di Antonio D’Angiò
ROMA, lunedì, 4 giugno 2012 (ZENIT.org).- C’è un passaggio emotivamente coinvolgente nel discorso di Laura Olivetti, presidente della Fondazione Adriano Olivetti, all’apertura della giornata di studi per i 50 anni della Fondazione, nel testimoniare la riconoscenza al contributo fornito dalla sua famiglia: “Mio fratello Roberto, che fu presidente della Fondazione proprio 30 anni fa, non ha mai abbandonato il senso delle convinzioni di nostro padre Adriano, e del nonno Camillo, secondo cui il lavoro, l’impresa, chiedono molto alle persone e al territorio, e molto, perciò, alle persone e al territorio devono restituire”.
Questo passaggio, all’introduzione del Convegno “Innovazione, Intangibili, Territorio” che si è tenuto mercoledì 30 maggio a Roma, ci permette di raccontare delle belle storie d’impresa che alcuni manager, imprenditori, docenti e uomini delle istituzioni pubbliche hanno condiviso durante la tavola rotonda conclusiva della giornata di studi (la documentazione è possibile reperirla sul sito www.fondazioneadrianolivetti.it).
Sono state tante le esperienze raccontate, con uno sguardo rivolto al modo con cui sono state fatte le cose ed a ciò che bisogna fare per il futuro. Ricordiamo qui in particolare una riflessione del fondatore e Amministratore Delegato del gruppo Loccioni (Enrico Loccioni), società leader nello sviluppo di sistemi automatici di misura e controllo, che ha raccontato del supporto che si sta dando agli imprenditori per cercare di garantire un passaggio naturale tra generazioni per quelle aziende che vivono ancora dell’imprescindibile contributo del fondatore.
Oppure, del pensiero di Gianluca Galletti, manager della Olivetti, che ha attualizzato l’opera di Adriano Olivetti ponendo un interessante legame tra il concetto di Comunità olivettiana e la Web Community ed esplicitando, inoltre, l’idea che il radicamento sul territorio non possa divenire un vincolo industriale ma solo un punto di identità per meglio competere sul mercato globale.
Vogliamo qui, però, soprattutto concentrare il racconto su due storie che riguardano la cura dei luoghi d’impresa, cioè l’edilizia lavorativa, che ha un legame forte con quel tema dell’urbanistica al centro dell’azione di Adriano Olivetti. Ancor di più ora che Ivrea è stata inserita nella lista delle città candidate a diventare Patrimonio Mondiale dell’Unesco per molte delle costruzioni realizzate sotto l’impulso olivettiano.
Tutto ciò, anche per ricordarci, in giorni così difficili, nei quali una terra ricca di storia e di cultura del lavoro come quella emiliana, vede sgretolarsi, certo sotto l’effetto di un evento naturale come il terremoto, tante strutture industriali e vede morirvi tanti lavoratori all’interno.
Ci ha colpito, in questo senso, l’ esperienza raccontata da Vincenzo Manes, Amministratore Delegato della Intek Group, azienda che opera nel campo metallurgico. Manes, tramite un progetto filantropico, ha partecipato alla realizzazione di una struttura (la ristrutturazione di una vecchia fabbrica abbandonata sulle strade che conducono verso l’Abetone in Toscana) pensata e dedicata per ospitare in modo gratuito minori dai 7 ai 17 anni, affetti da gravi patologie cliniche. Nella struttura lavorano oltre 60 persone che utilizzano centinaia di software evoluti proprio come se fosse una azienda vera e propria.
Proprio perché, come ha ricordato Manes, non potendo una azienda metallurgia innovare con i propri prodotti, può farlo innovando con comportamenti.
Oppure il racconto fatto dall’Amministratore Delegato di Vodafone Pietro Guindani sulla ristrutturazione della vecchia ICO (Industrie Camillo Olivetti) di Ivrea, realizzandovi un moderno call center di una compagnia telefonica nel rispetto (e valorizzando) l’architettura originaria.
Soprattutto nel narrare il passaggio tra le “fredde” valutazioni costi-benefici di tipo finanziario che precedettero la scelta e l’entusiasmo per una scelta che si è poi rivelata in linea con il pensiero di Olivetti per la tutela salubrità gusto e tradizione del luogo di lavoro.
Queste sono storie di successo e siamo convinti che sia un bene raccontarle perché, anche con una disoccupazione elevata, non è contraddittorio occuparsi della bellezza (e sicurezza) dei luoghi di lavoro. Tutt’altro…. perché il lavoro, l’impresa, chiedono molto alle persone e al territorio, e molto, perciò, alle persone e al territorio devono restituire.