Applausi, risate, domande e risposte tutte rigorosamente a braccio. Ancora una volta Bergoglio riesce a trasformare un’udienza in Aula Paolo VI, come quella di oggi con i Pontifici Collegi e Convitti di Roma, in una grande tavolata tra amici dove scambiare quattro chiacchiere. Che poi chiacchiere non sono visto che il Pontefice, tra una battuta ironica e un’osservazione arguta, ha richiamato all’ordine e in un certo senso bacchettato studenti e rettori, mettendoli in guardia dai pericoli in cui rischiano di incorrere. A cominciare dall’“accademismo”, il puntare tutto cioè sulla formazione intellettuale a scapito di quella spirituale.
La “malattia” dell’accademismo
“I vescovi – ha sottolineato il Pontefice, rispondendo appunto ad una domanda sulla formazione accademica – vi inviano qui perché abbiate una laurea, ma anche per tornare in diocesi. Ma in diocesi dovete lavorare nel presbiterio, come presbiteri”.
In tal senso, sono quattro i “pilastri” su cui si basa la formazione sacerdotale, secondo il Papa: la formazione “spirituale”, “accademica”, “comunitaria” e “apostolica”. Qui a Roma, ha osservato, si coltiva molto “la formazione intellettuale”; ma non bisogna trascurare gli altri tre pilastri perché “tutti e quattro interagiscono tra di loro”.
“Io – ha detto Bergoglio – non capirei un prete che venga a prendere una laurea qui, a Roma, e che non abbia una vita comunitaria o non cura la vita spirituale – la Messa quotidiana, la preghiera quotidiana, la lectio divina, la preghiera personale con il Signore – o la vita apostolica”. Da solo “il purismo accademico non fa bene. Il Signore vi ha chiamati ad essere sacerdoti, ad essere presbiteri: questa è la regola fondamentale”, ha ribadito il Santo Padre.
E ha ammonito anche da un altro rischio: “Se soltanto si vede la parte accademica, c’è pericolo di scivolare sulle ideologie, e questo ammala. Anche, ammala la concezione di Chiesa”. Per capire la Chiesa, infatti, “c’è bisogno di capirla dallo studio ma anche dalla preghiera, dalla vita comunitaria e dalla vita apostolica”. “Quando noi scivoliamo su una ideologia – ha spiegato Francesco – perché siamo ‘macrocefali’, per esempio, e andiamo su quella strada, avremo una ermeneutica non cristiana, un’ermeneutica della Chiesa ideologica”.
Invece, la Chiesa va guardata “con occhi di cristiano”, pensata “con mente di cristiano”, amata “con cuore cristiano”. Il caso contrario diventa una deviazione, se non “una malattia”, ha sottolineato il Pontefice, e la Chiesa “finisce mal capita”. Per questo è bene insistere sul lavoro accademico, ma stare attenti a non far prendere ad esso il sopravvento sulla vita spirituale, comunitaria e apostolica.
Seminario e vita comunitaria: un utile “purgatorio”
Sulla stessa linea, Bergoglio ha risposto poi ad un seminarista cinese che chiedeva un consiglio per rendere la comunità del seminario “un luogo di crescita umana e spirituale e di esercizio di carità sacerdotale”. Francesco ha citato le parole di un anziano vescovo dell’America Latina: “È molto meglio il peggiore seminario che il non-seminario”. “Se uno si prepara al sacerdozio da solo, senza comunità, questo fa male”, ha ribadito il Papa.
“La vita del seminario, cioè la vita comunitaria, è molto importante”, perché “c’è la condivisione tra i fratelli, che camminano verso il sacerdozio, ma anche ci sono i problemi, le lotte di potere, lotte di idee, anche lotte nascoste; e vengono i vizi capitali: l’invidia, la gelosia…”. Allo stesso tempo, però, “vengono le cose buone: le amicizie, lo scambio di idee…”. Potremmo dire che “la vita comunitaria non è il paradiso”, ma “almeno, il purgatorio”, ha detto il Papa scatenando gli applausi in Aula. Come diceva un “santo gesuita”: “La maggiore penitenza è la vita comunitaria…”. Eppure “dobbiamo andare avanti, nella vita comunitaria”, ha insistito il Santo Padre, indicando “quattro-cinque” regolette come aiuto per questo cammino.
