"Svegliate il mondo!"

“La Civiltà Cattolica” riporta il lungo colloquio tra Papa Francesco e l’Unione superiori generali, avvenuto lo scorso 29 novembre

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“Bisogna formare il cuore. Altrimenti formiamo piccoli mostri. E poi questi piccoli mostri formano il popolo di Dio. Questo mi fa venire davvero la pelle d’oca”. È uno dei tanti passaggi forti della conversazione tra Papa Francesco e l’Unione superiori generali, avvenuta lo scorso 29 novembre, in Aula del Sinodo. Il lungo dialogo è stato riportato oggi, in versione cartacea e digitale, da La Civiltà Cattolica, la storica rivista della Compagnia di Gesù, nel numero uscito oggi alle 15.00 e sul sito www.laciviltacattolica.it.

Cronista d’eccezione dell’evento, il direttore padre Antonio Spadaro, il quale, seduto tra i 120 superiori generali ricevuti dal Vescovo di Roma, ha registrato il colloquio libero e spontaneo, facendo una cronaca commentata dell’incontro – articolata in 15 pagine – anche alla luce del recente magistero di Bergoglio.

Il colloquio del Pontefice con l’Unione – racconta padre Spadaro – doveva essere un semplice saluto, invece è diventato un dialogo di tre ore sulle sfide principali che la vita religiosa e la Chiesa si trovano oggi ad affrontare. All’inizio della conversazione, Papa Francesco si è soffermato, in particolare, sulla identità e sulla missione dei religiosi affermando che “la radicalità evangelica non è solamente dei religiosi”, ma “è richiesta a tutti”. I religiosi, però, “seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico”, quindi – ha avvertito il Santo Padre – “devono essere uomini e donne capaci di svegliare il mondo”.

A loro quindi il compito di dar “testimonianza”, anche quando si sbaglia. “La vita è complessa, è fatta di grazia e di peccato. Se uno non pecca, non è uomo”, ha ammesso infatti Bergoglio. Tuttavia, “un religioso che si riconosce debole e peccatore non contraddice la testimonianza che è chiamato a dare, ma anzi la rafforza”. L’importante, ha sottolineato il Pontefice, è evitare il “fondamentalismo” e “illuminare il futuro”. A partire dalla realtà delle periferie, da dove cioè si sono realizzati “i grandi cambiamenti della storia”. “Stare nelle periferie – ha osservato il Papa – aiuta a vedere e capire meglio, a fare un’analisi più corretta della realtà, rifuggendo dal centralismo e da approcci ideologici”.

Quindi “per capire”, ha spiegato Francesco, “ci dobbiamo scollocare, vedere la realtà da più punti di vista differenti. Dobbiamo abituarci a pensare”. Il Papa ha ricordato la propria esperienza di gesuita e ha richiamato una lettera di padre Pedro Arrupe per ribadire che il religioso deve “conoscere davvero la realtà e il vissuto della gente”. “Se questo non avviene – ha ammonito – allora ecco che si corre il rischio di essere astratti ideologi o fondamentalisti, e questo non è sano”.

Nel colloquio, il Santo Padre ha poi rivolto un pensiero all’apostolato giovanile: “Chi lavora con i giovani non può fermarsi a dire cose troppo ordinate e strutturate come un trattato, perché queste cose scivolano addosso ai ragazzi. C’è bisogno di un nuovo linguaggio”. Sono tante, dunque, le sfide a cui la vita consacrata è chiamata a rispondere, ma la priorità, secondo il Successore di Pietro, resta “la profezia del Regno che non è negoziabile” e che “fa rumore”, perché ha il carisma di “essere lievito”. Una delle tentazioni più forti dei religiosi è infatti quella di “giocare a fare i profeti senza esserlo”, ha detto il Pontefice.

Ha poi incoraggiato a “cercare sempre nuovi cammini” per non diventare “sterili”, e a prestare maggiore attenzione alle vocazioni in crescita nelle Chiese giovani e all’inculturazione dei carismi. “Il carisma – ha infatti affermato – non è una bottiglia di acqua distillata. Bisogna viverlo con energia, rileggendolo anche culturalmente”. Certo, “c’è il rischio di sbagliare, direte, di commettere errori”, ma questo “non deve frenarci”. Anche perché – ha ribadito – dopo le cadute “dobbiamo sempre chiedere perdono e guardare con molta vergogna agli insuccessi apostolici che sono stati causati dalla mancanza di coraggio”.

