La canonizzazione di due papi da parte di due loro successori è indubbiamente un fatto nuovo, forse epocale. Le implicazioni più importanti dell’evento di domenica scorsa, tuttavia, sono molteplici e risultano di grande interesse, specie se osservate nel contesto attuale della secolarizzazione.
Vittorio Messori è stato il primo giornalista della storia ad aver intervistato un papa. Dal suo incontro con san Giovanni Paolo II scaturì il bestseller Varcare la soglia della speranza. La genesi di questo fortunato libro ed alcune riflessioni sul neocanonizzato pontefice polacco sono state raccontate da Messori nell’intervista qui proposta da ZENIT.
Nel suo più recente editoriale sul Corriere della Sera, Lei ha affermato che ci troviamo di fronte a un “paradosso”: a un mondo sempre più secolarizzato e una Chiesa che perde consensi, fanno da contraltare figure papali di altissimo profilo, a partire dai due neocanonizzati, per i quali domenica scorsa la partecipazione popolare è stata oceanica. Il processo di secolarizzazione non è quindi così irreversibile?
Vittorio Messori: Da lettori obbedienti del Vangelo dobbiamo innanzitutto non dimenticare la verità. Dunque, dobbiamo stare attenti a non “eccitarci” troppo per le piazze strapiene: vi sono raduni politici o concerti rock altrettanto affollati, i secondi peraltro accessibili a pagamento, mentre le canonizzazioni sono gratis… In una prospettiva cristiana, l’entità della folla non è un indicatore valido. Tra l’altro va detto che buona parte dei presenti erano stati portati con l’organizzazione di molte diocesi polacche. Anche le diocesi lombarde, in particolare quella di Bergamo, si erano mobilitate, ovviamente per papa Giovanni. C’erano poi, assai numerosi, i neocatecumenali, i focolarini, CL, i carismatici… Il paradosso è l’indubbia popolarità dei papi e la continua diminuzione, se non crollo, di tutti gli indicatori cattolici, a partire dai praticanti almeno alla messa, dalle vocazioni religiose e così via.
Parlando di secolarizzazione, poiché il pendolo della storia si muove da un punto all’altro, probabilmente stiamo entrando in una fase di “desecolarizzazione”: abbandono di un certo razionalismo di massa, riscoperta della dimensione spirituale, del mistero. Il problema è che questo fenomeno si muove come una sorta di fai-da-te, una religione vista come una specie di “self-service”, che però non risponde ad alcun magistero, tanto più ad un magistero impegnativo come quello della Chiesa Cattolica.
In ogni caso ben vengano queste manifestazioni, tenendo presente che i papi – in particolare degli ultimi sette decenni – sono stati di una straordinaria qualità umana, culturale e religiosa, anche per un osservatore laico. Tutto questo è avvenuto mentre la Chiesa si assottigliava con la chiusura di seminari, scuole e altre istituzioni. Se tuttavia il frutto – almeno al vertice, nella figura del Vescovo di Roma – è buono, vuol dire che lo è ancora l’albero. Malgrado tutto…
La contestuale canonizzazione di due papi, oltretutto alla presenza di un pontefice regnante e di uno emerito, è un fatto epocale: Lei come lo valuta?
Vittorio Messori: Diffido molto di espressioni troppo abusate dai media come “fatto storico” o “svolta epocale”. Certamente però quello di domenica scorsa è stato un fatto inedito: due papi vivi (uno regnante ed uno emerito) che canonizzano due loro colleghi, tra l’altro due confratelli non di epoca remota ma che essi stessi hanno conosciuto bene. L’interesse dei media mondiali è stato determinato anche dal fatto che era la prima volta che ciò si verificava.
Venendo a Giovanni Paolo II, al momento della sua elezione, nel 1978, Lei era già un giornalista e scrittore affermato: come accolse la novità di un papa polacco e cosa scrisse in merito?
Vittorio Messori: Ebbi subito la certezza, comunque condivisa da altri, che l’elezione di un papa polacco – oltretutto della caratura del cardinale Karol Wojtyla, che io avevo conosciuto a Torino, quand’ero redattore della Stampa, in occasione dell’ostensione della Sindone – sarebbe stata un pericolosissimo colpo per i paesi del blocco sovietico. Pensai addirittura che poteva trattarsi di un cuneo che avrebbe fatto esplodere quel sistema, come, in effetti, avvenne. Lo previdi non perché sia un profeta: tutti gli osservatori attenti sapevano che, nonostante le apparenze, il blocco comunista era in gravissima crisi e che un papa proveniente da quel mondo sarebbe potuto diventare il detonatore che avrebbe fatto crollare un sistema ormai in disfacimento.
