Avviata la riflessione sul ruolo del Vescovo di Roma

Articolo di monsignor Fortino su “L’Osservatore Romano”

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CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 16 novembre 2007 (ZENIT.org).- Riportiamo l’articolo di monsignor Eleuterio F. Fortino, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, pubblicato nell’edizione italiana quotidiana de “L’Osservatore Romano” del 17 novembre 2007.

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La X sessione plenaria della Commissione mista del dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme, che ha avuto luogo a Ravenna (8-15 ottobre 2007), ha concordato e reso pubblico un documento dal titolo “Conseguenze ecclesiologiche della natura sacramentale della Chiesa: comunione ecclesiale, conciliarità e autorità”. Il documento è complesso e denso di aspetti: storici, ecclesiologici, canonici. A conclusione della sessione è stato letto, paragrafo per paragrafo, e approvato da tutti i membri presenti prima che i due co-presidenti lo dichiarassero approvato e pubblicabile con un embargo di un mese.

L’ultimo numero del documento esprime la convinzione dell’importanza del risultato raggiunto in questi termini: “Noi membri della Commissione internazionale (…) siamo convinti che la dichiarazione di cui sopra rappresenta un positivo e significativo progresso nel nostro dialogo e che essa fornisce una solida base per la discussione futura sulla questione del primato nella Chiesa ad un livello universale”. Il documento esprime una tappa nel dialogo che intravede in avanti un cammino ancora lungo. Il documento si situa nella prospettiva della visione della comunione ecclesiale (koinonia, communio) così come è emersa dai primi quattro documenti pubblicati da questa Commissione. Nell’intento di descrivere la natura della comunione ecclesiale era stato affermato che essa si fonda sull’unità di fede, di sacramenti e di ministero. “Sulla base di tali affermazioni comuni della nostra fede – si dichiara nel presente documento – dobbiamo trarre ora le conseguenze ecclesiologiche e canoniche derivanti dalla natura sacramentale della Chiesa”. Il documento parte da un duplice interrogativo: in che modo la vita della Chiesa manifesta la sua struttura sacramentale? Qual è la relazione tra l’autorità inerente ad ogni istituzione ecclesiale e la conciliarità che deriva dal mistero della Chiesa come comunione?

Il documento è articolato in due parti. Nella prima si presentano i fondamenti della conciliarità e dell’autorità nella Chiesa, due dimensioni intrecciate tra di esse per sorreggere la comunione ecclesiale e renderla armonicamente attiva. Nella comunione ecclesiale – si afferma – tutti i fedeli sono responsabili della vita della Chiesa, e non soltanto i vescovi, anche se questi hanno un carisma e un ruolo proprio. Nel proclamare la fede della Chiesa e nel chiarire le norme del comportamento cristiano, i vescovi per istituzione divina, hanno un compito specifico, la cui autorità (exousìa) non è “qualcosa che la comunità delega”, ma al contrario “è un dono dello Spirito Santo destinato al servizio (diakonìa) della comunità e mai esercitato al di fuori di essa”. A questo punto si cita san Cipriano secondo il quale il vescovo è nella Chiesa e la Chiesa nel vescovo. Un modo particolare con cui si esprime l’autorità e la conciliarità nella vita della Chiesa sono i concili locali, regionali ed ecumenici. La dimensione conciliare della vita della Chiesa appartiene alla sua natura più profonda. Nel documento si ribadisce che “i concili costituiscono il principale modo di esercizio della comunione tra i vescovi”, ma nella storia si indicano altre espressioni, come lettere di comunione, consultazioni, ricorsi ad aiuti in tempi difficili, in momenti di crisi, di scismi o di eresie.

La seconda parte del documento tratta in modo specifico della “triplice attualizzazione della conciliarità e dell’autorità”. Questa prospettiva viene introdotta con l’affermazione che “la dimensione conciliare della Chiesa deve essere presente ai tre livelli della comunione ecclesiale: locale, regionale e universale”. A livello locale si intende la diocesi affidata al vescovo. A livello regionale si intende un insieme di Chiese locali (metropolia, patriarcato) con i loro vescovi che riconoscono colui che è il primo tra di loro. Per il livello universale si afferma nel documento che “coloro che sono i primi (pròtoi) nelle varie regioni, insieme con tutti i vescovi, collaborano per ciò che riguarda la totalità della Chiesa. A questo livello i pròtoi debbono riconoscere chi è il primo tra di loro”.

Quanto viene affermato per questo terzo livello contiene la novità del documento perché introduce la visione della cattolicità della Chiesa e il ruolo del vescovo di Roma in essa di cui, nella prossima fase di dialogo, si dovranno precisare in un comune accordo le sue prerogative.

In questa visione il documento tratta il ruolo dei concili ecumenici nella storia, strumenti privilegiati di conciliarità e di autorità. Il documento afferma: “La conciliarità a livello universale, esercitata nei concili ecumenici, implica un ruolo attivo del vescovo di Roma, quale pròtos tra i vescovi delle maggiori sedi, nel consenso dell’assemblea dei vescovi. Sebbene il vescovo di Roma non abbia convocato i concili ecumenici dei primi secoli, e non li abbia mai presieduti, egli fu nondimeno coinvolto nel processo decisionale di tali concili”.

Primato e conciliarità sono “reciprocamente interdipendenti”. Il documento qui osserva che ai vari livelli della vita della Chiesa – locale, regionale, universale – “il primato deve essere sempre considerato nel contesto della conciliarità e, analogamente, la conciliarità nel contesto del primato”. Il documento entra più direttamente nel problema del pròtos a livello universale. Ricorda innanzitutto che “Entrambi le parti (cattolici e ortodossi) concordano sul fatto che Roma, in quanto Chiesa che presiede nella carità occupava il primo posto nella tàxis e che il vescovo di Roma era pertanto il pròtos tra i patriarchi”.

Per quanto riguarda il primato ai diversi livelli, il documento afferma due punti:
a) Si tratta di una pratica fermamente fondata nella tradizione canonica della Chiesa.
b) Mentre il fatto del primato a livello universale è accettato dall’Oriente e dall’Occidente, esistono delle differenze sia circa il modo secondo cui esso dovrebbe essere esercitato, sia circa i suoi fondamenti scritturistici e teologici.

Il documento segnala varie piste di ricerca.

Innanzitutto una di carattere storico; le due parti in dialogo “non sono d’accordo sull’interpretazione delle testimonianze storiche per ciò che riguarda le prerogative del vescovo di Roma in quanto pròtos, questione compresa in diversi modi già nel primo millennio”.

In prospettiva pone la seguente questione: “Qual è la funzione specifica del vescovo della prima sede in un’ecclesiologia di koinonìa”?

Questa domanda incontra la richiesta che Papa Giovanni Paolo II ha fatto per un dialogo fraterno allo scopo di “trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. (…) Lo Spirito Santo ci doni la luce ed illumini tutti i pastori e teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri” (Ut unum sint, 95).

Forse il dialogo cattolico-ortodosso è la risposta più impegnativa alla richiesta di Papa Giovanni Paolo II.

Il presente documento della Commissione mista internazionale ha concordato una base solida per il dialogo sulla questione cruciale e ha progettato un piano concreto per la continuazione dell’ulteriore studio. Per ora, ha deciso il tema per la prossima sessione plenaria che avrà luogo nel mese di ottobre del 2009. Il tema sarà la continuazione di quello concluso a Ravenna e un suo approfondimento: “Il ruolo del
vescovo di Roma nella comunione ecclesiale nel primo millennio”. Il dialogo, ben orientato, resta positivamente aperto.

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ZENIT Staff

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