Sono carità e umiltà le ragioni della nostra fede

Il cardinale Angelo Bagnasco invita ad andare al cuore dell’esperienza cristiana

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di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 26 marzo 2012 (ZENIT.org).- La carità è il “cuore dell’esperienza cristiana” e l’umiltà è “la virtù della sequela di Cristo”.

Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, oggi 26 marzo a Roma nel corso della prolusione al Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).

“Nei deserti della vita, tra asprezze e vacuità, presi dentro ad un materialismo che ha il proprio contrappunto negli affanni di una crisi indomabile, noi con le nostre comunità – ha precisato il Presidente della CEI – abbiamo cercato di trasformare questo in un tempo di grazia”.

“La Quaresima – ha spiegato il porporato – è icona dell’esistenza e scuola per imparare a vivere come ha fatto Gesù, senza scappatoie: o il potere e i suoi derivati, o la croce in vista della Risurrezione”.

Di fronte all’indifferenza e al disinteresse, che nascono dall’egoismo mascherato da una parvenza di rispetto per la sfera privata, l’Arcivescovo di Genova ha indicato la Lettera agli Ebrei: “Prestiamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone” (10,24).

“Grazie all’Eucarestia – ha sostenuto il cardinale Bagnasco -noi siamo compenetrati con Cristo, ma anche tra di noi: la nostra esistenza è correlata con quella degli altri: Sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale”.

Citando il Pontefice Benedetto XVI, il Presidente della CEI ha ricordato che “l’umiltà è soprattutto verità, vivere nella verità, imparare la verità, imparare che la mia piccolezza è proprio la grandezza”.

A questo proposito il Papa ha aggiunto: “Io penso che le piccole umiliazioni, che giorno per giorno dobbiamo vivere, sono salubri, perché aiutano ognuno a riconoscere la propria verità, ad essere così liberi dalla vanagloria che è contro la verità e non mi può rendere felice”.

Il cardinale Bagnasco ha precisato che mentre per l’uomo “l’autorità significa possesso, potere, dominio, successo”, per Dio vuol dire invece “servizio, umiltà, amore” significa entrare “nella logica di Gesù che si china a lavare i piedi ai discepoli”

E “solo nella testimonianza concreta dell’umiltà la fede può attecchire e tornare a risplendere” per questo motivo il Santo Padre si è fatto banditore dell’Anno della Fede.

In merito all’Anno della Fede, il Presidente della CEI ha spiegato che “Sarà in primo luogo un interrogarsi in profondità su chi è Gesù Cristo per noi”,

“Dobbiamo – ha aggiunto – far tornare il Trascendente nell’orizzonte dei nostri contemporanei, invitandoli a sviluppare nuovamente la capacità di percepire Dio”.

Tra le tante indicazioni per l’Anno della Fede l’Arcivescovo di Genova ha sottolineato il cinquantesimo anniversario dall’avvio del Concilio Vaticano II, che “andrà vissuto precipuamente in una prospettiva cristologica: Gesù al centro della Chiesa e al centro della nostra vita”.

Circa la paura che la gente avverte per la situazione di crisi in cui oggi si trova, la più grave dal dopo-guerra, l’Arcivescovo di Genova ha rassicurato spiegando che se ne può uscire “più forti spiritualmente e più attrezzati umanamente” modificando le nostre abitudini ma soprattutto “il nostro modo di pensare”.

Ed ha concluso: “Solo una generale conversione di mentalità che comporti conseguenze vincolanti – ad esempio, sul fronte del fisco, di un reddito minimo, di un welfare partecipato, di un credito agibile, insomma di un civismo responsabile – può ricreare quel clima di fiducia che oggi sembra diradato o dissolto. Un clima che sollecita e motiva l’affidamento reciproco”.

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ZENIT Staff

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