Papa Francesco e l'ingerenza spirituale tra Newman e Ratzinger

Il primato della coscienza intesa voce della verità all’interno del soggetto umano

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Papa Francesco, nell’intervista concessa a padre Antonio Spadaro, direttore di “Civiltà Cattolica”, afferma che «Papa Benedetto […] è un uomo di Dio» e in seguito, sollecitato dall’intervistatore, spiega: «Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile».

Quest’ultima affermazione richiama quanto presente nel Catechismo della Chiesa Cattolica(n.1790): «L’essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza. Se agisse deliberatamente contro tale giudizio, si condannerebbe da sé» (CCC 1790). Per una maggior comprensione di tale affermazione fondamentale per la fede cristiana risulta utile quanto ebbe a scrivere in modo non astratto me per «via narrativa» – proprio come dice di fare papa Francesco nella suddetta intervista – nel 1991 l’allora cardinal Joseph Ratzinger. 

[…] A chi non viene in mente, a proposito del tema “Newman e la coscienza”, la famosa frase della Lettera al Duca di Norfolk: “Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo – cosa che non è molto indicato fare – allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa”? Secondo l’intenzione di Newman questo doveva essere – in contrasto con le affermazioni di Gladstone – una chiara confessione del papato, ma anche – contro le deformazioni “ultramontanistiche” – un’interpretazione del papato, il quale è rettamente inteso solo quando è visto insieme col primato della coscienza – dunque non ad essa contrapposto, ma piuttosto su di essa fondato e garantito. Comprendere ciò è difficile per l’uomo moderno, che pensa a partire dalla contrapposizione di autorità e soggettività. Per lui la coscienza sta dalla parte della soggettività ed è espressione della libertà del soggetto, mentre l’autorità sembra restringere, minacciare o addirittura negare tale libertà. Dobbiamo quindi andare un po’ più in profondità, per imparare a comprendere di nuovo una concezione, in cui questo tipo di contrapposizione non vale più. […] 

La coscienza non significa per Newman che il soggetto è il criterio decisivo di fronte alle pretese dell’autorità, in un mondo in cui la verità è assente e che si sostiene mediante il compromesso tra esigenze del soggetto ed esigenze dell’ordine sociale. Essa significa piuttosto la presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all’interno del soggetto stesso; la coscienza è il superamento della mera soggettività nell’incontro tra l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio. […] 

Ciò che per Newman era invece importante era il dovere di obbedire più alla verità riconosciuta che al proprio gusto, addirittura anche in contrasto con i propri sentimenti e con i legami dell’amicizia e di una comune formazione. Mi sembra significativo che Newman, nella gerarchia delle virtù sottolinei il primato della verità sulla bontà o, per esprimerci più chiaramente: egli mette in risalto il primato della verità sul consenso, sulla capacità di accomodazione di gruppo. Direi quindi: quando parliamo di un uomo di coscienza, intendiamo qualcuno dotato di tali disposizioni interiori. Un uomo di coscienza è uno che non compra mai, a prezzo della rinuncia alla verità, l’andar d’accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte dell’opinione dominante. In questo Newman si ricollega all’altro grande testimone britannico della coscienza: Tommaso Moro, per il quale la coscienza non fu in alcun modo espressione di una sua testardaggine soggettiva o di eroismo caparbio.[…]

Basilio, coniando un’espressione divenuta poi importante nella mistica medioevale, parla della “scintilla dell’amore divino, che è stata nascosta nel nostro intimo”. Nello spirito della teologia giovannea egli sa che l’amore consiste nell’osservanza dei comandamenti, e che pertanto la scintilla dell’amore, infusa in noi dal Creatore, significa questo: “Abbiamo ricevuto interiormente un’originaria capacità e prontezza a compiere tutti i comandamenti divini… Essi non sono qualcosa che ci viene imposto dall’esterno”. È la stessa idea che in proposito anche Sant’Agostino afferma, riconducendola al suo nucleo essenziale: “Nei nostri giudizi non ci sarebbe possibile dire che una cosa è meglio di un’altra se non fosse impressa in noi una conoscenza fondamentale del bene”.[…]

Oggi noi, proprio nella crisi attuale della Chiesa, stiamo sperimentando in modo nuovo la forza di questa memoria e la verità della parola apostolica: più delle direttive della gerarchia è la capacità di orientamento della memoria della fede semplice che porta al discernimento degli spiriti. Solo in tale contesto si può comprendere correttamente il primato del Papa e la sua correlazione con la coscienza cristiana. Il significato autentico dell’autorità dottrinale del Papa consiste nel fatto che egli è il garante della memoria cristiana. Il Papa non impone dall’esterno, ma sviluppa la memoria cristiana e la difende. Per questo il brindisi per la coscienza deve precedere quello per il Papa, perché senza coscienza non ci sarebbe nessun papato. Tutto il potere che egli ha è potere della coscienza: servizio al duplice ricordo, su cui si basa la fede e che dev’essere continuamente purificata, ampliata e difesa contro le forme di distruzione della memoria, la quale è minacciata tanto da una soggettività dimentica del proprio fondamento, quanto dalle pressioni di un conformismo sociale e culturale.

Da: J. Ratzinger, Elogio della coscienza, in Il Sabato (16 marzo 1991), da http://www.ratzinger.us/modules.php?name=News&file=article&sid=16  

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ZENIT Staff

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