Verso una Comunità internazionale fondata sul Principio di sussidiarietà (Prima parte)

Rosario Sitari prova a indicare la strada per una comunità internazionale regolata dal diritto e ordinata al bene comune

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di Rosario Sitari,
Segretario Nazionale Associazione Italiana Docenti Universitari

ROMA, giovedì, 14 giugno 2012 (ZENIT.org) – La dottrina sociale della Chiesa esprime principi, realtà storico-sociale, direttive. I suoi fondamenti possono essere espressi in pochi tratti essenziali: la persona umana come soggetto e come fine; la società come realtà e ordine umano, partecipe, come la persona, di compiti e responsabilità; l’ordine morale e l’amore caritas come ispirazioni da tradursi in azione consapevole nella realtà storica in cui siamo stati chiamati a vivere.

La dottrina sociale non è un’indicazione pastorale: è un’indicazione culturale. È un paradigma di conoscenza che interagisce con altri paradigmi. Non è una categoria economica in senso stretto ma interagisce con le categorie economiche e sociali. Non è una premessa di carattere moralistico: la dottrina sociale della Chiesa entra nel vivo dei problemi e ne rende più concreta la lettura. [2]

Con le note che seguono mi propongo di mostrare che le indicazioni della dottrina sociale rispondono alle esigenze emergenti dall’attuale situazione economica e politica. Mostrerò altresì che tali indicazioni sono alla portata progettuale della famiglia umana impegnata nel perseguimento del bene comune.

Alcuni fatti

Beni alimentari, vestiti, calzature, giocattoli, componenti per auto, strumenti di lavoro e una grande quantità di altri prodotti provengono dai paesi più diversi e lontani. Il deficit di servizi e quello demografico sono colmati dai flussi migratori.

Il mercato globale è una realtà che inizia nelle nostre case [3].

I processi di globalizzazione  dei mercati non possiedono per sé stessi una connotazione etica negativa. Tuttavia quelli che in linea di principio appaiono fattori di progresso possono generare, e di fatto producono, conseguenze ambivalenti o decisamente negative, specialmente a danno dei poveri. 

Punti di forza e punti di debolezza nel mondo globalizzato. 

Nel mondo globalizzato ci sono punti di forza e punti di debolezza.

a) I punti di forza:

1. l’interdipendenza tra i popoli si è accresciuta [4];

2. produzione e commercio hanno fruito di regole globali e, perciò, il loro sviluppo non è stato anarchico [5];

3. si è formata ed è sempre più consapevole l’opinione pubblica mondiale [6].

b) I punti di debolezza:

1. sempre più anarchica e selvaggia è la crescita della finanza;

2. il divario nord-sud si è accresciuto, la povertà e la mortalità per fame, nonostante i risultati conseguiti, continuano ad essere fenomeni gravi e diffusi;

3. gruppi di pressione del mondo globalizzato, con la legislazione favorevole di Stati Uniti e Gran Bretagna, impediscono a organismi politici di livello superiore di governare un processo che essi ritengono portato dalla sua stessa logica ad autogovernarsi [7].

Tutti siamo protagonisti del mercato globale e partecipiamo a una o più fasi del ciclo di vita dei vari prodotti: dall’estrazione della materia prima, alla trasformazione di questa in prodotti e servizi finali, al consumo e, infine, alla produzione dei rifiuti. Vi partecipiamo come cittadini/lavoratori, cittadini/imprenditori, cittadini/consumatori, cittadini/residenti e, soprattutto, come persone.

Gli effetti asimmetrici della globalizzazione

Un’analisi puntuale dell’impatto della globalizzazione non rientra negli scopi di queste note. Giova tuttavia proporre alcune riflessioni sugli effetti asimmetrici che essa produce tra paesi e all’interno degli stessi paesi.

Gli effetti asimmetrici della globalizzazione, spesso negativi per i paesi poveri e per gli strati più esposti delle popolazioni dei paesi ricchi, sono dovuti “alle diversità nella dotazione infrastrutturale e istituzionale, al cambiamento della composizione del commercio internazionale e alla liberalizzazione dei mercati dei capitali” [8].

Alcuni esempi

Nel settore agricolo i paesi poveri sono penalizzati dalle pratiche protezionistiche dei paesi ricchi e dal fatto che i beni commercializzati dai paesi poveri sono generalmente indifferenziati e, perciò, facilmente contendibili. Invece, i paesi ricchi, che producono merci differenziate, basate sulla qualità e protette da diritti di proprietà intellettuale, quali quelli riguardanti le sementi geneticamente modificate (=gm), “possono scambiare i propri beni in mercati non contendibili” [9].

La coltivazione di cotone gm da parte di piccoli agricoltori in India e in Cina è un caso da manuale per constatare l’ineludibile necessità di governare l’economia globalizzata. La turbolenza dei mercati del cotone ha travolto la capacità competitiva dei piccoli agricoltori indiani che si sono trovati soli a lottare in una congiuntura avversa di prezzi decrescenti e costi in crescita.