Non sparlare gli uni degli altri…
Innanzitutto, “mai, mai sparlare di altri!”: “Se io ho qualcosa contro l’altro, o che non sono del parere: in faccia! Ma noi, i chierici, abbiamo la tentazione di non parlare in faccia, di essere troppo diplomatici, quel linguaggio clericale, no? Ma, ci fa male! Ci fa male!”.
È la consueta denuncia di quelle chiacchiere che rovinano l’armonia di una comunità. Questa volta, però, il Papa ha voluto spiegare il concetto con fatti concreti e, lasciandosi andare ai ricordi, ha raccontato quando 22 anni fa, appena nominato vescovo, aveva preso “una decisione un po’ troppo diplomatica” che aveva provocato “le conseguenze che vengono da queste decisioni che non si prendono nel Signore”.
Chiedendo un parere al suo segretario di allora, un giovane sacerdote ordinato da qualche mese, “lui – ha raccontato il Papa – mi ha guardato in faccia e mi ha detto: ‘Lei ha fatto male: lei non ha preso una decisione paterna’, e mi ha detto tre o quattro cose di quelle forti… Molto rispettoso, ma me le ha dette. E poi, quando se n’è andato, io ho pensato: ‘Questo non lo allontanerò mai dal posto di segretario: questo è un vero fratello!’. Invece, quelli che ti dicono le cose belle davanti e poi da dietro non tanto belle…”.
Insomma un aneddoto personale per rimarcare che “le chiacchiere sono la peste di una comunità” e che se si deve dire qualcosa bisogna farlo “in faccia, sempre”. “E se non hai il coraggio di parlare in faccia – ha esortato Papa Francesco – parla al superiore o al direttore, che lui ti aiuterà. Ma non andare per le stanze dei compagni per sparlare”. Che non si dicesse infatti “che chiacchierare è cosa di donne – ha aggiunto il Pontefice con simpatia – anche noi maschi chiacchieriamo abbastanza e quello distrugge la comunità”.
… ma pregare gli uni per gli altri
Un’altra ‘regola’ è poi “la preghiera comunitaria”. Un ricordo personale anche su questo: il poco più che ventenne Bergoglio, studente di filosofia, “confessò al suo padre spirituale di essere arrabbiato con una persona”. “Lui mi ha fatto una sola domanda: ‘Dimmi, tu hai pregato per lui?’. Niente più. E io ho detto: ‘No’. E lui è rimasto zitto. ‘Abbiamo finito’, mi ha detto”.
Il Santo Padre ha quindi esortato: “Pregare, pregare per tutti i membri della comunità, ma pregare principalmente per quelli con cui ho problemi o per quelli a cui io non voglio bene, perché non volere bene ad una persona alcune volte è una cosa naturale, istintiva; ma, pregare: e il Signore farà il resto”. Senza chiacchiere e con tanta preghiera, “vi assicuro” – ha detto il Pontefice – che “la comunità va avanti, si può vivere bene, si può parlare bene, si può discutere bene, si può pregare bene insieme…”.
La cura per le turbolenze del cuore: andare da Maria che è mamma non suocera
Uno studente messicano ha poi domandato al Vescovo di Roma in che modo riuscire a stare “vigilanti” per essere “fedeli alla vocazione”. La vigilanza – ha risposto il Papa – “è un atteggiamento cristiano”. I Padri Orientali affermavano che per essere vigilanti è necessario domandarsi “cosa succede nel mio cuore?”. “Si deve conoscere bene se il mio cuore è in una turbolenza o il mio cuore è tranquillo” – ha sottolineato Francesco -, perché se in turbolenza, “non si può vedere cosa c’è dentro. Come il mare. Non si vedono i pesci, quando il mare è così”.
L’‘antidoto’ per questi momenti di inquietudine interiore è “andare sotto il manto della Santa Madre di Dio”, come suggerivano i Padri russi. La prima antifona latina “sub tuum presidium Sancta Dei Genitrix”, in fondo, dice
proprio questo, ha ricordato il Pontefice: “Prima di tutto, andare là, e là aspettare che ci sia un po’ di calma: con la preghiera, con l’affidamento alla Madonna…”.
