di P. José Antonio Pérez, SSP*
ROMA, venerdì, 15 giugno 2012 (ZENIT.org) – Viviamo in tempi paradossali: da una parte un ritmo frenetico ci obbliga a correre di continuo, senza possibilità di trovare spazi che ci permettano di “vivere” in pienezza ciò che viviamo. Dall’altra, molti sentono il bisogno ti trovare questi spazi, indispensabili non solo per l’equilibrio personale, ma anche perché la stessa l’attività possa essere positiva ed efficace.
Questo dilemma, presente ovunque, è sentito ancor di più dalle persone impegnate nella testimonianza evangelica e nell’azione apostolica della Chiesa. Molti portano avanti una vita ricca di iniziative a favore degli altri, con una dedizione incondizionata, rischiando però di svuotarsi e di finire in un’inefficace impegno missionario e di evangelizzazione che in realtà non comunica; ovvero in un dare tutto se stesso, ma non dare Gesù.
Per evangelizzare ci vuole la forza dello Spirito Santo: “Avrete forza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). È necessario dunque lasciare spazio allo Spirito, che parla nel silenzio, “prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo, proprio per riconoscere e focalizzare le domande veramente importanti” (Benedetto XVI, messaggio per la 46aGiornata delle comunicazioni sociali).
Un momento privilegiato di questo “silenzio” è quello dell’adorazione eucaristica, proprio perché è un momento di incontro. “Nella vita di oggi, spesso rumorosa e dispersiva, è più importante che mai recuperare la capacità del silenzio interiore e del raccoglimento. L’adorazione eucaristica permette questo non solo centrato sull’Io, ma maggiormente in compagnia di quel Tu pieno d’amore che è Gesù Cristo…” (Benedetto XVI, Angelus 10.06.2007).
L’Eucaristia è il più grande tesoro della Chiesa perché è il sacramento del sacrificio di Cristo, del quale facciamo memoria, ed è anche la sua presenza viva in mezzo a noi. Non solo simboleggia e comunica la grazia, come fanno gli altri sacramenti, ma contiene l’Autore della grazia. Di per sé la Messa è l’atto di adorazione più grande della Chiesa, ma l’adorazione fuori della Messa prolunga e intensifica ciò che ha avuto luogo nella celebrazione e rende possibile un’accoglienza vera e profonda di Cristo.
Così descriveva questo momento il beato Giacomo Alberione: “È un incontro dell’anima e di tutto il nostro essere con Gesù. È la creatura che s’incontra con il Creatore. È il discepolo presso il divin Maestro. È l’infermo con il Medico delle anime. È il povero che ricorre al Ricco. È l’assetato che beve alla Fonte. È il debole che si presenta all’Onnipotente. È il tentato che cerca il Rifugio sicuro. È il cieco che cerca la Luce. È l’amico che va al vero Amico. È la pecorella smarrita cercata dal Divino Pastore. È il cuore disorientato che trova la Via. È lo stolto che trova la Saggezza. È la sposa che trova lo Sposo dell’anima. È il nulla che trova il Tutto. È l’afflitto che trova il Consolatore. È il giovane che trova orientamento per la vita” (UPS II p. 104).
L’adorazione è per l’apostolo “come un’udienza, una scuola, ove il discepolo o il ministro si intrattiene col divino Maestro”, affermava il beato Giacomo Alberione. È quel tempo in cui l’evangelizzatore si accosta alla sorgente dello Spirito, per interiorizzare la Parola di Dio, per rinfrancarsi alla presenza del Signore, per rivedere ogni persona e situazione con la Sua luce.
“Educarsi alla comunicazione – leggiamo nel messaggio per la 46aGiornata delle comunicazioni sociali – vuol dire imparare ad ascoltare, a contemplare, oltre che a parlare, e questo è particolarmente importante per gli agenti dell’evangelizzazione”.
“Nel silenzio – continua il Papa – ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi, nasce e si approfondisce il pensiero, comprendiamo con maggiore chiarezza ciò che desideriamo dire o ciò che ci attendiamo dall’altro, scegliamo come esprimerci… Là dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti, il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio”.
Per il Fondatore della Famiglia Paolina, l’adorazione “è un’anima che pervade tutte le ore, le occupazioni, i pensieri, le relazioni, ecc. È una linfa o corrente vitale, che su tutto influisce, comunica lo spirito anche alle cose più comuni. Forma una spiritualità che si vive e comunica. Forma lo spirito di orazione che, coltivato, trasforma ogni lavoro in preghiera…”.
Se con l’adorazione – continuava affermando – “si acquista una base soprannaturale che illumina tutto, una spirituale generosità nel donarsi ed operare, un sentire profondo che Dio è in noi, se dopo essere stati con Gesù Cristo, lo si sente vivo ed operante nel nostro essere…”; allora si arriverebbe presto alla “trasformazione in Cristo”. La vita, cioè, “si trasforma in preghiera”, e “la preghiera dà la vita” (cf UPS II, p. 110-111).
L’apostolo Paolo mette in collegamento stretto l’eucaristia e l’annuncio: “Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1Cor 11,26).
“Per evangelizzare il mondo c’è bisogno di apostoli esperti nella celebrazione, nell’adorazione e contemplazione dell’eucaristia”, scriveva Giovanni Paolo II nel suo messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2004. Infatti, l’adorazione deve precedere la nostra attività e i nostri programmi, in modo da renderci veramente liberi e da far sì che ci siano dati i criteri per la nostra azione, come raccomanda Benedetto XVI.
“La Chiesa esiste per evangelizzare” (EN 14). Gesù è il centro, e portare il suo Vangelo e il suo Amore ne è l’obiettivo. Per il beato Alberione, l’identità dell’apostolo riprende dall’adorazione: difatti, “è la pratica che più orienta ed influenza tutta la vita e tutto l’apostolato… È il gran mezzo per vivere tutto Gesù Cristo. È il gran mezzo per superare la pubertà e formare la personalità in Cristo. È il segreto per la trasformazione nostra in Cristo: Vive in me Cristo (Ga 2,20). È sentire le relazioni di Gesù col Padre e con l’umanità. È la garanzia di perseveranza” (UPS II, p 105).
Mosso da questa sua fede, Giacomo Alberione imparò e praticò una saggia dinamica: l’esperienza cosciente della realtà che gli stava attorno, considerata e illuminata alla luce di Gesù-eucaristia, diventava per lui la sfida che lo costringeva a dare risposte ai problemi che il suo grande cuore apostolico scopriva. Un messaggio sempre attuale e oggi urgente più che mai.
*Postulatore generale della Famiglia Paolina