Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la XII domenica del Tempo Ordinario (Anno B), 21 giugno 2015.
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Domenica XII del Tempo Ordinario – Anno B – 21 giugno 2015
Rito Romano
Gb 38,1.8-11; Sal 106; 2 Cor 5,14-17; Mc 4,35-41
Rito Ambrosiano
Gen 18,17-21;19,1.12-13.15.23-29; Sal 32; 1Cor 6,9-12; Mt 22,1-14
IV Domenica dopo Pentecoste.
1. Prendere il largo verso l’altra riva
Del Vangelo di questa domenica, che descrive la tempesta sedata, vorrei prima di tutto attirare l’attenzione sulla frase iniziale di Gesù: “Passiamo all’altra riva” (Mc4,35).
Un invito che Gesù rivolge ai suoi dopo aver parlato del Regno dei cieli, che da seme diventa albero grande. Come ho già detto altre volte lo “stare” con Cristo è un verbo di moto perché implica necessariamente uno spostarsi, un seguirLo.
Un invito fatto quando cade la sera, dunque quando i seguaci di Gesù pensano di aver concluso il cammino della giornata ed hanno la umana e giusta esigenza di fermarsi e riposare dalle fatiche di portare con Cristo il vangelo. Il primo momento di questo andare oltre, è di lasciare la folla, di restare soli con Gesù per allontanarsi con Lui dalla riva dove erano arrivati.
La barca è la nostra vita che procede con il Salvatore. E’ un legno che solca le onde del tempo e dello spazio ed è capace di portare con sé il Figlio di Dio. Gesù, vero uomo e vero Dio, è così potente che non si preoccupa della tempesta. Può capitare che il vento soffi con violenza: tutte le voci che si agitano dentro e fuori di noi e che spesso si levano con tanta forza da sbandare i nostri passi fino a poco prima sicuri del sentiero. Le onde si rovesciano dentro la barca: ciò che è parte delle nostre giornate e che ci sembra di conoscere bene si ribalta contro di noi, certi significati che ci afferrano improvvisi e ci fanno sentire in balìa dell’inaspettato al punto da riempire di paura la vita che pensiamo ci appartenga.
Oggi Gesù ci dà una chiara lezione di come affrontare il mare della storia personale e di questo nostro mondo: dobbiamo navigare con Lui, dobbiamo prenderLo sulla nostra barca, “così com’è” (ibid. v. 36), perché Lui ci porti all’altra riva, salvandoci dalle acque burrascose.
Con Cristo, il cui amore è più forte della forza della natura possiamo arrivare all’altra riva raggiungibile grazie all’abbandono confidente in Lui. La tempesta naturale e quella del cuore umano è pericolosa e può portare alla morte, la “tempesta del cuore di Dio” porta pace, purché come gli apostolici diciamo; “Maestro, non t’importa che siamo perduti” (ibid. v.38).
2. Gesù dormiva, ma il suo cuore vegliava.
Solo in questo brano di San Marco Gesù è presentato mentre dorme. Come interpretare tale sonno? Gesù è veramente stanco. Dopo una giornata di predicazione in cui ha speso tante energie, il Salvatore sale in barca è si addormenta profondamente, al punto tale di avvertire neppure il rumore del vento e delle onde. Possiamo così constatare qui la reale umanità di Gesù. Ma è utile aggiungere qualche altra spiegazione: Gesù si fida dei suoi, non dubita della loro responsabilità e capacità professionale, anche noi dobbiamo fidarci di Lui. Certo il suo atteggiamento è carico di mistero: il suo sonno tranquillo significa –secondo me- la serena fiducia in Dio, la fiducia del Figlio che si sente protetto e amato dal Padre, tra le sue braccia, anche nell’infuriare della tempesta del mare e della vita.
Dobbiamo fare nostro questo atteggiamento di Cristo, magari pregando il Salmo 130 che ci suggerisce una delle più dolci immagini del nostro abbandonarci in Dio, anche nella prova: “Sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia” (130,2-3).
3. Il cuore dell’uomo è domanda di infinito.
Oltre ad insegnarci ad avere un abbandono totale in Lui, con il suo sonno sulla barca sbattuta dal mare in tempesta, il Salvatore risveglia il grido della nostra fede. Infatti, con un tono di stupito rimprovero Gesù dice ai suoi: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”. (Ibid. v. 40) Il Figlio di Dio esige la fede dei suoi fratelli per risvegliare la potenza del suo amore.
