Entra in punta di piedi Papa Francesco nel Getsemani. Non si può far altro in un luogo reso santo “dalla preghiera di Gesù, dalla sua angoscia, dal suo sudore di sangue; santificato soprattutto dal suo ‘sì’ alla volontà d’amore del Padre”. Appena entrato nella chiesa che sorge accanto all’Orto degli Ulivi, si dirige verso l’altare e venera la santa Roccia dove, secondo la tradizione, Gesù si raccolse in preghiera quando giunse l’ora segnata da Dio per salvare l’umanità dalla schiavitù del peccato.
In questo spazio “dove si è deciso il dramma del mondo”, il Vescovo di Roma incontra sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi della Terra Santa. A loro, il Papa non offre risposte ma domande, non elenca regole ma propone quesiti che interrogano la coscienza di ognuno per far sì che, nel luogo dove Cristo si abbandonò alla volontà del Padre, ognuno riscopra la propria natura e vocazione. Come uomini, come donne, come cristiani e consacrati.
Per il suo ‘test’, Francesco prende ad esempio l’atteggiamento dei discepoli, che Gesù volle accanto a sé “in quell’ora”, e che quindi “lo avevano seguito e avevano condiviso più da vicino la sua missione”. Questa sequela, però, al Getsemani “si fa difficile e incerta”, sottolinea il Papa, perché subentra “il sopravvento del dubbio, della stanchezza e del terrore”.
Nel succedersi incalzante della passione di Gesù, i discepoli assumono infatti “diversi atteggiamenti” nei confronti del Maestro: c’è chi si avvicina, chi si allontana, chi dubita e chi è incerto. Chiunque può rispecchiarsi in uno dei dodici per il proprio approccio a Cristo. Il Papa lo dice esplicitamente: “Farà bene a tutti noi, vescovi, sacerdoti, persone consacrate, seminaristi, in questo luogo, domandarci: chi sono io davanti al mio Signore che soffre?”.
“Sono di quelli che, invitati da Gesù a vegliare con Lui, si addormentano, e invece di pregare cercano di evadere chiudendo gli occhi di fronte alla realtà? Mi riconosco in quelli che sono fuggiti per paura, abbandonando il Maestro nell’ora più tragica della sua vita terrena?”. Oppure, domanda Francesco: “C’è forse in me la doppiezza, la falsità di colui che lo ha venduto per trenta monete, che era stato chiamato amico, eppure ha tradito Gesù? Mi riconosco in quelli che sono stati deboli e lo hanno rinnegato, come Pietro?”.
Le opzioni proseguono: “Assomiglio a quelli che ormai organizzavano la loro vita senza di Lui, come i due discepoli di Emmaus, stolti e lenti di cuore a credere nelle parole dei profeti? Oppure, grazie a Dio, mi ritrovo tra coloro che sono stati fedeli sino alla fine, come la Vergine Maria e l’apostolo Giovanni?”. “Quando sul Golgota tutto diventa buio e ogni speranza sembra finita, solo l’amore è più forte della morte”, rimarca il Santo Padre. “L’amore della Madre e del discepolo prediletto li spinge a rimanere ai piedi della croce, per condividere fino in fondo il dolore di Gesù”.
Qualsiasi sia la risposta a tali domande, anche l’uomo più lontano, traditore, stolto, falso o lento di cuore verso Cristo, deve ricordare una verità: “L’amicizia di Gesù nei nostri confronti, la sua fedeltà e la sua misericordia sono il dono inestimabile che ci incoraggia a proseguire con fiducia la nostra sequela di Lui, nonostante le nostre cadute, i nostri errori e i nostri tradimenti”, afferma Francesco.
Tuttavia – precisa – “questa bontà del Signore non ci esime dalla vigilanza di fronte al tentatore, al peccato, al male e al tradimento che possono attraversare anche la vita sacerdotale e religiosa. Tutti noi siamo esposti al peccato, al male, al tradimento”. Esiste infatti una “sproporzione” tra la “grandezza” della chiamata di Gesù e “la nostra piccolezza”, tra “la sublimità della missione” e “la nostra fragilità umana”.
Il Signore ne è consapevole, per questo “nella sua infinita misericordia – sottolinea il Pontefice – ci prende sempre per mano”, affinché “non affoghiamo nel mare dello sgomento”. Allora, “non lasciamoci vincere dalla paura e dallo sconforto, ma con coraggio e fiducia andiamo avanti nel nostro cammino e nella nostra missione”.
Il Papa incoraggia quindi tutti i religiosi e le religiose “a seguire il Signore con gioia in questa Terra benedetta!”. È, questo, “un dono e una responsabilità” – assicura – per cui la Chiesa tutta vi è grata e che sostiene con la preghiera. “Imitiamo la Vergine Maria e san Giovanni – conclude poi Bergoglio – e stiamo accanto alle tante croci dove Gesù è ancora crocifisso. Questa è la strada nella quale il nostro Redentore ci chiama a seguirlo”.
L’incontro al Getsemani prosegue con il saluto del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, mons. Fouad Twal. Al termine, il Santo Padre attraversa la sagrestia per raggiungere l’Orto del Getsemani dove pianta un ulivo nei pressi di quello piantato da Paolo VI il 4 gennaio 1964. Poi, si trasferisce in auto al Cenacolo per la celebrazione della Santa Messa con gli Ordinari di Terra Santa. Ultima importante tappa di un pellegrinaggio che voleva essere solo “di preghiera” ma che, finora, è stato molto di più.