Stamattina, nella Chiesa del Gesù, in occasione della festa liturgica di Sant’Ignazio di Loyola, papa Francesco è tornato a celebrare messa con i suoi confratelli gesuiti.
L’omelia del Santo Padre si è articolata intorno ai seguenti tre punti: mettere al centro Cristo e la Chiesa; lasciarsi conquistare da Lui per servire; sentire la vergogna dei nostri limiti e peccati, per essere umili davanti a Lui e ai fratelli.
Il Pontefice ha in primo luogo ricordato la simbologia dello stemma della Compagnia di Gesù: il monogramma Iesus Hominum Salvator (IHS) richiama “la centralità di Cristo per ciascuno di noi e per l’intera Compagnia, che Sant’Ignazio volle proprio chiamare ‘di Gesù’ per indicare il punto di riferimento”.
Anche negli Esercizi Spirituali, Sant’Ignazio sottolineava il cristocentrismo del suo ordine che, di fatto, induceva i suoi sacerdoti a essere “decentrati” e ad avere sempre davanti il “Cristo sempre maggiore”, il “Deus semper maior”, l’“intimior intimo meo”, che ci porta continuamente fuori da noi stessi, ci porta ad una certa kenosis, ad “uscire dal proprio amore, volere e interesse” (EE, 189).
Da qui una domanda rivolta alla coscienza dei gesuiti e di ogni cristiano: “è Cristo il centro della mia vita? Metto veramente Cristo al centro della mia vita?”. Interrogativo non scontato, poiché, ha spiegato il Santo Padre “c’è sempre la tentazione di pensare di essere noi al centro”.
I gesuiti, dunque, sono e rimangono “al servizio di Cristo e della Chiesa, la Sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica” ed in essa sono “radicati e fondati”.
“Cammini creativi” e “di ricerca” sono legittimi ma a determinate condizioni, ha aggiunto papa Francesco. Andare “verso le periferie”, come auspica spesso il Santo Padre, è fondamentale ma va fatto sempre “in comunità”, mai “paralleli o isolati”. La Chiesa va servita “con generosità e spirito di obbedienza”.
In merito al secondo concetto base dell’omelia, il Pontefice ha sottolineato il parallelismo tra San Paolo (cfr. Seconda Lettura odierna, Fil 3,12) e Sant’Ignazio: entrambi si sono lasciati “conquistare da Cristo”. Gesù, infatti, ci precede – “nos primerea”, ha spiegato il Papa con un espressione spagnola – e ci attende sempre.
Essere conquistati da Cristo, tuttavia, significa anche volerlo imitare “nel sopportare anche ingiurie, disprezzo, povertà” (cfr EE, 98), ha aggiunto Francesco, rivolgendo un pensiero al confratello gesuita rapito in Siria nei giorni scorsi.
Lasciarsi conquistare da Cristo significa, in definitiva, chiedersi e rispondersi con verità e sincerità: “Che cosa ho fatto per Cristo? Che cosa faccio per Cristo? Che cosa devo fare per Cristo? (cfr EE, 53)”.
Riguardo all’ultimo punto, il Papa ha ricordato quanto sia importante “non vergognarsi mai” di Cristo. Semmai va chiesta “la grazia della vergogna” che viene “dal continuo colloquio di misericordia con Lui” che ci fa “arrossire” davanti a Lui, che ci pone in sintonia con il suo cuore che “si è fatto peccato per me”.
Ciò significa, in definitiva, vivere la virtù della “umiltà”, che ci rende “consapevoli ogni giorno che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, ma è sempre la grazia del Signore che agisce in noi”.
In conclusione, papa Francesco ha esortato i suoi confratelli a chiedere l’intercessione di Nuestra Señora, di Maria Santissima, colei che “ha portato Cristo nel suo grembo e ha accompagnato i primi passi della Chiesa”, affinché “ci aiuti a mettere sempre al centro della nostra vita e del nostro ministero Cristo e la sua Chiesa” e “ci aiuti a lasciarci conquistare da Cristo per seguirlo e servirlo in ogni situazione”.