“Qualcuno di voi mi dirà: ‘Ma Padre, in questo tempo di tanta modernità buona, della psichiatria, della psicologia, in questi momento di turbolenza credo che sarebbe meglio andare dallo psichiatra che mi aiuti…’”. “Non scarto quello”, ha precisato il Papa, ma “prima di tutto andare alla Madre: perché un prete che si dimentica della Madre e soprattutto nei momenti di turbolenza, qualcosa gli manca. È un prete orfano: si è dimenticato di sua mamma!”. E “dimenticare la madre è una cosa brutta … Per dirlo in un’altra maniera: se tu non vuoi la Madonna come Madre, sicuro che l’avrai come suocera, eh? E quello non è buono!”. Quindi, “nei momenti difficili” bisogna fare come i bambini e andare “dalla mamma, sempre”. “E noi – ha evidenziato il Santo Padre – siamo bambini, nella vita spirituale: questo non dimenticarlo mai!”.
Ritornando quindi alla domanda del seminarista, il Papa ha ribadito che vigilare “non è andare alla sala di tortura”, ma “guardare il cuore”. “Noi dobbiamo essere padroni del nostro cuore. Cosa sente il mio cuore, cosa cerca? Cosa oggi mi ha fatto felice e cosa non mi ha fatto felice? Non finire la giornata senza fare questo”. Da vescovo, infatti, lui chiedeva sempre ai suoi preti come finivano la giornata: “Erano sempre molto affaticati per il ‘tanto lavoro’ in parrocchia, cenavano rapidamente, un po’ di tv per rilassarsi…”, ma monsignor Bergoglio appena li incontrava chiedeva loro: “E non passi dal tabernacolo, prima?”. “Ci sono cose che ci fanno vedere dov’è il nostro cuore”: “Non è una introspezione sterile”, ha precisato il Pontefice, ma “è conoscere lo stato del mio cuore, la mia vita, come cammino nella strada del Signore”.
Vuoi essere un leader? Mettiti “al servizio di”. Altrimenti odori di cipolla…
È stato poi il turno di uno studente filippino che ha espresso al Papa il desiderio di vedere pastori che siano punto di riferimento per il mondo di oggi, capaci di guidare, governare e comunicare. Per ottenere questo tipo di “leadership”c’è una sola strada da seguire: “il servizio”. “Non ce n’è un’altra – ha chiarito il Papa – Se tu hai tante qualità, ma non sei un servitore, la tua leadership cadrà, non serve, non è capace di convocare”. Anche in questo caso torna utile una memoria del passato: “Ricordo un padre spirituale molto buono: ma, la gente andava da lui tanto che alcune volte non poteva pregare tutto il breviario. E alla notte, andava dal Signore e diceva: Ma Signore, guarda, non ho fatto la tua volontà, ma neppure la mia, eh?, ho fatto la volontà degli altri! Così, tutti e due – il Signore e lui – si consolavano”.
Tante volte, ha soggiunto Francesco, “il servizio è fare la volontà degli altri”. “Il pastore deve essere sempre a disposizione del suo popolo”, egli “deve aiutare il popolo a crescere, a camminare”. Altrimenti rischia di diventare come quello che Sant’Agostino aborriva: il pastore che mangia la carne della sua pecora e si veste con la sua lana.
“Sono i due peccati dei pastori”, ha affermato infatti il Papa: soldi e vanità, “i pastori affaristi e i pastori principi”. I primi “fanno le cose per soldi”, i secondi “credono di essere superiori al loro popolo”. Ma “un pastore che cerca se stesso, sia per la strada dei soldi sia per la strada della vanità, non è un servitore, non ha una vera leadership”, ha ribadito il Pontefice.
“L’umiltà”, invece, è la prima “arma” del pastore. Il resto, la vanità soprattutto, “è come la cipolla” dicevano i monaci del deserto: “Tu, quando prendi una cipolla cominci a sfogliarla. E tu ti senti vanitoso e incominci a sfogliare la vanità. E vai, e vai, e un’altra foglia, e un’altra, e un’altra… alla fine, tu arrivi a … niente e hai l’odore della cipolla”.Essere umili “è difficile” ha ammesso Francesco, ma è ancora più difficile “togliere la vanità da un prete”. E non dimentichiamo che il popolo di Dio “ti perdona tante cose” ma “non ti perdona se sei un pastore attaccato ai soldi, se sei un pastore vanitoso che non tratta bene la gente: perché il vanitoso non tratta bene la gente”.