Con la domanda: “Perché siete così paurosi?”, il Cristo sposta l’attenzione dalla potenza del miracolo alla fede dei discepoli, che si sono staccati dal lavoro precedente, dalla famiglia, dalla “folla” per stare con Gesù, seguendoLo per le strade del mondo. E Gesù, Maestro ed Amico, educa questa fede facendo oggi comprendere loro che non devono pretendere una presenza e una potenza divina, che li tolga dalla fatica del vivere. Inoltre li educa ad essere coraggiosi (cor agere = agire con il cuore), educando il cuore.
Come rispondere a Cristo che ci chiede: “Perché siete così paurosi?”. Facendogli la stessa domanda del padre degli Apostoli “Aumenta in noi la fede, Signore” (Lc 17,5). Fede che è atto dell’intelligenza e abbandono della volontà.
Facciamo in modo che la nostra vita sia veramente questo aprirsi della nostra mente e del nostro cuore ad una fede ogni giorno più pura, ad una fede ogni giorno più grande. Preghiamo perché la nostra fede ci apra sempre di più al dono di Dio. La fede matura sa rendere gli apostoli tranquilli anche nelle difficoltà e sereni anche nella persecuzione. Si pensi a San Pietro che in prigione dormiva serenamente. Si pensi anche alla “piccola” Santa Teresa del Bambin Gesù1. Lei che morì ad appena 24 anni è la santa della semplicità e dell’amore; la santa dell’abbandono fiducioso alla volontà di Dio.
Se vogliamo crescere nella fede dobbiamo educare il cuore, imitando la “piccola” Santa di Lisieux.
Educare il cuore ad accorgersi di Cristo. Perché accorgersi? L’etimologia di accorgersi è “ire ad cor” (andare al cuore), è il far passare il mio cuore al cuore di Cristo, e il cuore di Cristo al mio cuore e così possiamo non solo non avere paura nella barca della vita, ma pacificare con Cristo il mare della vita.
Un modo di vita significativo per accorgersi di Cristo è quello delle Vergini consacrate nel mondo. Attraverso la verginità queste donne educano il cuore “costruendolo” in quello di Cristo, che vuole bene e vuole il bene di chi a Lui si dona.
Lo stile della Vergine consacrata nel mondo è quello di chi non possiede il suo prossimo, perché il suo cuore è pieno dell’amore di Dio. Ricca di questo amore ne diventa segno limpido e pratica verso il prossimo la benevolenza che ha ricevuto da Dio. In effetti la verginità è vocazione all’amore: rende il cuore più libero di amare Dio. Libero dai doveri dell’amore coniugale, il cuore vergine può sentirsi, pertanto, più disponibile all’amore gratuito dei fratelli.
La verginità, certo, implica la rinuncia alla forma di amore tipica del matrimonio, ma la rinuncia è compiuta allo scopo di assumere più in profondità il dinamismo, insito nella sessualità, di apertura oblativa agli altri e di potenziarlo e trasfigurarlo mediante la presenza dello Spirito, il quale insegna ad amare il Padre e i fratelli come il Signore Gesù.
E il Papa emerito Benedetto XVI il 15 maggio 2008 disse loro: “La vostra vita sia una particolare testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro” (Rituale della Consacrazione delle Vergini, 30). Fate in modo che la vostra persona irradi sempre la dignità dell’essere sposa di Cristo, esprima la novità dell’esistenza cristiana e l’attesa serena della vita futura. Così, con la vostra vita retta, voi potrete essere stelle che orientano il cammino del mondo. La scelta della vita verginale, infatti, è
un richiamo alla transitorietà delle realtà terrestri e anticipazione dei beni futuri. Siate testimoni dell’attesa vigilante e operosa, della gioia, della pace che è propria di chi si abbandona all’amore di Dio. Siate presenti nel mondo e tuttavia pellegrine verso il Regno. La vergine consacrata, infatti, si identifica con quella sposa che, insieme allo Spirito, invoca la venuta del Signore: “Lo Spirito e la sposa dicono ‘Vieni’” (Ap 22,17)”. (Discorso alle Partecipanti al Congresso dell’Ordo Virginum, n 6)
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NOTE
1) Il nome di Teresa del Bambin Gesù, che fece suo fin dall’età di nove anni, quando manifestò il desiderio di farsi carmelitana, resterà per lei sempre attuale e si sforzò di meritarselo costantemente. Più tardi sotto un’immagine di Gesù Bambino, scriverà questa frase: «O piccolo Bambino, mio unico tesoro, mi abbandono ai tuoi divini capricci, non voglio avere altra gioia che quella di farti sorridere. Imprimi in me le tue grazie e le tue virtù infantili, affinché il giorno della mia nascita al cielo, gli angeli e i santi riconoscano nella tua piccola sposa:Teresa del Bambin Gesù».