Come nacque l’idea di un libro-intervista a Giovanni Paolo II e quale fu la sua esperienza umana con il pontefice in questa circostanza?
Vittorio Messori: In realtà avevo già fatto un libro-intervista con il cardinale Joseph Ratzinger, Rapporto sulla fede, che determinò adesioni entusiastiche e polemiche feroci in tutto il mondo, dove fu tradotto in una ventina di lingue. Da soli tre anni Ratzinger era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Fu contento del nostro incontro e del nostro libro: ne parlò con Giovanni Paolo II e il Papa disse qualcosa come: “Visto che la cosa funziona sul piano pastorale, potremmo ripetere l’esperienza”. Pensò ad un’intervista televisiva ma, quando mi convocò a Castel Gandolfo per parlarne, gli dissi che non me la sentivo di accettare, essendo io un giornalista della carta stampata che non aveva mai lavorato per la TV. Ne discutemmo e lui decise di rispondere a delle domande scritte che gli avrei inviato direttamente sul suo fax personale. Nacque così Varcare la soglia della speranza, un libro uscito in 53 lingue, vendendo oltre 20 milioni di copie. Oggi anche i passanti intervistano il Papa ma allora era la prima volta nella storia, quindi il rumore fu planetario.
Quelle che gli posi non erano le solite domande noiose che già allora erano ricorrenti: sacerdozio femminile, condizione degli omosessuali, matrimonio dei divorziati, impegno della Chiesa in politica, IOR. Scelsi senza esitazione di attenermi ai “ fondamentali”, alle basi stesse della fede: Dio, Gesù Cristo, la Chiesa, la possibilità di credere oggi. Ciò che oggi è drammaticamente in crisi è la fede stessa, tutto il resto non è che conseguenza di cui parlare solo dopo avere chiarito se alla verità Vangelo ci si crede ancora o no.
Stando accanto a Giovanni Paolo II si avvertiva un’aura evidente di santità, un carisma straordinario che proprio ora, con la canonizzazione, è stato riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa.
Lei ha dedicato molte pagine dei suoi scritti a Maria: Wojtyla, papa “mariano” per eccellenza, l’ha mai ispirata in tal senso?
Vittorio Messori: Venero Maria e ne sono devoto non, ovviamente, per se stessa, ma in funzione di Cristo. Chi mi interessa è Gesù. Più avanzavo, nei miei studi sul cristianesimo, più mi rendevo conto dell’importanza della Madre per comprendere Lui. Tutto ciò che la Chiesa dice o ha detto su Maria, in realtà, riguarda il Figlio. Tutti i dogmi mariani sono, a ben vedere, dogmi cristologici nel senso che sono verità che, attraverso Maria, confermano la fede in Gesù. Maria, senza Gesù, è soltanto una oscura casalinga ebraica. Con Lui è addirittura la Theotokos, la Madre di Dio. Non a caso, nella simbologia cristiana, Maria è la luna, non brilla di luce propria ma della luce riflessa dal Figlio. Questo legame decisivo in Wojtyla era molto chiaro. In lui mi riconoscevo, nel senso che mi ha confermato che dimenticare la Madre significa sempre e comunque, alla fine, oscurare e magari dimenticare anche il Figlio, come mostra la drammatica secolare esperienza del protestantesimo.
Soprattutto negli ultimi anni del suo pontificato, Giovanni Paolo II insistette sul tema dell’Europa
e delle sue radici cristiane: un appello finora inascoltato. Eppure, anche alle prossime elezioni europee, sono numerosi i candidati che si professano cattolici o quantomeno cristiani: che eredità e che insegnamento trasmette il nuovo Santo ai politici europei?
Vittorio Messori: Ho sempre detto con ironia che negare le radici cristiane dell’Europa non è un’offesa alla Chiesa, né al cristianesimo, è un’offesa alla storia e al buon senso. Ho sempre un po’ sorriso beffardamente di fronte a chi voglia negare queste origini. Come ripeté con energia anche Benedetto XVI, per papa Wojtyla l’Europa è figlia di un messaggio venutoci da Gerusalemme, che ad Atene ha assunto e trasfigurato la saggezza filosofica della classicità e che a Roma ha inquadrato il suo insegnamento nel genio tutto latino delle leggi chiare e giuste. Così dice la storia, quella vera, non quella degli schemi ideologici. E questo era quanto sia Wojtyla e Ratzinger hanno sempre ripetuto.