In tal contesto, è fondamentale avere maggior cura della formazione: “Il fantasma da combattere – ha avvertito il Papa – è l’immagine della vita religiosa come rifugio e consolazione davanti a un mondo esterno difficile e complesso”. Ma bisogna stare in guardia anche dall’ipocrisia e dal clericalismo che possono nuocere al noviziato. “Non si risolvono i problemi semplicemente proibendo di fare questo o quello. Serve tanto dialogo, tanto confronto”, ha evidenziato il Pontefice. Altrimenti si scade nell’ipocrisia, frutto del clericalismo, che – ha affermato – è “uno dei mali più terribili”.

La formazione, inoltre, deve essere orientata non solamente alla crescita personale, ma al popolo di Dio, a coloro ai quali saranno inviati: “Pensiamo a quei religiosi che hanno il cuore acido come l’aceto, non sono fatti per il popolo”. “Non dobbiamo formare amministratori, gestori, ma padri, fratelli, compagni di cammino”, ha aggiunto Francesco. Si può dire, anzi, che la formazione sia “un’opera artigianale, non poliziesca”, articolata secondo quattro pilastri – “spirituale, intellettuale, comunitario e apostolico” – che “devono interagire sin dal primo giorno di ingresso in noviziato”. Il Papa – riferisce padre Spadaro – ha quindi ricordato nel suo discorso la “grande decisione” di Benedetto XVI nell’affrontare i casi di abuso: questo “ci deve servire da esempio per avere il coraggio di assumere la formazione personale come sfida seria, avendo in mente il popolo di Dio”, ha detto.

Nei governi centrali delle Congregazioni e degli ordini, ha poi evidenziato il Santo Padre, è necessario introdurre “persone di varie culture, che esprimano modi diversi di vivere il carisma”. In un certo senso, bisogna “inculturare il carisma”, che “non significa mai relativizzarlo”. Ai Superiori generali, Bergoglio ha inoltre annunciato di aver chiesto alla Congregazione per la Vita Consacrata di riprendere in mano il documento sulla vocazione dei religiosi che non sono sacerdoti e la Mutuae relationes, il testo sul rapporto tra vescovi e religiosi nelle Chiese locali. “Noi vescovi – ha sottolineato in proposito – dobbiamo capire che le persone consacrate non sono materiale di aiuto, ma sono carismi che arricchiscono le diocesi”. 

Da qui, una riflessione sul tema della fraternità e sul rischio dell’individualismo nelle comunità. “A volte è difficile vivere la fraternità, ma se non la si vive non si è fecondi”, ha asserito Bergoglio. E ha aggiunto: “Se una persona non riesce a vivere la fraternità, non può vivere la vita religiosa”. Diventa una sorta di conflitto che tuttavia “va assunto” e mai “ignorato”; anche perché “se coperto, esso crea una pressione e poi esplode”. Parlando dei religiosi, il Pontefice ha poi ammesso con grande sincerità: “A volte siamo molto crudeli. Viviamo la tentazione comune di criticare per soddisfazione personale o per provocare un vantaggio personale”. Altre volte, “le crisi della fraternità sono dovute a fragilità della personalità, e in questo caso è necessario richiedere l’aiuto di un professionista, di uno psicologo. Non bisogna avere paura di questo”. Mai, però, – ha ribadito con vigore il Papa – “dobbiamo agire come gestori davanti al conflitto di un fratello. Dobbiamo coinvolgere il cuore”. Per far questo, è necessario saper “accarezzare i conflitti” con “tenerezza eucaristica”.

Nell’ultima parte della conversazione – riferisce padre Spadaro – Papa Francesco ha parlato delle “frontiere” dell’evangelizzazione, sia quelle geografiche, che quelle “simboliche”, ovvero quelle che “non sono prefissate e non sono uguali per tutti”. In particolare, ha concluso il Santo Padre, la frontiera “culturale e quella educativa nella scuola e nell’università” è una missione “chiave”, che richiede di annunc
iare Cristo anche affrontando situazioni familiari inedite e complesse. (A cura di Salvatore Cernuzio)

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Il testo è scaricabile anche dal sito www.laciviltacattolica.it in italiano, inglese e spagnolo.

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ZENIT Staff

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