I fatti di Fukushima riorientano il dibattito energetico

Il pensiero filosofico del movimento anti-nucleare in Germania 

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di Paul De Maeyer
 

ROMA, giovedì, 7 aprile 2011 (ZENIT.org).- I tecnici o “eroi” di Fukushima sono riusciti a tamponare la falla del reattore no. 2 della centrale nucleare giapponese rimasta gravemente danneggiata dal terremoto e dal successivo maremoto o “tsunami” dell’11 marzo scorso, che hanno provocato quasi 30.000 tra morti e dispersi e distrutto interi villaggi e cittadine. Lo ha annunciato mercoledì 6 aprile la Tokyo Electric Power Company (TEPCO), cioè la società che gestisce lo sciagurato impianto situato 250 km a nordest della capitale Tokyo, sulla costa Pacifica della grande isola di Honshu.

Il collasso della centrale, che ha richiamato alla mente il disastro nucleare di Chernobyl (26 aprile del 1986), ha riacceso in quasi tutto il mondo un dibattito emotivo sull’energia nucleare. “È bastato – osserva in un recente editoriale per ‘Octava Dies’ il portavoce della Santa Sede, il gesuita Federico Lombardi – che una delle oltre 50 centrali nucleari giapponesi fosse seriamente danneggiata dal terremoto per originare una nuova ondata, questa volta di paura per un’altra insidiosa fonte di morte”.

Mentre in Italia la vicenda di Fukushima mette in discussione il piano di un rilancio del nucleare, in Germania ha pesato fortemente sull’esito delle elezioni regionali che si sono svolte domenica 27 marzo scorso in due “Länder”. Nel ricco Baden-Württemberg – la regione di industrie famose come Bosch, Carl Zeiss, Daimler e Porsche, da oltre mezzo secolo governata dal centro-destra – ha vinto infatti per la prima volta il partito ambientalista dei Verdi (Die Grünen), il cui cavallo di battaglia è proprio l’uscita o “Ausstieg” dall’atomica.

Il Paese vanta una lunga tradizione “Anti-Atom”. Organizzata ancora prima dello tsunami e degli eventi di Fukushima, circa 60.000 manifestanti tedeschi hanno formato sabato 12 marzo proprio nel Baden-Württemberg una catena umana lunga 45 km dalla centrale di Neckarwestheim fino al centro del capoluogo del Land, Stoccarda, per protestare contro la mancata “Abschaltung” del vecchio impianto. La disattivazione della centrale era prevista per il 2010, ma l’attività è stata prorogata, una decisione sostenuta dall’ormai ex presidente della regione, Stefan Mappus, della CDU della cancelliera Angela Merkel.

Come osserva Stefan Rehder sul Tagespost (4 aprile), il forte sentimento anti-nucleare in Germania non è dovuto ad una sorta di cecità anti-tecnologica e nemmeno è una reazione puramente emotiva. Ha infatti una solida base filosofica, con principi etici radicati nella tradizione giudeo-cristiana. Uno dei filosofi che hanno modellato il pensiero degli “Atomgegner” tedeschi è Hans Jonas (1903–1993), che ha dedicato una parte della sua riflessione proprio a ciò che chiamò la “Großtechnik” (Grande Tecnica o Tecnologia), le cui benedizioni racchiudono in sé anche la minaccia di future maledizioni.

Come ricorda Rehder, per Jonas il “reattore pacifico” non è semplicemente “il buon fratello Abele” del “cattivo fratello Caino”. Anche se non si verifica un cosiddetto “GAU” (acronimo tedesco di “größter anzunehmender Unfall”, cioè “il peggior incidente (nucleare) possibile”), comunque l’atomica ad uso civile inquina: le scorie radioattive continuano a contaminare l’ambiente per migliaia di anni, compromettendo lo spazio vitale delle future generazioni. Jonas ha introdotto nella sua etica d’altronde un nuovo “imperativo categorico”. “Agisci in modo che gli effetti delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di vita autenticamente umana sulla terra”, comanda il suo imperativo “ecologico”.

Un secondo filosofo che ha gettato i fondamenti del movimento anti-nucleare è Günther Anders (pseudonimo di Günther Stern). Nato nel 1902 nell’attuale Wrocław (in Polonia) e morto nel 1992 a Vienna (Austria), Anders, che accetta anche la resistenza non pacifica nella lotta contro il nucleare, ha coniato quasi subito dopo la Seconda Guerra Mondiale la formula “Hiroshima è dappertutto” (diventata poi “Chernobyl è dappertutto” e oggi “Fukushima è dappertutto”).

