Antonio Rosmini, esempio di “carità intellettuale”, afferma il Papa

Nel giorno della beatificazione del sacerdote originario di Rovereto

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Di Mirko Testa

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 18 novembre 2007 (ZENIT.org).- Antonio Rosmini è un esempio mirabile di “carità intellettuale”, ha detto questa domenica Benedetto XVI nel giorno della beatificazione a Novara del sacerdote che fu uno dei più grandi pensatori filosofici e teologici dell’Italia dell’800.

Al termine della preghiera dell’Angelus, il Papa ha ricordato il neo beato come una “grande figura di sacerdote e illustre uomo di cultura, animato da fervido amore per Dio e per la Chiesa”.

“Testimoniò la virtù della carità in tutte le sue dimensioni e ad alto livello, ma ciò che lo rese maggiormente noto fu il generoso impegno per quella che egli chiamava ‘carità intellettuale’, vale a dire la riconciliazione della ragione con la fede”, ha detto il Pontefice.

“Il suo esempio aiuti la Chiesa, specialmente le comunità ecclesiali italiane, a crescere nella consapevolezza che la luce della ragione umana e quella della Grazia, quando camminano insieme, diventano sorgente di benedizione per la persona umana e per la società”, ha concluso.

Vissuto nella prima metà del secolo diciannovesimo (Rovereto 1797 – Stresa 1855), sacerdote, religioso, fondatore di due ordini religiosi (Istituto o Società della Carità e Suore della Provvidenza), Antonio Rosmini fu un pensatore enciclopedico con più di cento opere all’attivo.

Lo spirito che lo animò gli fu suggerito dallo stesso Papa Pio VIII, che ricevendolo in udienza il 15 maggio 1829, gli disse: “La Chiesa al presente ha gran bisogno di scrittori; dico di scrittori solidi, di cui abbiamo somma scarsezza. Per influire utilmente sugli uomini, non rimane oggidì altro mezzo che quello di prenderli colla ragione, e per mezzo di questa condurli alla religione”.

Rosmini avvertì in modo acuto soprattutto il bisogno per la cultura occidentale di tenere unite ragione e fede, vangelo e progresso, mondo naturale e soprannaturale, scienza e fede. Capì, infatti, che la storia moderna correva il rischio di chiudere l’uomo in se stesso, in nome della ragione, cioè di staccarlo dal trascendente.

A sedici anni avverte la chiamata al sacerdozio. Nel 1816 si iscrive all’Università di Padova per gli studi teologici e il 21 aprile 1821 arriva alla consacrazione sacerdotale.

Inizia così per lui un periodo di ritiro a Rovereto, in cui l’occupazione di fondo sono studio e preghiera, durante il quale matura la decisione di dedicarsi unicamente alla propria conversione.

Nel ritiro di Rovereto si dedica anche a comporre un’opera di filosofia politica – incentrata sulle aspirazioni dei popoli e l’azione dei governi sulla via di una reale giustizia sociale e della vera libertà.

Sul Monte Calvario di Domodossola, nella quaresima del 1828, si raccoglie in preghiera e digiuno e stende il testo delle Costituzioni che segna la nascita dell’Istituto della Carità, impegnato a professare la carità “universale” nelle tre forme (spirituale, intellettuale e corporale) secondo le necessità del prossimo. Alla fine del 1828 riceve l’approvazione di Pio VIII.

Sempre per aderire alla volontà di Dio, nel 1832 don Antonio si trova a guidare, nei suoi primi passi, la Congregazione delle Suore della Provvidenza, la cui vita evangelica riprende la stessa ascetica dell’Istituto maschile. Giungono, intanto, le prime richieste di opere apostoliche, in prevalenza scuole: inizia così l’opera dei “maestri” e delle “maestre” rosminiane, che si sviluppa nel tempo e perdura tuttora.

Mentre si occupa della vita dei due Istituti, don Antonio scrive diversi libri, ma la sua attività di pensatore gli porta una serie di difficili prove e incomprensioni, che segnano tutto l’ultimo periodo della sua vita.

In un primo tempo Rosmini soffrì per il suo modo di rapportarsi verso le emergenti democrazie. Nel 1849 i suoi due libri Le cinque piaghe della santa Chiesa e La Costituzione secondo la giustizia sociale furono messi all’Indice dei libri proibiti.

In seguito, nuove accuse portano a una vera e propria campagna antirosminiana, che indusse Pio IX a ordinare l’esame di tutte le sue opere, che durerà ben quattro anni.

Nel marzo del 1854 arriva la sentenza di piena assoluzione per le dottrine rosminiane, con il divieto di rinnovare in seguito le accuse. Pochi mesi dopo, il 1° luglio 1855, Antonio Rosmini, poco più che cinquantottenne, muore a Stresa nelle primissime ore del giorno.

Tuttavia, la pubblicazione di due opere postume (la Teosofia e L’Introduzione del Vangelo secondo Giovanni) dà occasione agli avversari di sferrare un nuovo attacco: raccolgono “Quaranta Proposizioni” riguardanti i punti fondamentali delle sue dottrine e le denunciano al Santo Uffizio.

Ne segue un decreto di condanna nel 1888, nel quale non si parla di dottrine eretiche, ma solo di affermazioni che “non sembravano consone alla verità cattolica”.

Attacchi e condanne non scalfiscono, però, la grandezza morale e spirituale di Rosmini: alle testimonianze sulla sua santità, mentre ancora era in vita, si aggiungeranno quelle di tante persone che, dopo la sua morte e fino ai nostri giorni, troveranno in lui un maestro di vita spirituale.

Finalmente nel febbraio 1994 la Congregazione per le Cause dei Santi dà il suo placet all’inizio del processo per la sua Causa di beatificazione.

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ZENIT Staff

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