La Cina, invece, che ha infrastrutture e conoscenze nell’ambito delle biotecnologie, ha consentito ai propri agricoltori di produrre varietà autoctone di cotone gm estremamente concorrenziali rispetto al cotone gm della Monsanto. Così la Monsanto è stata costretta a offrire ai piccoli coltivatori cinesi le proprie varietà gm, che costituiscono l’input per produrre cotone gm, a un prezzo enormemente più basso rispetto a quanto sono stati costretti a pagare gli agricoltori indiani [10].

Quando si afferma che la liberalizzazione e la crescita degli scambi commerciali possono stimolare un afflusso degli investimenti verso le aree meno dotate di capitali e, quindi,  favorire la riduzione del divario economico fra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo [11]</a>, si fa un’affermazione non priva di logica. Ma tale affermazione non tiene conto delle asimmetrie prodotte dalla globalizzazione che non riguardano solo il settore primario.

I processi di delocalizzazione delle imprese dai paesi ricchi ai paesi poveri hanno normalmente effetti positivi per questi ultimi, ma generano contrasti tra chi trae vantaggi dalle delocalizzazioni e chi ne viene danneggiato: tale è il caso dei lavoratori dei paesi che rimangono privi di occupazione per effetto, appunto, della delocalizzazione.

C’è poi un tipo di globalizzazione che riguarda le figure professionali ad alta qualificazione. Si pensi ai bassi salari degli ingegneri informatici residenti in India, che inducono colossi della produzione hi-tech a trasferirsi dagli Stati Uniti in India, e agli effetti sull’occupazione e sugli stipendi degli ingegneri informatici che rimangono negli Stati Uniti. Che dire poi dei flussi migratori dei ricercatori scientifici che non trovano occupazione nei paesi dove sono stati formati.

Quello delle asimmetrie è dunque un tema che non consente univocità di giudizi, va perciò attentamente approfondito nelle sue diverse dimensioni. Dimensioni che riguardano la crescita mondiale, la distribuzione del reddito pro-capite mondiale, lo sviluppo umano, la povertà, la fame, l’export, la disoccupazione e i flussi migratori.

Le asimmetrie e le sue conseguenze risultano inoltre amplificate per il fatto che la dimensione globale dell’economia non ha portato con sé altrettanta globalizzazione nelle istituzioni sociali e politiche.

Giunge quindi opportuna la sollecitazione del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace che ha per titolo “Per una riforma del sistema finanziario internazionale nella prospettiva di un’Autorità pubblica a competenza universale” [12]. La nota riprende il contenuto della Pacem in terris (= PT) [13] di Giovanni XXIII del 1963 – che al n. 72 auspicava la creazione di poteri pubblici  “aven
ti autorità su piano mondiale” – e  lo porta nel contesto storico della  Caritas in Veritate (= CV) [14] del 2009. Qui al n. 67 si sottolinea l’urgenza di costituire “una vera Autorità politica a livello mondiale”, regolata dal diritto, che sia coerente con i principi di sussidiarietà e di solidarietà e “ordinata alla realizzazione del bene comune”.

L’assenza di un’autorità politica mondiale ha lasciato ampi spazi di intervento a istituzioni sopranazionali, come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, non democraticamente legittimate, che hanno espropriato le politiche economiche degli Stati e imposto modelli universali scavalcando peculiarità di reazione, di adattamento e di creatività proprie di interi paesi, delle loro culture e delle loro istituzioni.

Da qui le situazioni di degrado socio-economico in Thailandia, Corea, Indonesia e in altri stati dell’Asia dove il «miracolo economico» atteso è rovinosamente fallito. Questi paesi, che avrebbero dovuto beneficiare della globalizzazione, non sono stati in grado di governare modelli di sviluppo imposti dall’esterno, né di sostenere la crescita con equità a medio termine.

*

NOTE

[1] Le note che seguono sono la rielaborazione della relazione che l’Autore ha tenuto il 21 aprile 2012 a Sulmona nell’ambito della Scuola di formazione socio-politica del Centro pastorale diocesano sul tema “La praticabilità delle indicazioni di Politica economica contenute nella dottrina sociale della Chiesa”.

[2] L. Negri, Conclusione all’incontro sul tema della crisi economica tenuto a Rimini il 31 gennaio 2009, in L. Campiglio – S. Zamagni, Crisi economica, crisi antropologica. L’uomo al centro del lavoro e dell’impresa: come il credito può favorire lo sviluppo, Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II, il Cerchio 2010, pagg. 46 e 47.

[3] Cfr. R. Ruggiero, Libertà degli scambi, globalizzazione ed interdipendenza economica: fattori di progresso e di rafforzamento della pace nel mondo, in  R. Papini, A. Pavan, S. Zamagni (a cura di), “Abitare la società globale”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1997.

