Per la scienza l'embrione è "uno di noi"

Un Manifesto scientifico presentato alla Commissione europea ribadisce che l’embrione è un essere umano e dunque non può essere oggetto di sperimentazioni

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Alla Commissione europea va riconosciuta una eccezionale tempestività. Il verdetto con il quale ha deciso che la petizione Uno di Noi non dovesse arrivare con proposta legislativa in Europarlamento, è stato emesso appena due giorni dopo la pubblicazione di un Manifesto scientifico che raccoglie e accredita i contenuti della campagna di Uno di Noi.

Il Manifesto, preparato in prima bozza in Italia diversi mesi fa e sistemato da alcuni esperti di importanti Fondazioni e università internazionali, è stato tradotto in tutte le lingue parlate nell’Unione europea e presentato alla Commissione.

L’obiettivo principale del Manifesto è “riaffermare che l’embrione è un essere umano a tutti gli effetti”, spiega a ZENIT l’on. Gian Luigi Gigli, tra gli estensori della prima bozza. “È un dato che, se non fosse per motivi utilitaristici o ideologici, sarebbe chiaro a chiunque”, rimarca il deputato di Per l’Italia nonché docente di Neurologia all’Università di Udine.

“Già nei manuali di medicina sui quali studiavo quand’ero studente – ricorda Gigli – apprendevo che è implicito che vi sia una continuità di sviluppo dell’embrione umano fino alla nascita e alla vita sociale, senza alcun salto qualitativo tra le varie fasi”. Pertanto, la dignità umana dell’embrione è un dato appurato. Che oggi viene confermato dagli “sviluppi della genetica” e dalle nuove conoscenze “sul rapporto madre-figlio che si determina in utero”.

Dato che non viene caldeggiato solo dalla scienza, ma anche da una sentenza della Corte di giustizia europea. Quella che nel 2011, a proposito di una controversia tra un’industria e Greenpeace per quanto riguarda la commercializzazione di embrioni umani, ha sancito il divieto di brevettare medicinali ricavati dalla distruzione di embrioni umani e ha dunque dichiarato questi ultimi “esseri umani” a tutti gli effetti.

La recente decisione della Commissione stride con quella sentenza e suscita delle domande. “Si tratta dunque di capire – spiega Gigli – se tutti gli esseri umani nascono portatori di diritti oppure se c’è qualcuno che questi diritti li attribuisce dall’esterno”, a propria personale discrezione e a prescindere dalla fase in cui si trova la vita.

Altro punto che approfondisce il Manifesto è l’assenza di dimostrazioni scientifiche circa l’utilità a fini terapeutici degli embrioni umani. Tesi che, al contrario, la Commissione ha presentato come motivo della propria scelta. “Ad oggi – afferma Gigli – tutte le terapie che vengono effettuate con staminali, si servono di staminali adulte o di cordone ombelicale. Non ce n’è una che sia basata sulle staminali embrionali”.

Una ragione in più per chiedere che la libertà della scienza non vada a ledere la dignità umana. “Se l’embrione, come appunto è dimostrato, costituisce ‘uno di noi’, non può essere utilizzato come un oggetto di sperimentazioni”, commenta Gigli.

In questi giorni si sta svolgendo a Salerno il convegno Stem Cell Research Italy, durante il quale un consesso di esperti si confronta sul tema delle staminali. Particolare attenzione viene rivolta alle cellule staminali pluripotenti indotte, la cui produzione è valsa al professore giapponese Shinya Yamanaka il premio Nobel per la medicina nel 2012. Questo tipo di cellule si ottengono partendo da cellule staminali adulte, per esempio della pelle, e quindi “non sacrificano l’embrione umano”, spiega Gigli. Il lavoro di Yamanaka è l’esempio di come ricerca ed etica si possano coniugare. Coniugazione a cui ha dimostrato di non credere la Commissione europea.

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Federico Cenci

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