«La tolleranza non ha mai provocato una guerra civile; l’intolleranza ha coperto la terra di massacri».
Quanto vere fossero, ed ancora siano, le parole di Voltaire, lo dimostrano, con drammaticità, i fatti che arrivano in cronaca dalla Siria, con le recenti crocifissioni di più d’un cristiano, o dalla Nigeria. Qui il 14 aprile i militari di Boko Haram, un’organizzazione terroristica jihadista dedita ai massacri di cattolici, hanno sequestrato 200 studentesse tra i 14 e i 18 anni. Qualche giorno fa, in un video, il capo delle milizie ha annunciato che le ragazze verranno vendute a 12 euro in Ciad e Camerun o date in sposa, ovviamente contro la loro volontà, agli stessi miliziani. Per tutta risposta, il presidente americano Obama ha equiparato Boko Haram alle «peggiori organizzazioni terroristiche». Il premier inglese Cameron ha allertato le teste di cuoio britanniche, il francese Hollande è pronto ad inviare aiuti. La Cina farà lo stesso.
Insomma, di fronte all’intolleranza qualcosa si muove. Finalmente, quello che accade nel cuore dell’Africa viene considerato come una minaccia universale, anche se stranamente si continua ad ignorare quanto di simile accade in altri Paesi, per esempio in India, Afghanistan e Pakistan. La comunità internazionale, insomma, sia pur timidamente e non senza contraddizioni frutto dell’esigenza di contemperare le ragioni del diritto e della vita con gli interessi e gli equilibri politici ed economici, sembra aprire gli occhi di fronte alle violenze contro i cristiani, che non vengono perseguitati perché a essi viene conteso un potere mondano, politico o militare, ma sol perché portatori di un’altra visione della vita, fatta di servizio e di libertà, a partire dalla fede.
Dal loro sangue nasce una consapevolezza nuova. Soprattutto, ha ricordato giovedì scorso Papa Francesco ricevendo Sua Santità Karekin II, Catholicos di tutti gli Armeni, «come nella Chiesa antica il sangue dei martiri divenne seme di nuovi cristiani, così ai nostri giorni il sangue di molti cristiani è diventato seme dell’unità. Sentiamo il dovere di percorrere questa strada di fraternità anche per il debito di gratitudine che abbiamo verso la sofferenza salvifica di tanti nostri fratelli».
Il nostro tempo è costellato di martiri e di martirii: nella libertà ricevuta senza memoria rischia di perdersi il senso stesso del fare e del costruire insieme. La Croce è il paradosso assoluto, l’ultima possibilità, anche civile, di riscatto. Per onorare tutti i sacrifici, ai quali si devono la vita e la dignità che l’uomo contemporaneo spesso spreca, ed al tempo stesso per riscoprire il piùelementare ma genuino significato di libertà, testimoniare con coraggio l’integralità della fede è la strada da seguire, l’unica possibile. «L’esempio di Pietro e Giovanni ci aiuta, ci dà forza», ricordava qualche tempo fa proprio Papa Francesco, aggiungendo: «Questo dà forza, a noi, che alle volte abbiamo la fede un po’ debole. Ci dà la forza di testimoniare con la vita la fede che abbiamo ricevuto, questa fede che è il dono che il Signore dà a tutti i popoli».