[4] L’interdipendenza tra i popoli è intrinsecamente un fatto positivo perché approfondisce le relazioni fra gli uomini. Essa, tuttavia, può innescare processi sistemici indesiderati se non è sostenuta da un forte senso dell’assolutezza e della dignità di tutte le persone umane e dal principio che i beni della terra sono destinati a tutti.

[5] Tale affermazione, oggi, va ridimensionata perché la crescita anarchica e selvaggia della finanza ha avuto conseguenze assai negative sull’economia reale. Tra queste conseguenze va compresa anche quella riguardante il crollo del commercio mondiale che si è verificato, appunto, in parallelo con la crescita abnorme della finanza.

[6] L’opinione pubblica può essere condizionata da poche agenzie di stampa che possono fare da filtro alle altre agenzie. Non bisogna però sottovalutare le possibilità che le tecnologie telematiche offrono alla società civile globale. Queste tecnologie consentono di costruire reti, e le reti, a loro volta, possono diventare vettori efficaci di solidarietà, strumenti immediati di controllo dell’azione pubblica e luogo di incontro per i processi di formazione delle decisioni. Nel  “round del millennium” di Seattle del 1999 i cittadini del mondo, grazie alle tecnologie telematiche, esercitando forse per la prima volta il potere reale di democrazia transnazionale, hanno impedito che il credo liberistico e tecnocratico della globalizzazione facesse passare con gli strumenti classici della trattativa commerciale decisioni economiche molto rilevanti non solo nei rapporti tra imprese e Paesi, ma anche nella qualità della vita di ciascuno di noi.

[7] Negli USA, in particolare – dove nel 1999 è stata abolita la legge Glass-Steagall del 1933 che sanciva la separazione tra banche commerciali, sottoposte a penetranti controlli, e banche di investimento, soggette a forme di controllo più blande, – si è collocato l’epicentro del terremoto economico più devastante dopo la crisi del 1929. Paradossalmente e asimmetricamente, dice Tremonti, mentre crescevano le regole imposte all’economia reale, decrescevano quelle per la finanza. La finanza poteva infatti fruire, per la sua abnorme crescita, sia dell’ideologia della deregolamentazione, sia dell’asimmetria tra mercato globale e diritto locale, sia delle nuove tecnologie informatiche. Cfr. G. Tremonti, Uscita di sicurezza,  Rizzoli, gennaio 2012, pag. 60.  Roncaglia, trattando della crisi finanziaria, ricorda che “la fase della deregolamentazione e del liberismo oltranzista inizia già a cavallo del 1980 con la presidenza di Reagan negli Stati Uniti e il governo della signora Thatcher in Gran Bretagna”, e sottolinea che il 12 novembre 1999 “il presidente Clinton (non Bush, si noti!) ratifica il Gramm-Leach-Bliley Act, che alleggerisce drasticamente i controlli e i vincoli sul sistema finanziario statunitense.”  Cfr. A. Roncaglia, Economisti che sbagliano. Le radici culturali della crisi, Gius. Laterza & figli, 2010, pag. 4. Clinton, inoltre, il 21 dicembre 2000, poco prima di lasciare la presidenza degli USA, firmò la legge sulla “Commodity Futures Modernization”, con la quale vennero sottratti i prodotti finanziari derivati alla regolamentazione e alla sorveglianza della SEC e della Commissione per il Commercio dei Titoli Future. Da qui un’espansione senza precedenti dei derivati scambiati al di fuori del mercato borsistico. Cfr. L. Campiglio – S. Zamagni, op. cit. pag. 24.

[8] Cfr. D. Romano, L’impatto della globalizzazione asimmetrica sull’agricoltura dei PVS, http://www.agriregionieuropa.it/, e i relativi riferimenti bibliografici, associazione Alessandro Bartola, studi e ricerche di economia e politica agraria, marzo 2007.

[9] Normalmente i paesi poveri vendono commodities, costituite da produzioni agricole e da prodotti di base non lavorati senza differenze qualitative, soggette ad elevata standardizzazione sui mercati internazionali e, perciò, facilmente fungibili. Man mano che sul commercio internazionale si affermano beni basati sulla qualità piuttosto che sui costi di produzione i PVS risultano svantaggiati nella competizione.  I paesi sviluppati, infatti, dispongono “non solo di migliori infrastrutture e istituzioni, ma anche del capitale umano e delle risorse … necessarie per la creazione, il sostegno e la difesa di un logo globale”. Cfr. D. Romano, op. cit.

[10] Cfr. D. Romano, op. cit.

[11] www.treccani.it/enciclopedia/globalizzazione/

[12] La nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace “Per una riforma del sistema finanziario internazionale nella prospettiva di un’Autorità pubblica a competenza universale” è stata presentata il 24 ottobre 2011 nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede.

[13] Cfr. Giovanni XXIII, Pacem in terris, 11 aprile 1963.

[14] Cfr. Benedetto XVI, Caritas in Veritate, 29 giugno 2009.

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ZENIT Staff

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