La buona notte salesiana: una splendida esperienza educativa

Intervento del Rettor Maggiore dei Salesiani, Don Pascual Chàvez Villanueva, venerdì 5 ottobre 2012, a conclusione della programmazione della Comunità del Testaccio

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di Eugenio Fizzotti

ROMA, giovedì, 18 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Nel corso della splendida esperienza educativa che Don Bosco ha vissuto a Valdocco ha sempre avuto un compito particolare l’incontro di preghiera serale sia con i ragazzi che vivevano con lui e sia con quelli che partecipavano alle belle iniziative sportive, musicali, teatrali e culturali dell’Oratorio. A conclusione della preghiera per soli tre minuti, come consigliò di fare ai giovani che accolsero la sua proposta di divenire salesiani e assunsero, dopo l’ordinazione sacerdotale, la responsabilità di altre opere educative in luoghi diversi di Torino e in altre città prima d’Italia e poi dell’America Latina, egli offriva un commento a eventi accaduti nel corso della giornata, proponeva piste di riflessione sulla pratica sacramentaria, trasmetteva testimonianze di ragazzi e di famiglie che aveva incontrato e che li incoraggiavano fortemente nel portare avanti iniziative educative di varia molteplicità.

In fondo tale intervento quotidiano era stato da lui scelto dopo aver visto che sua Mamma Margherita aveva parlato un gruppo di ragazzi la sera prima che si addormentassero e che al mattino se ne erano andati d’improvviso e senza salutarla.

L’esperienza in fondo gli fece capire che era importante chiudere la giornata con un momento di incontro e in effetti da allora in tutte le comunità salesiane e in tutti gli Oratori e Centri Giovanili ogni sera ci si raduna per pregare e per ascoltare, da parte del responsabile o di un ospite, interessanti suggerimenti per l’attuazione della programmazione educativa in tutte quante le sue dimensioni, alimentando in questo modo il clima di famiglia che ha da sempre caratterizzato il contesto salesiano.

Di conseguenza, secondo un intervento che la sera del 5 ottobre 2012 ilRettor Maggioredei Salesiani, don Pascual Chávez Villanueva, nella Comunità Salesiana del Testaccio di cui faccio parte, in cui vivono 37 confratelli sacerdoti, di cui 33 sono giovani studenti in varie Università Pontificie, ha fatto su tale argomento «i contenuti della buona notte dovrebbe aiutarci prima di tutto a recuperare l’unità interiore. Viviamo talmente presi da tante cose da farsi, dal primo momento della giornata fino all’ultimo, che rischiamo di vivere in un grande attivismo, che va stancando fisicamente e stressando psichicamente e svuotando spiritualmente, ma soprattutto che provoca una grande frammentarietà, per cui non riusciamo a vedere qual è il centro di unità di tuttala vita. Sant’Ignazio di Loyola, cercando di definire il centro della vita, diceva che siamo nati per riverire, per servire, per trovare e per amare Lui, e dobbiamo servirci del mondo nella misura in cui ci aiuta a raggiungere l’unico scopo per cui siamo nati e prenderne la distanza nella misura in cui ci diventa un ostacolo. Unmomento di buona notte deve ritornare di nuovo a ridare unità alla propria vita attorno all’essenziale».

E ha suscitato un’attenzione straordinaria al richiamo fatto che «la buona notte è un elemento che aiuta a fare una lettura credente della storia. Viviamo tante cose, sentiamo tante notizie, leggiamo tanti eventi; però, se non c’è una chiave di lettura del tutto, difficilmente riusciamo ad avere la capacità di sentire un Dio che mi parla attraverso la storia e chiede le mie risposte. Perciò, dicevo, la buona notte non è un buon pensiero, deve partire da quanto si vive nella comunità, da quanto sta vivendo la Chiesa, da quanto sta vivendo il mondo e così via».

E dopo aver richiamato che, come voleva Don Bosco, la buona notte non doveva durare più di tre minuti, anche se nella realtà risultava difficile concludere in così breve tempo, e del resto l’esperienza di tutti i salesiani conferma tale rilevazione, decise di offrire ai confratelli tre pensieri di  notevole significato esistenziale.

