I barboni conducono un tenore di vita ai limiti dell’umano, lontano da tutti gli amici che hanno scelto di perdere.
Riz non era però come i soliti barboni. Aveva cercato a più riprese di rientrare nei ranghi; ma inutilmente. Stava per dimenticare le leggi elementari del vivere civile. Sorpreso dalla nostalgia di casa sua, un giorno si decise a rivolgersi ad un’agenzia per cercare notizie di suo padre, della sua famiglia di cui aveva perso le tracce da tantissimo tempo.
Venne così a sapere che suo padre, un ricco signore, padrone di beni incalcolabili, morendo, aveva lasciato, per testamento, tutte le sue proprietà al suo unico figlio, non appena lo si fosse rintracciato. E lui era questo figlio.
Fatta riconoscere la propria identità e i propri diritti, Riz, entrato in possesso dell’eredità, stordito, ubriacato da tanta fortuna, non la seppe gestire, né controllare. Dall’eccesso di miseria e di abbandono che pur aveva scelto per assaporare una libertà senza limitazioni, passò ad una esistenza di sperpero, di eccessi e di follie d’ogni genere, sempre in ricerca di felicità.
Aveva conosciuto prima la miseria della vita senza soldi, sperimentò poi anche la più amara miseria schiavizzante, avvilente e deludente della ricchezza incontrollata.
Deluso di tutto, mentre toccava il fondo dell’avvilimento fisico e morale, una luce brillò: si ricordò che “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Fu la conversione: scoprì finalmente l’uso retto del denaro; chiunque ricorreva a lui ne lodava la grande generosità.
Ora, finalmente, la sua immensa ricchezza consisteva per lui nella gioia di poter donare.
Ciao da p. Andrea
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