Una delle critiche rivolte da Anders al nucleare è la “transnazionalità” dell’inquinamento che provoca. “Le nubi radioattive non badano alle pietre miliari, ai confini nazionali o alle cortine”, scrisse il filosofo nelle sue “Tesi sull’età atomica”. “Se non vogliamo restare moralmente indietro agli effetti dei nostri prodotti (…), dobbiamo fare in modo che l’orizzonte di ciò che ci riguarda, e cioè l’orizzonte della nostra responsabilità, coincida con l’orizzonte entro il quale possiamo colpire o essere colpiti; e cioè che diventi anch’esso globale. Non ci sono più solo ‘vicini'”.

Per Anders, questa responsabiltà “transnazionale” si estende anche nel tempo, diventando “transgenerazionale”. “Poiché le nostre azioni odierne, per esempio le esplosioni sperimentali, toccano le generazioni venture, anch’esse rientrano nell’ambito del nostro presente”, spiegò l’autore. “Tutto ciò che è ‘venturo’ è già qui, presso di noi, poiché dipende da noi. C’è, oggi, una ‘internazionale tra le generazioni’, a cui appartengono già anche i nostri nipoti. Sono i nostri vicini nel tempo”.

Queste parole richiamano alla mente il pensiero formulato da Papa Benedetto XVI nella sua enciclica “Caritas in veritate” e ripreso nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010, intitolato “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”. “Lo sviluppo umano integrale è strettamente collegato ai doveri derivanti dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale, considerato come un dono di Dio a tutti, il cui uso comporta una comune responsabilità verso l’umanità intera, in special modo verso i poveri e le generazioni future”, così ribadisce il Pontefice. Per Joseph Ratzinger, che ritiene la “solidarietà universale” un “dovere”, è urgente “la conquista di una leale solidarietà inter-generazionale”, perché “i costi derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni non possono essere a carico delle generazioni future”.

Proprio in campo energetico, Benedetto XVI sottolinea la necessità di individuare “strategie condivise e sostenibili per soddisfare i bisogni di energia della presente generazione e di quelle future”. Per il Pontefice, questa necessità richiede un ripensamento del nostro stile di vita. “È necessario – così continua – che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti improntati alla sobrietà, diminuendo il proprio fabbisogno di energia e migliorando le condizioni del suo utilizzo”. Per questo motivo, il Papa auspica “l’adozione di un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisione del bene comune, sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può accadere domani”.

Benedetto XVI mette in guardia d’altronde contro lo sfruttamento troppo intenso delle risorse. “L’attuale ritmo di sfruttamento mette seriamente in pericolo la disponibilità di alcune risorse naturali non solo per la generazione presente, ma soprattutto per quelle future”, così scrive. E questo vale anche per l’atomica. Non va dimenticato infatti che l’uranio è un materiale destinato ad esaurirsi e che ha anche altre applicazioni, ad esempio nella medicina nucleare. Secondo le stime dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA in acronimo inglese), ai ritmi di consumo del 2008 le attuali riserve di uranio (cioè quelle finora identificate) sono sufficienti per almeno un secolo (IAEA Press Releases, 20 luglio 2010).

Per molti, dopo Fukushima la questione non è più il “se” ma il “come” dell’uscita. Tutti concordano però che il ripensamento sul nucleare avrà un suo prezzo (non dimentichiamo ad esempio che smantellare una centrale nucleare ha un costo elevato) e complicherà inoltre la realizzazione a livello europeo della “Roadmap 2050”, che per diminuire dell’80% le emissioni
di CO2 o anidride carbonica entro il 2050 taglia il ricorso ai combustibili fossili e mira ad un mix di fonti rinnovabili, ma riserva nei suoi vari scenari comunque un ruolo all’energia atomica. Lo tsunami dell’11 marzo ha cambiato però le carte in tavola e ha forse persino allontanato il sogno dell’auto elettrica. Come osserva La Repubblica.it (4 aprile), “se si torna al carbone per produrre elettricità le auto con la pila rischiano di inquinare più di quelle a benzina”.

Nel crescente “coro di no” c’è comunque almeno una notevole eccezione: la Turchia del primo ministro Recep Tayyip Erdogan. Il ministro per l’Energia, Taner Yildiz, ha confermato che Ankara non farà alcun passo indietro ed andrà avanti con la costruzione delle prime centrali (in zone, come sottolineano i critici, ad alto rischio sismico). Del resto, così ha detto Yildiz, riferendosi ad alcuni studi sociologici effettuati negli USA, “la vita da single è più rischiosa dell’energia atomica” (Welt Online, 5 aprile). Notizia curiosa: una delle compagnie con cui Ankara sta negoziando è proprio la giapponese TEPCO.

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ZENIT Staff

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