Il primo punto di riflessione ha riguardato la sua esperienza, appena giovane prete, all’età di 25 anni, di studente della Sacra Scrittura, che costituì per lui e costituisce per i membri studenti della comunità del Testaccio «una delle tappe più importanti della vita salesiana, perché è innanzitutto il momento di riscoprire il senso di Chiesa, di amare la Chiesa, di crescere in senso ecclesiale. Una delle cose di cui si può accusare la vita religiosa è che a volte non c’è sufficiente amore alla Chiesa e noi non dobbiamo dimenticare che la missio Dei è missio ecclesiae e la missio ecclesiae è la missio congregationis, cioè non c’è missione della congregazione che non sia partecipazione alla missione della Chiesa, che a sua volta è partecipazione alla missione di Dio: “Come il Padre mi ha amato, io ho amato voi” – “Come il Padre mi ha inviato, io invio voi”. E questo senso di Chiesa dovrebbe aiutarci ad amarla veramente; siamo nati in essa come figli di Dio, lei ci ha cresciuti, ci ha aiutati a scoprire il nostro luogo nella Chiesa, nella società; ci ha preparati; è una mamma che quando moriremo ci accoglierà con le braccia aperte. La Chiesa è una realtà, non è il Vaticano; la Chiesa è Cristo che è il capo di essa; e tutta la chiesa è fatta da tutti i membri vivi che formano e costituiscono il Corpo mistico: ci sono i dodici Apostoli che sono le colonne di questa Chiesa su cui è edificata, c’è la Madonna che è la Madre della Chiesa, c’è lo Spirito che è l’anima della Chiesa. La Chiesa la dobbiamo amare. Amare! e in questo siamo aiutati soprattutto dalla vicinanza con il Santo Padre, successore di Pietro, e questo ci dovrebbe aiutare ad entrare veramente nel sensus ecclesiae».

Dopo aver riflettuto sullo studio come tappa formativa fondamentale con notevole senso ecclesiale Don Chávez ha invitato come secondo punto di riflessione a fare del tempo dedicato allo studio un tempo di grazia per ciascuno personalmente, per la Congregazione Salesianae per Ispettorie di appartenenza. Crescendo, infatti, nella propria identità carismatica salesiana ognuno viene aiutato ad approfondire la propria vocazione e ad approfondire nella vita pratica di ogni giorno la specifica prospettiva pedagogica che è molto impegnativa. Ed ha avuto effetto il richiamo al “Sistema Preventivo” di Don Bosco, concentrato sulle espressioni: Ragione-amorevolezza-religione, Onesti cittadini-buoni cristiani, santità-sanità-allegria.

Ed ha entusiasmato sentirlo dire che «voglio che tutti i membri della famiglia salesiana leggano le tre vite dei giovani scritte da don Bosco: sì, ma se tu non fai lo studio, io non posso presentare oggi il Domenico Savio e il Michele Magone o il Francesco Besucco come modelli ai ragazzi di oggi se non ho la chiave di lettura per sapere come presentarli. E, pur se molto impegnativo, questo secondo elemento deve essere di stimolo forte per voi, anche perché il prossimo anno saremo invitati ad approfondire la spiritualità di Don Bosco».

Terzo elemento dell’intervento del Rettor Maggiore è stato il richiamo ai giovani studenti della Comunità del Testaccio alla competenza professionale. Infatti il conseguimento di un titolo di dottorato pone in evidenza l’acquisizione della propria capacità di essere ricercatore e di assumere impegni specifici di collaborare alla formazione dei confratelli e di favorire la maturazione del senso di comunità. Lo studio, infatti, favorisce moltissimo anche l’intensità della vita spirituale e della direzione spirituale che «non è un opzional, nemmeno in questo periodo, anche per il contrasto culturale, proprio per mantenersi altamente motivati. Questo è un tempo molto bello per voi, non avete altra preoccupazione, per cui vivetelo con grande gioia, con grande dedizione e con grande responsabilità».

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ZENIT Staff

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