Ordinario militare: “sobrietà”, parola chiave di fronte alla crisi

Messa nella festa di San Matteo, patrono della Guardia di Finanza

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ROMA, mercoledì, 21 settembre 2011 (ZENIT.org).- Nel contesto della difficile crisi economica e finanziaria che si sta attraversando, la parola chiave è “sobrietà”, ha spiegato l’Arcivescovo Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, nella Messa che ha presieduto questo mercoledì a Roma nella festa di San Matteo, patrono della Guardia di Finanza.

Nell’omelia della celebrazione, svoltasi presso il Comando Generale della Guardia di Finanza, il presule ha ricordato la prontezza con cui Matteo rispose all’invito di Gesù a seguirlo.

“’Egli si alzò e lo seguì’. La stringatezza della frase mostra chiaramente la prontezza di Matteo nel rispondere alla chiamata – ha indicato –. Ciò significava per lui l’abbandono di ogni cosa, soprattutto di ciò che gli garantiva un guadagno sicuro, anche se spesso ingiusto e disonorevole. Evidentemente Matteo capì che la familiarità con Gesù non gli consentiva di perseverare in attività disapprovate da Dio”.

La vita per Matteo “era diventata, ormai, potere e denaro, timore e rispetto da parte degli altri”, ma “la sua durezza si sbriciola quando vede nello sguardo del Nazareno amore, rispetto, verità”.

“Matteo era abituato agli insulti di chi pagava, attraverso di lui, l’iniqua tassa imposta da Roma imperiale. No, non meritava alcuna compassione. E, invece, ne riceve. E l’inatteso, e l’inaudito amore, con cui il Signore lo guarda, come sempre, scatena la gioia, produce il brivido: Matteo si scioglie, lascia tutto, sa di scommettere sul giusto”.

Anche oggi, ha commentato l’Ordinario militare, “non è ammissibile l’attaccamento a cose incompatibili con la sequela di Gesù, come è il caso delle ricchezze disoneste”.

In un “difficile e non scontato momento storico” in cui “giorno dopo giorno occorre costruire l’edificio della sicurezza economica e della stabilità finanziaria”, “sembra che la responsabilità comune abbia lasciato spazio alla speculazione, al guadagno facile, all’arricchimento fraudolento, molto spesso mascherati da un’efficienza di comodo del mercato”, ha riconosciuto.

“A nessuno sfugge che è stata privilegiata una forma di veduta corta e l’economia mondiale è mossa e governata da logiche contrarie all’etica e alla morale, ai principi di gratuità e di fraternità”.

La crisi in atto “dimostra il fallimento dell’antropologia e del pensiero che ne sta alla base”. Ciò che doveva essere uno strumento – la proprietà, la ricchezza, la finanza – “è divenuto principio e fine degli sforzi, misura unica e indiscussa delle azioni”.

Desiderare di vivere meglio “non è male”, ha sottolineato l’Arcivescovo, “ma è sbagliato lo stile di vita che si presume esser migliore, quando è orientato all’avere e non all’essere e vuole avere di più non per essere di più, ma per consumare l’esistenza in un godimento fine a se stesso”.

Per questo, ha esortato a “riscoprire la sobrietà, stile di vita nei confronti dei beni materiali e del loro uso”.

“Ben più di un semplice accontentarsi di quanto si ha o della capacità di non sprecare, la sobrietà ha una dimensione interiore, abbraccia un modo di vedere la realtà circostante che discerne i bisogni autentici, evita gli eccessi, sa dare il giusto peso alle cose e alle persone”.

“Sobrietà a livello personale significa riconoscimento e accettazione del limite, consapevolezza che non tutto ciò che ho la possibilità di ottenere devo forzatamente tirare in mio possesso”.

La sobrietà, ha proseguito, “è la forza d’animo di chi sa subordinare alcuni desideri per valorizzarne altri, di chi sa riconoscere il valore di ogni cosa e non solo il suo prezzo di chi sa dire con convinzione non tutto, non subito, non sempre di più”; “è la forza interiore di chi sa distogliere lo sguardo dal proprio interesse particolare e allargare il cuore e il respiro a una dimensione più ampia”.

“Solo educando l’uomo alla verità avremo un’economia nuova che guarda al bene comune allargando lo sguardo e passando da una responsabilità limitata a una responsabilità sociale”, ha ricordato l’Arcivescovo Pelvi.

“Senza l’orientamento al bene comune finisce per prevalere consumismo, spreco, povertà e squilibri, fattori negativi per il progresso e lo sviluppo”.

In quest’ottica, bisogna elaborare “piani di rilancio dell’economia, aiutando non solo le banche a spese dei contribuenti, ma anche i piccoli imprenditori, le famiglie”, e “investire sulla crescita integrale dei più poveri”, “per metterli in condizione di partecipare al piano di risanamento globale, senza lasciarli ai margini del benessere”.

“I rischi sarebbero limitati – ha concluso –, perché i poveri danno a garanzia la loro stessa vita”.

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ZENIT Staff

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