La Sindone, il volto sereno di una persona morta per amore

Nella Passione di Gesù si è condensato il peso e l’aggressione di tutto il peccato umano

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Gesù un giorno, attraversando Gerico, vide un uomo arrampicato su un albero di sicomoro: si chiamava Zaccheo. Era un uomo basso di statura e non aveva altro modo per vedere Gesù verso il quale sentiva un’interiore attrattiva. Ma salendo sul sicomoro, riuscì a vedere Gesù. E sappiamo cosa accadde dopo e come cambiò la vita di Zaccheo. Oggi la Sindone è per noi come il Sicomoro per Zaccheo: è un mezzo per vedere Gesù, per incontrarlo nel momento culminante della sua vita: l’ora della Passione, che Gesù più volte ha definito “la mia ora”. Per questo la Sindone è un grande dono davanti al quale vale la pena fermarsi, riflettere, indagare.

Partiamo dal volto. Più che un ritratto, è una presenza che entra nel cuore. È il volto di un uomo che ha tanto sofferto, ma è un volto sereno e trasmette serenità. Questo fatto è straordinario. E perché è un volto sereno pur avendo attraversato una terribile Passione? La risposta non può essere che questa: è un volto sereno perché è il volto di una persona che è morta per amore. Non c’è altra spiegazione. L’apostolo Giovanni scrive: “Gesù, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino al segno estremo”, cioè sino al punto oltre il quale non si può andare.

Il volto della Sindone ci trasmette questa meravigliosa verità: Gesù è venuto al mondo per amore, per dirci che Dio, pur conoscendo la nostra cattiveria, è e resta Colui che ci ama e tiene sempre aperta la porta del Suo cuore per accoglierci quando decidiamo di entrare.

Questo ci dice il volto della Sindone. Infatti, questa bella notizia traspare dal volto, perché, anche per Gesù, il volto è la finestra dell’anima. Carlo De Foucauld era affascinato dal Volto della Sindone e lo teneva con sé nella sua cella nel deserto del Sahara e sotto vi aveva scritto queste parole: “Così Dio mi ha amato!”.

Continuiamo a scrutare la Sindone: Orazio Petrosillo disse: “La Sindone va guardata tenendo in mano i Vangeli. Infatti c’è una perfetta rispondenza tra il racconto della Passione tramandato dai Vangeli e il racconto della Passione registrato dalla Sindone”. Questo fatto è impressionante. Mi limito a considerare tre perfette coincidenze.

La flagellazione fatta a fermo e non lungo il cammino verso il patibolo. E la flagellazione è fatta “more romano”, cioè senza limiti di colpi. Così è raccontato dai Vangeli e così è registrato nella Sindone. La corona di spine (fatto del tutto inconsueto per i condannati a morte). Ma è accaduto a Gesù e sappiamo perché ed è riferito dal racconto dei Vangeli ed è puntualmente registrato dalla Sindone.  Anche questa anomalia processuale la troviamo riscontrata nella Sindone.

E la Sindone ci dice anche che la corona di spine era un casco secondo il modello orientale di corona. E vedere la calotta cranica impregnata di sangue fa venire i brividi. La ferita del costato ha emesso sangue post-mortale (e oggi lo possiamo dimostrare esaminando le caratteristiche del decalco).

Giovanni, che fu testimone oculare, riferisce: “Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.” (Gv 19, 33-34). La Sindone registra il fatto inconsueto. Anche qui c’è corrispondenza perfetta tra il racconto dei Vangeli e il racconto della Sindone.

Potrei aggiungere la scoperta abbastanza recente della presenza di polline di piante, che si è depositato sulla Sindone. C’è il polline di circa 50 piante, 16 delle quali nascono nell’habitat attorno a Gerusalemme. In particolare, c’è presenza di piante alofite: piante tipiche delle zone ad alta salinità come la zona del Mar Morto, che è vicina a Gerusalemme. Ecco perché la Sindone rassomiglia al sicomoro di Zaccheo: la Sindone ci mette in contatto diretto con Gesù, con la Sua Passione.

Ora faccio una riflessione da cristiano e mi chiedo: perché Gesù ha sofferto una Passione così atroce e quasi al limite di ogni sopportazione umana? Ci risponde il Profeta Isaia (53, 3-7) con una pagina memorabile, la pagina che colpì il Rabbino Israele Zolli e lo spinse tra le braccia di Gesù nel febbraio del 1945, proprio qui a Roma. Dichiarò: “Leggendo Isaiami ritrovai nel Vangelo: mi ritrovai tra le braccia di Cristo”.

Ascoltiamo il Profeta: “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti”.

Faccio fatica a leggere queste parole senza commuovermi.

Nella Passione di Gesù ha pesato il peccato di tutta l’umanità, anche il nostro peccato: ecco perché
è una Passione terribile e la Sindone ce la rende contemporanea. Continua Isaia: “Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca”.

E San Pietro aggiunge (1 Pt 2,22-25): “Egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce. “

Noi oggi abbiamo smarrito il senso della gravità del peccato; non ci rendiamo più conto del potere devastante del peccato: il peccato stacca da Dio, ma Dio è tutto, Dio è il punto di equilibrio e di armonia della vita singola e della vita della società e di tutta la creazione. Perdere Dio è come togliere la trave che sostiene il tetto della vita e della storia umana. Pertanto, le conseguenze del peccato sono drammatiche e devastanti. Ce lo ricorda la Passione di Gesù, anzi ce lo grida con il linguaggio del sangue.

Nella Passione di Gesù si è condensato il peso e l’aggressione di tutto il peccato umano. Per questo, la Passione di Gesù è così drammatica. E la Sindone registra il dramma e ci fa capire quanto il peccato faccia male all’umanità. Ma, nello stesso tempo, il volto sereno dell’uomo della Sindone ci dice: “Dio ti ama ancora! Apri il cuore e sentirai subito l’abbraccio del Suo perdono e l’efficacia della Sua Misericordia senza limiti”.

Possiamo, a questo punto, capire il comportamento di San Francesco d’Assisi: quando vedeva il Crocifisso scoppiava a piangere. Se avesse visto la Sindone, possiamo essere certi che avrebbe fatto altrettanto. Riferisce Tommaso da Celano nella ‘Vita Seconda’: “Francesco non riesce più a trattenere le lacrime e piange anche ad alta voce la passione di Cristo, che gli sta sempre davanti agli occhi. Riempie di gemiti le vie, rifiutando di essere consolato al ricordo delle piaghe di Cristo. Incontrò, un giorno, un suo intimo amico, ed avendogli manifestato la causa del dolore, subito anche questi proruppe in lacrime
amare”. C’è
 mai accaduta una cosa del genere?

Vorrei concludere con la testimonianza lasciatami da una giovane:

Il più grande uomo della storia: Gesù Cristo.

Non aveva servitori, ma lo chiamavano Signore. Non aveva lauree, ma lo chiamavano Maestro.

Non aveva medicine, ma guariva tutti.

Non aveva eserciti, ma i re lo temevano.

Non commise nessun crimine, ma lo crocifissero.

Lo seppellirono, ma oggi vive.

Non ha usato armi, ma ha conquistato il mondo.

Guardando la Sindone, si capi
sce perché!

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ZENIT Staff

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