«Il Cammino è una grazia»

Ieri, al palasport dell’Arsenale di Venezia, l’incontro tra il Patriarca Moraglia e il movimento neocatecumenale

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«Il Cammino è una grazia, è una grazia riconosciuta nella Chiesa, riconosciuta dalla Chiesa». A chi vi fa parte è richiesto di caratterizzare la propria vita «all’interno di una spiritualità che desidera essere sempre all’interno della Chiesa». E’ possibile così «arricchire la Chiesa con il nostro carisma e nello stesso tempo garantire il nostro carisma perché non fatichiamo a vivere i momenti comuni della Chiesa. E’ uno scambio che arricchisce reciprocamente chi ha un carisma e chi chiede di essere garantito in quel carisma dalla Chiesa stessa».

Sono le parole che mons. Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia, ha rivolto a chi sta riscoprendo il proprio battesimo attraverso il Cammino neocatecumenale. In più di duemila, da tutta la diocesi di Venezia, sono convenuti ieri, venerdì 10 maggio, al palasport veneziano dell’Arsenale. Sul parterre, in particolare, sedeva un gran numero di bambini in età scolare; altri, più piccoli, stavano sulle tribune con i genitori. Insieme provenivano dalle sessanta comunità presenti nel Patriarcato, in dieci parrocchie di Venezia, Mestre e Caorle.

Si trattava del primo incontro ufficiale di mons. Moraglia, da un anno Patriarca di Venezia, con chi segue questo “itinerario di formazione cattolica, valida per la società e per i tempi odierni”, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II. Lo accompagnavano una trentina di sacerdoti, tra cui mons. Valter Perini, delegato patriarcale per l’Evengelizzazione, e mons. Danilo Barlese, delegato per il Coordinamento della Pastorale. Sul palco, insieme all’équipe che segue il Cammino in diocesi, erano presenti i catechisti responsabili per il Veneto: Stefano Gennarini, Silvana Venditti e don Livio Orsingher.

E’ stato proprio Stefano Gennarini a presentare a mons. Moraglia le Comunità veneziane. «Il Cammino è iniziato in questa diocesi nel 1972. Era patriarca Luciani, che ci seguì in tutte le tappe, finché dovette lasciare la diocesi per andare a Roma». Un enorme striscione, illustrato da Gennarini, schematizzava il percorso di questo itinerario di iniziazione cristiana.

Sono state concrete testimonianze di vita, offerte da ragazzi e famiglie estratte a sorte dallo stesso Patriarca, a raccontare più di molti discorsi cosa abbia prodotto il neocatecumenato in chi si trova nelle diverse tappe del Cammino. Giacomo, quindicenne, decimo di dodici figli, si sente salvato da questa esperienza: «Il mondo mi offre tante cose che apparentemente mi danno la libertà, la pace, la felicità. Dopo essermi per un po’ allontanato ho sperimentato che Dio mi chiamava e che la felicità la potevo trovare solo in lui. A volte faccio fatica a credere, ma Dio mi fa vedere che ha un grande progetto per me». Simonetta, 39 anni, racconta che fino al matrimonio, dieci anni fa, pensava di vivere bene, «invece mi mancava qualcosa. Dio mi ha ripreso come una pecorella smarrita. Ho ricominciato una nuova vita piena della serenità che solo Dio dà. Vedo la differenza tra il mio matrimonio e quello dei miei amici».

C’è Emanuele, avvocato quarantenne, da cinque anni in missione in Irlanda. «Lì il Signore ci sta curando. Siamo partiti con l’idea di evangelizzare, invece il Signore sta convertendo il nostro cuore. Un aiuto enorme è stato nostro figlio Elia: è una catechesi vivente sul senso della vita». Degli otto figli avuti con Benedetta, infatti, il terzo è affetto da un grave problema genetico. «Quando annuncio agli altri che Cristo è entrato nella storia posso mostrare mio figlio e dire a tutti che la croce non è spaventosa, che il senso della vita è il cielo». «Questo figlio – conferma Benedetta – è una grazia grandissima. Dio è perfetto in tutto, anche in quello che il mondo pensa sia difettoso. C’è una perfezione che apre le porte del cielo».

Anche Nicola e Chiara, sempre in Irlanda in missione, possono dire che «la scoperta della missione non è quello che dai ma quello che ricevi». Forte poi è il sostegno della loro comunità: «Non siamo soli a vivere la nostra fede». Nelle sofferenze che si devono patire per annunciare il Vangelo, poi, «il Signore ci ricompensa, ci dà grazie grandi».

Guardando alla realtà sacramentale, ha detto il Patriarca ai presenti, «la Chiesa è quel segno che ci unisce a Dio attraverso Gesù Cristo. E all’interno della Chiesa esistono i vari carismi, il vostro carisma. Sappiatelo annunciare agli altri vivendolo e soprattutto esprimendolo in una forte comunione ecclesiale. Questo è l’augurio, questo è quello che il Signore attende da ciascun battezzato». E’ il battesimo, infatti, «che ci unisce, oltre le singole spiritualità. Il battesimo garantisce l’unità nella diversità».

Riferendosi alle esperienze di annuncio e di missione che caratterizzano il Cammino, mons. Moraglia ha sottolineato che «non si è evangelizzati fintantoché non si risponde alla domanda del Signore che ci manda». E anche «la sofferenza, la tristezza, il dolore che molte volte viviamo patendo il rifiuto di chi non accoglie il Signore fa parte dell’evangelizzazione, è ciò che la rende e la renderà feconda. Quella sofferenza è come il chicco di grano che muore e morendo porta molto frutto. Il rifiuto subìto è la certezza che qualcuno proprio a causa di questa nostra sofferenza si convertirà».

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Paolo Fusco

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