Durante una colazione di lavoro tenutasi stamattina a Roma, con ambasciatori e giornalisti, l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Zion Evrony, ha definito il viaggio di papa Francesco nel suo paese un evento assai positivo che darà un forte impulso al dialogo interreligioso e alla pace nella regione.
“Domenica 25 maggio, papa Francesco inizierà la sua visita in Israele. Sarà una nuova pietra angolare di importanza storica, non solo per le relazioni tra Israele e la Santa Sede, ma anche per la Chiesa Cattolica e il popolo ebraico”, ha detto l’ambasciatore.
L’incontro è stato organizzato da Mediatrends (www.mediatrendsamerica.com) e dalla spagnola Fundación Promoción Social de la Cultura (FundaciónFPSC.org) e si è tenuto presso l’hotel NH Giustiniani.
Interpellato da ZENIT sul significato di un Papa accompagnato nel suo viaggio da uno sceicco musulmano e un rabbino, l’ambasciatore Evrony ha considerato tale fatto molto positivo.
“Credo che questo gesto sia molto importante per promuovere il dialogo interreligioso, che è la base della comprensione reciproca per la riconciliazione e la pace”, ha detto, aggiungendo che “il dialogo interreligioso può anche aprire uno spazio per la comprensione politica”. L’ambasciatore ha detto che “il viaggio di un Papa accompagnato da un leader religioso musulmano e un rabbino, quindi tre rappresentanti delle tre grandi religioni monoteiste, avrà un impatto fondamentale sulla Terra Santa”.
Il diplomatico israeliano, rispondendo all’ambasciatore argentino presso la Santa Sede, Juan Pablo Cafiero, sull’impatto della visita di un papa latinoamericano in Israele, ha ricordato che “viene da una terra in cui ha già visitato una sinagoga prima di diventare Papa. E ha già instaurato relazioni con la comunità ebraica argentina e partecipato ad un programma televisivo assieme al rabbino Skorka” e che “l’esperienza personale di ogni Papa ha un’influenza sulla relazione, lo stile e la natura della visita”.
Delle visite dei tre papi in Israele – Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, tutti europei – l’ambasciatore israeliano si è soffermato su Giovanni Paolo II “che è cresciuto in una città vicina a Cracovia, in cui viveva un’importante comunità ebraica, ha avuto amici ebrei e ha potuto vedere con i suoi occhi l’orrore dell’Olocausto, era in una città non lontana da Auschwitz e ciò ha avuto la sua importanza nelle sue relazioni con la comunità ebraica, avviate da Giovanni XXIII”.
Ha poi ricordato che “papa Francesco è stato testimone di un attentato all’ambasciata d’Israele in Argentina e ha sempre avuto un sentimento di empatia e di identificazione con la sofferenza del popolo ebraico”. L’ambasciatore ha poi ricordato che, prima di diventare papa, Bergoglio “fece una dichiarazione contro il terrorismo, ha parlato contro l’uso della violenza in nome della religione e in nome di Dio, che ha qualificato come inaccettabile”.
Poco prima Evrony ha ricordato che Bergoglio si trovava in Israele nel 1973, quando era provinciale dei gesuiti e, per due giorni, visitò la Galilea e poi fu a Gerusalemme, prima che il conflitto dello Yom Kippur non lo obbligò a rinchiudersi in hotel, dove “ebbe molto tempo per leggere la Bibbia ma non ebbe molte opportunità per visitare Israele”.
Quanto al processo di pace, rispondendo all’ambasciatore di Costa Rica presso la Santa Sede, Fernando Sanchez Campos, Evrony ha riconosciuto che “in questo momento il processo di pace è ad una battuta d’arresto” e che il Papa è “un grandissimo leader, un messaggero di pace e ha come tema centrale dei suoi discorsi ed omelie la lotta per pace”.
Ha poi ricordato che “quando verrà in Israele dovrà parlare con i leader religiosi, con la comunità dei cristiani, composta da alcune migliaia di persone e il suo messaggio di pace avrà un impatto molto forte e centrale nei suoi discorsi” perché ha ritenuto che “i leader religiosi e spirituali possono aiutare a ridurre l’animosità che esiste tra le due parti in conflitto e contribuire a costruire ponti”.
Per quanto riguarda il dialogo interreligioso, l’ambasciatore israeliano ha aggiunto che “la sua visita porterà risultati positivi, a 50 anni dal documento Nostra Aetate, quando abbiamo iniziato a pensare alle nostre relazioni con la Santa Sede” e ha definito questa visita come “un’opportunità per cercare nuovi modi per migliorare la relazione di dialogo”.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Luca Marcolivio]