Ospite della Pontificia Università Gregoriana, il rabbino di Buenos Aires, Abram Skorka, ha parlato a lungo della sua amicizia con papa Francesco, delle relazioni ebreo-cristiane e delle prospettive della visita pastorale del Santo Padre in Terra Santa.
Alla conferenza pubblica, tenuta ieri sera nell’aula magna dell’ateneo gesuita ed introdotta dal rettore, padre François-Xavier Dumortier SJ, ha preso parte anche il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani e della Commissione per le relazioni religiose con gli Ebrei.
Come ha spiegato il cardinale Koch, la tavola rotonda di ieri è stata anche un omaggio alla memoria del cardinale gesuita tedesco Augustin Bea (1881-1968), figura di spicco del Concilio Vaticano II, pioniere del dialogo ebreo-cristiano e tra i principali artefici della dichiarazione Nostra Aetate. Al cardinale Bea è anche intitolato il Centro di Studi Giudaici dell’Università Gregoriana.
Da parte sua il rabbino Skorka ha esordito, illustrando lo sfondo storico in cui si è delineata la multiculturalità e la pluralità religiosa di una città come Buenos Aires, che sin dal XIX secolo diventò meta di perseguitati politici dall’Europa e di minoranze etniche, dando poi vita alla più numerosa comunità ebraica di tutta l’America Latina.
Il dialogo ebreo-cattolico in Argentina, ha ricordato il rabbino, è qualcosa di storicamente antecedente al Concilio Vaticano II ed in qualche modo ne ha precorso le intuizioni, a partire dalla nascita nel 1956, della prima confraternita ebraico-cristiana dell’America Latina.
La vera finalità del dialogo interreligioso, ha affermato Skorka, è essenzialmente nella spiegazione del perché della nostra fede, del motivo per il quale siamo ebrei, piuttosto che cristiani. È una pratica che non può essere “fine a se stessa”, e deve evitare ogni “autocompiacimento”, fuggendo le tentazioni di “proselitismo”.
Solo così sarà possibile “conoscerci e amarci”, ha aggiunto il rabbino, sottolineando che in ebraico, i due verbi conoscere ed amare sono sinonimi. Poiché “in ogni uomo c’è Dio, rispettare Dio significa rispettare chi è vicino a me”, ha detto.
Il dialogo interreligioso, ha osservato ancora Skorka, si articola su tre livelli: i primi due sono, per l’appunto, quello della conoscenza e quell’amore; c’è poi un livello teologico che, in particolare nelle relazioni ebreo-cristiane, può essere piuttosto fruttuoso.
“Durante il nostro ultimo incontro, papa Francesco ha detto che il prossimo passo è proprio quello teologico”, ha dichiarato il rabbino di Buenos Aires.
Rievocando le vicende del default argentino del 2001, Skorka ha sottolineato come quella crisi rappresentò un occasione in cui “le istituzioni religiose furono chiamate a collaborare tra loro in modo profondo”.
Parlando del prossimo viaggio di papa Francesco in Terra Santa, il rabbino di Buenos Aires ha auspicato che possa ispirare “un messaggio di pace”. Sebbene il Papa “non risolverà tutti i problemi, quantomeno potrà lasciare un segno”.
Rispondendo ad una domanda di ZENIT sulle insidie di questa visita pastorale, in particolare sul rischio di una “banalizzazione” dell’evento, Skorka ha risposto che “ci sono grandi aspettative tra la gente, anche molto radicali”, dovute al “grande carisma” di Francesco e che, in questo panorama, la sfida per il Papa sarà proprio quella di dimostrare che un viaggio del genere non è una banalità.
ZENIT ha inoltre domandato al rabbino Skorka, quale sia la sua visione del dialogo tra cristiani e musulmani, cui papa Francesco ha impresso nuova vitalità, in particolare a partire dal messaggio per l’ultimo Ramadam. A tal proposito Skorka ha osservato che il dialogo interreligioso è una necessità per tutte le religioni e non deve escludere nessuna fede.
Le relazioni ebreo-cristiane, tuttavia, ha aggiunto il rabbino, avranno sempre una marcia in più, in virtù delle comune radici abramitiche, che ci rendono in un certo senso “parenti”, nonché per lo sfondo storico giudaico in cui viene alla luce il cristianesimo.
È significativo, infatti, ha ossevato Skorka, che Gesù si facesse chiamare rabbì, ovvero rabbino, maestro. Dal punto vista teologico, poi, “la relazione è molto profonda”.
Anche con l’Islam c’è la comune radice abramitica, tuttavia le circostanze storiche hanno determinato una maggiore diversità che rende più complesso il dialogo, quantomeno sul piano teologico, così come avviene tra le religioni monoteistiche e, ad esempio, il buddismo.
In ogni caso, ha ribadito il rabbino, il dialogo interreligioso è sempre necessario, quantomeno sui primi due livelli – conoscenza ed amore – e deve avere come suo pilastro fondamentale “il rispetto della vita” in tutte le sue forme.