Come cura contro i virus di “soldi, vanità e orgoglio” – “i tre scalini che ci portano a tutti i peccati” – Bergoglio ha indicato alcune virtù: “vicinanza, umiltà, povertà e sacrificio” e soprattutto “servizio”. “Ricordo – ha aggiunto – i vecchi parroci di Buenos Aires, quando non c’era il telefonino, la segreteria telefonica: dormivano con il telefono accanto a loro. Non moriva nessuno senza i Sacramenti. Li chiamavano a qualsiasi ora: si alzavano e andavano. Servizio, servizio… E da vescovo soffrivo quando chiamavo una parrocchia e mi rispondeva la segreteria telefonica… Così non c’è leadership! Come tu puoi condurre un popolo se tu non lo senti, se tu non sei al servizio?”.
Non si può evangelizzare senza vicinanza
Lo stesso spirito di “servizio” si deve riversare poi nell’evangelizzazione, ha affermato il Pontefice rispondendo ad un sacerdote messicano. “L’evangelizzazione – ha detto – suppone uscire da se stesso; suppone la dimensione del trascendente: il trascendente nell’adorazione di Dio, nella contemplazione e il trascendente verso i fratelli, verso la gente”. La “vicinanza” è “il nocciolo dell’evangelizzazione”: “Essere vicino alla gente, essere vicino a tutti, a tutti! Non si può evangelizzare senza vicinanza. Vicinanza, ma cordiale; vicinanza d’amore”.
Queste omelie noiose….
La mancata vicinanza crea molti problemi. Uno su tutti “il problema delle omelie noiose”. “Proprio nell’omelia si misura la vicinanza del pastore col suo popolo”, ha spiegato il Santo Padre. Per questo servono omelie “brevi e concrete”, che non siano “conferenze” ma partano dalla conoscenza delle persone a cui sono rivolte, in modo che “la gente capisca”.
Che bella l’amicizia sacerdotale!
L’ultima domanda è toccata ad uno studente polacco che ha interrogato il Vescovo di Roma sulle “qualità umane” da coltivare per essere immagine del Buon Pastore e vivere “la mistica dell’incontro”. Niente di più, niente di meno che la “capacità di sentire, di ascolto delle altre persone” e “di cercare insieme la strada”, ha risposto il Papa. Inoltre, “il Buon Pastore non deve spaventarsi. Forse ha timore dentro, ma non si spaventa mai. Sa che il Signore lo aiuta”.
In quest’ottica, è bene che il Pastore parli e incontri il proprio vescovo: “L’amicizia sacerdotale è un tesoro che si deve coltivare fra voi”, ha raccomandato il Papa. Certo, ha ammesso, “non tutti possono essere amici intimi. Ma che bella è un’amicizia sacerdotale, quando i preti, come due fratelli, tre fratelli, quattro fratelli si conoscono, parlano dei loro problemi, delle loro gioie, delle loro aspettative”.
“Se io trovassi un prete che mi dice: ‘Io mai ho avuto un amico’, penserei che questo prete non ha avuto una delle gioie più belle della vita sacerdotale”, ha detto il Papa. E ha concluso il suo lungo, intenso e libero discorso augurando a tutti – seminaristi, alunni, rettori, sacerdoti – “di essere amici con quelli che il Signore ti mette avanti per l’amicizia”. “L’amicizia sacerdotale è una forza di perseveranza, di gioia apostolica, di coraggio, anche di senso dell’umorismo. È bello, bellissimo!”.
Vicino agli studenti del Medio Oriente e dell’Ucraina
In apertura del suo discorso, Bergoglio si era rivolto agli studenti provenienti da Ucraina e Medio Oriente, due paesi massacra
ti da guerre e violenze per cui “si soffre tanto nella Chiesa”. “Voglio dirvi che vi sono molto vicino in questo momento di sofferenza – ha detto loro il Papa – davvero, molto vicino; e nella preghiera”.