di Paolo Lorizzo*
ROMA, sabato, 16 giugno 2012 (ZENIT.org).- Come per la maggior parte delle figure storiche santificate dalla Chiesa, sappiamo poco sulla vita di S. Sebastiano, nonostante l’iconografica del suo martirio sia tra le immagini più celebrate e rappresentate. La tradizione vuole che Sebastiano, di religione cristiana, divenuto tribuno della prima coorte della guardia imperiale dell’impero, venne arrestato per concussione con i cristiani e condannato a morte. L’iconografia lo ritrae legato ad un palo, seminudo e sofferente, trafitto dai dardi romani. La sua missione però non era giunta al termine. Riuscì miracolosamente a sopravvivere e rese pubblica la sua fede anche dinanzi agli imperatori Massimiano e Diocleziano che emanarono una seconda condanna a morte a suo carico. Venne flagellato a morte nel circo del Palatino nel 304 e gettato nella Cloaca Massima per umiliare la sua memoria ed impedire ai fedeli di compiangerlo. Il corpo venne però recuperato e sepolto tra il II e il III miglio della via Appia, nella località di ‘ad catacumbas’ (dove attualmente sorge la Basilica a lui dedicata) il cui toponimo venne successivamente utilizzato per tutti gli ambienti ipogei cristiani per il suo prolungato ed ininterrotto utilizzo nei secoli.
In origine la Basilica venne dedicata ai SS. Pietro e Paolo in quanto si riteneva fossero stati qui seppelliti per preservare le loro salme dalle persecuzioni dell’imperatore Decio nel 250. Solo nel 680, quando si ritenne che il Santo mise fine ad una grave pestilenza si decise di dedicargli la Basilica e le catacombe.
Per chi giunge da Porta San Sebastiano si ritroverà la Basilica sulla destra ma piuttosto distante dall’antico tracciato della via consolare romana, separate da un lungo piazzale. Ciò che oggi si nota è una costruzione molto distante dai principi architettonici tardo-antichi e medievali. L’originale Basilica dei SS. Giovanni e Paolo di età costantiniana e di forma ‘circiforme’ (che richiama i principi architettonici e soprattutto la forma di un circo) non esiste più e solo la navata centrale venne utilizzata nel 1608 per la costruzione dell’attuale Basilica, voluta e realizzata dal Cardinale Scipione Borghese sotto la direzione artistica di Guido Reni. Siamo di fronte ad una Basilica piuttosto consueta e priva di particolari ornamenti ma non si può rimanere indifferenti dinanzi al magnifico soffitto ligneo intagliato del 1612 che nulla ha a che vedere con la piatta austerità del bianco delle pareti, spezzato qua e la da cappelle e altari laterali. A metà della navata, in una cappella absidale detta ‘delle reliquie’ si conservano alcuni interessanti reperti che la tradizione attribuisce direttamente correlati con il martirio del Santo. Si tratta di una delle frecce che trafisse il suo corpo e della colonna dove rimase legato durante il martirio. Qui si conserva anche la pietra del ‘Quo Vadis Domine?’ che reca tradizionalmente le impronte dei piedi di Cristo qui impresse quando apparve a Pietro durante la sua fuga da Roma, che di fatto lo indusse a ritornare indietro. Lungo la navata si accede, mediante due aperture laterali all’ambulacro dell’antica basilica costantiniana, un corridoio che correva intorno all’attuale basilica ruotando di 180 gradi. L’apertura di sinistra è occupata da un piccolo museo espositivo (attualmente chiuso al pubblico) delle epigrafi rinvenute all’interno della catacomba (proprio qui termina il percorso sotterraneo), mentre l’apertura di destra, oltre alla biglietteria, permette di accedere ad un’interessante sala espositiva che contiene molti dei sarcofagi rinvenuti durante gli scavi degli ambienti sotterranei.
La catacomba iniziò il suo percorso temporale a partire dall’inizio dell’età imperiale nel I secolo d.C. Le sepolture, di ogni genere e grandezza, accoglievano indistintamente i corpi di persone di religione cristiana e pagana, scavate in lunghe gallerie di arenaria ricavata in un’area un tempo destinata all’estrazione della pietra. In questa fase vennero costruiti alcuni ‘colombari’ e due edifici che per la loro grandezza e la ricchezza decorativa sono detti ‘ville’.
Nel II secolo ci fu un livellamento del terreno, la creazione di una piccola piazza e la costruzione di tre mausolei che fu poco dopo nuovamente interrata per la costruzione di un edificio porticato chiamato ‘triclia’ riportante molti graffiti inneggianti ai SS. Pietro e Paolo.
Nel III secolo l’ambiente ipogeo aveva assunto la consistenza di una catacomba vera e propria con le sepolture dei martiri Sebastiano ed Eutichio, fatto importante che condizionò e causò di fatto il cambiamento del nome del complesso.
Come per tutti i luoghi ipogei, anche qui si conserva intatto il fascino e l’atmosfera originale, ancora carica delle energie accumulate con il trascorrere dei secoli. L’immaginazione ci permette di respirare l’odore dell’incenso e dei fumi delle lampade ad olio, sentire il cantilenare delle preghiere e il canto delle litanie, ma anche sconforto e disperazione per la scomparsa di una persona cara. Oggi come allora le emozioni sono sempre le stesse e viverle da spettatore ci fa rendere conto che siamo tutti uguali, nel tempo e nello spazio, soprattutto di fronte alla morte.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.