di don Pietro Cantoni
ROMA, sabato, 23 giugno 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’introduzione e la conclusione di don Pietro Cantoni al libro Riforma nella continuità – Riflessioni sul Vaticano II e sull’anti-conciliarismo (Sugarco Edizioni).
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“San Basilio nel suo libro sullo Spirito Santo paragona la situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea ad una battaglia navale di notte dove nessuno più conosce l’altro, ma tutti sono contro tutti”. Con questa bella – ma terribile – metafora Benedetto XVI descrive la situazione che si è creata nella Chiesa dopo l’ultimo grande concilio ecumenico.
Lo scopo che si prefigge non è certamente quello di confermare i fedeli in quel senso di disperazione, di inutilità di ogni sforzo, di rassegnazione, che serpeggia ormai da troppo tempo nella Chiesa, soprattutto nei Paesi di antica evangelizzazione.
Un sentimento che costituisce, lui sì, il vero nemico da combattere e al quale mai e poi mai ci si deve arrendere. Il Papa ce la propone invece proprio per infondere speranza: non c’è troppo da meravigliarsi – ci dice – perché la storia della Chiesa, soprattutto dopo i grandi concili, conosce momenti come questi.
Anche in essi la Chiesa non è abbandonata a se stessa, anzi in essa sempre – in modo per lo più silenzioso – lo Spirito Santo è all’opera. “Se cade un albero fa grande rumore, se cresce una selva non si sente niente perché si sviluppa un processo senza rumore”.
La caratteristica di una battaglia nella notte è che “nessuno più conosce l’altro, ma tutti sono contro tutti”. Si è feriti o si muore non necessariamente per opera del nemico, ma il “fuoco amico” fa spesso ancora più vittime.
Lo scopo di questo mio scritto è quello di contribuire a fare un po’ di luce, perché il “fuoco amico” non faccia danni irreparabili.
Finché infatti ad essere colpite sono singole persone o gruppi di persone, il male, per quanto doloroso e ingiusto, è ancora limitato e superabile. Diverso è il caso quando ad essere colpita è la Chiesa stessa nel suo magistero. Danno terribile perché la soluzione del problema, la vittoria contro il nemico, non può venire che da lì: dalla ricezione umile ed intelligente del suo insegnamento.
Detto in poche parole: il magistero della Chiesa non è il problema, ma la soluzione!
Ricezione umile ed intelligente, ma non per questo tranquilla. Anzi, data la situazione e data la natura del messaggio che sta alla fonte: crocifissa.
Essa deve continuamente scoprire e riscoprire che il messaggio, se muta nelle forme, non tradisce ma trasmette sempre la verità viva e profonda che è Cristo. Questo è il vero “discorso da fare”.
Mille suggestioni si affacciano e si accavallano in questa “battaglia nella notte”, accattivanti ed affascinanti nella loro apparente semplicità.
“Se tanti sono i danni, tanto grave deve essere la causa”. Non è sufficiente incolpare l’interpretazione del Concilio, per venirne a capo: il male deve risiedere nei documenti.
Come è possibile separare questi documenti dagli eventi che li hanno generati o che ad essi sono susseguiti?
Così si dimentica che anche i documenti più santi che mai siano esistiti e che mai esisteranno, perché hanno Dio per autore, cioè le Sacre Scritture, hanno dato origine ad una varietà inconcepibile di interpretazioni, alcune delle quali veramente esiziali e nefaste.
Si dimentica che qualunque documento, anche il più chiaro, necessita di una interpretazione vivente, tale da adattare con sicurezza quello che dice alla situazione presente sempre mutevole. Se ciò non fosse vero i tribunali sarebbero inutili, inutili i giudici, inutili gli avvocati.
L’occasione, non lo scopo, del mio libro è costituita dalle recenti pubblicazioni di chi è stato mio insegnante di teologia a Roma: mons. Brunero Gherardini. Attraverso di lui sono venuto a contatto con quella Scuola Romana di cui – giustamente – si vanta di essere esponente.
Di questa scuola una cosa soprattutto mi ha colpito e conquistato: l’incondizionato amore per la Chiesa e per il suo magistero.
La mia critica, rispettosa anche se appassionata, all’insegna dell’amicus Plato sed magis amica veritas, vuole essere come l’eco di questa tradizione che viene da lontano. Quindi anche di una vera e sincera riconoscenza.
Conclusione
Mi pare di capire che alcuni oggi auspicano di risolvere il problema della Tradizione invocando un intervento di più grande autorità del magistero, il quale in modo straordinario e infallibile dovrebbe finalmente chiarire i punti cardine della controversia che il concilio ha sollevato. Credo che questo non tenga conto della natura del magistero e della Tradizione.
Il problema vero della Tradizione oggi non è quello dell’assenza o della latitanza del magistero. Neppure quello di una recezione di base da parte dei semplici fedeli. Il problema vero è quello delle mediazioni intermedie. Mi si permetta un esempio un po’ grossolano: se il tubo è seriamente ostruito, la soluzione più intelligente non è quella di aumentare indiscriminatamente la mandata di acqua, così si rischia solo di farlo scoppiare, ma di lavorare pazientemente per rimuovere le ostruzioni.
Magari costruendo noi faticosamente dei percorsi alternativi, che siano insieme spirituali e teologici.
Chi si stupisce davanti alla ritrosia della Chiesa a ricorrere al modo straordinario di esercizio del magistero, dovrebbe riflettere di più sul fatto che alla Chiesa – a cui la finalità pastorale appartiene intrinsecamente – non interessa tanto che le cose siano chiarite sulla carta, ma nei cuori degli uomini. Gesù non ha mai annunciato in modo assolutamente esplicito di essere Dio: voleva che fossero gli uomini a capirlo in certo qual modo da soli: “Ma voi, chi dite che io sia?” (Mt 16,15; Mc 8,29; Lc 9,20). Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) raccomanda alla guida degli Esercizi spirituali di non parlare troppo, di non voler chiarire tutto lui, perché “non è il molto sapere che sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare le cose internamente” (n. 2).
Parafrasando il Vangelo (cfr. Lc 16,29-30): “Ti prego, fa’ delle definizioni infallibili e saremo finalmente convinti”.
“Se non avete ascoltato quello che ho così frequentemente ripetuto con il mio magistero ordinario, neppure se definissi infallibilmente tutto sareste mai convinti”.