana alla Radio Vaticana.