Il venerabile Cardinale François-Xavier Nguyên Van Thuân offre a tutta la Chiesa una splendida spiritualità eucaristica e mariana, frutto della profonda esperienza mistica vissuta in carcere. Arrestato il 15 agosto 1975, è rimasto prigioniero 13 anni, con 9 anni in isolamento, fino alla sua liberazione il 21 novembre 1988. Per lui, queste due feste mariane dell’Assunzione e della Presentazione avevano un profondo significato per illuminare tutto questo periodo tanto drammatico della sua vita. Infatti, con Maria, Mons. Thuân vive allora un’esperienza mistica che ha come centro l’Eucaristia, in tutte le sue dimensioni di sacrificio, comunione, presenza reale e adorazione.
Una preghiera scritta in carcere
Dopo un anno di carcere durissimo, il 7 ottobre 1976, Mons. Thuân scrive una stupenda preghiera che sintetizza tutta la sua spiritualità eucaristica:
Gesù amatissimo,
questa sera, in fondo alla mia cella, senza luce, senza finestra, caldissima, penso con fortissima nostalgia alla mia vita pastorale.
Otto anni da Vescovo, in questa residenza, a soltanto due chilometri dalla mia cella di prigionia, sulla stessa strada, sulla stessa spiaggia… Sento le onde del Pacifico le campane della cattedrale.
Una volta celebravo con patena e calice dorati,
ora il tuo sangue nel palmo della mia mano.
Una volta percorrevo il mondo per conferenze e raduni,
ora sono recluso in una cella stretta, senza finestra.
Una volta andavo a visitarti nel tabernacolo,
ora ti porto, giorno e notte, con me nella tasca.
Una volta celebravo la Messa davanti a migliaia di fedeli;
ora nell’oscurità della notte, passando la comunione sotto le zanzariere (…)
Una volta impartivo la benedizione solenne con il Santissimo nella cattedrale,
ora faccio l’adorazione eucaristica ogni sera alle 21, in silenzio, cantando sottovoce il Tantum Ergo, la Salve Regina, e concludendo con questa breve preghiera:
«Signore, ora sono contento di accettare tutto dalle tue mani: tutte le tristezze, le sofferenze, le angosce, persino la mia morte. Amen»[1].
Molti santi sacerdoti hanno celebrato la Messa in condizioni simili di estrema sofferenza, nei campi di concentramento nazisti o comunisti. Mons. Thuân vive l’Eucaristia come il sacramento della kenosi, cioè dell’annientamento di Cristo nella più estrema povertà e piccolezza, da Betlemme alla Croce. L’aspetto più originale e il vertice della sua spiritualità eucaristica sta nel fatto di portare sempre su di sé l’ostia consacrata. Ed è in questa preghiera che troviamo l’espressione che ho scelto come titolo della mia comunicazione: Ti porto con me giorno e notte!
Portare sempre con sé Gesù Eucaristia
Mons. Thuân vive questo come sacerdote e vescovo, ma nello stesso periodo di persecuzione, i laici più ferventi condividono la stessa esperienza. Infatti, i Vescovi del Vietnam avevano dato ai fedeli, uomini e donne, il permesso di portare con sé l’Eucaristia, per dare la comunione nei luoghi dove i sacerdoti non potevano andare. Era lo stesso al momento della Rivoluzione Francese.
Questo fatto di portare sempre su di sé l’ostia consacrata aveva anche colpito lo stesso Arcivescovo di Huê, che nella sua relazione mandata a Roma nel 1978 scriveva che Mons. Thuân “aveva preso l’abitudine di custodire su di sé, dopo la Messa, una piccola ostia consacrata” (P. p. 439).
Allo stesso tempo, egli vive momenti di sofferenza estrema insieme a Gesù nel Getsemani. Secondo la testimonianza di sua sorella: “Al vedere la sofferenza dei prigionieri con lui e la sua stessa sofferenza, egli si era reso conto che solo la presenza di Gesù Eucarestia poteva dare senso e forza a quella loro situazione di vita” (P. p. 349).
Thuân non teme di condividere questa sua spiritualità eucaristica con gli altri. Così ne testimonia un altro sacerdote, il Rettore del Seminario Diocesano, che era prigioniero con lui e gli aveva predicato gli esercizi spirituali in carcere:
Come segno della speranza, egli mi fece un altro regalo che io trovai preziosissimo, e cioè con la latta dei barattoli aveva realizzato un anello che mi consegnò chiedendomi che cosa fosse, ed io gli risposi che era un giocattolo, ma lui mi disse che invece era un anello, in cui aveva nascosto un pezzetto di Particola consacrata, affinché io portassi sempre con me Gesù Eucarestia, e io trovai la cosa straordinaria, e tutt’ora mi commuovo a pensare che egli fece per me (P. p. 338).
Con questo “regalo preziosissimo”, il vescovo offriva al confratello sacerdote un “mini-tabernacolo” da portare sempre con sé, condividendo questo aspetto più forte e audace della sua spiritualità eucaristica.
Più tardi, dopo la sua liberazione, Thuân ha spesso testimoniato di questa forte esperienza eucaristica vissuta in carcere. Ne offre una delle più belle sintesi nel suo libro Cinque pani e due pesci, pubblicato in italiano nel 1997. Il capitolo IV è intitolato: Quarto pane: La mia sola forza, l’Eucaristia.
“La mia sola forza: L’Eucaristia”
Mons. Thuân ha spesso raccontato come fin dall’inizio della sua prigionia, era riuscito ad avere un po’ di vino in un flacone di “medicine contro il male di stomaco”, insieme a piccole ostie nascoste. Poteva dunque celebrare la Messa ogni giorno con tre gocce di vino nel palmo di una mano, e un frammento di ostia nell’altra. Celebrava completamente solo, nel periodo d’isolamento. In altri momenti, celebrava per i fratelli prigionieri, anche nelle condizioni peggiori di miseria e di sporcizia come per esempio nella nave che lo aveva portato dal sud al nord con migliaia di altri prigionieri, e poi nel campo di rieducazione. La Messa è celebrata nella più estrema povertà, in questa kenosi, ed è lo stesso per la conservazione del Santissimo, in umilissimi pissidi e tabernacoli, dati da lui ai prigionieri cattolici, mentre porta sempre con sé l’Ostia consacrata:
Fabbrichiamo sacchettini con la carta dei pacchetti di sigarette, per conservare il Santissimo Sacramento. Gesù eucaristico è sempre con me nella tasca della camicia. (…)
Ogni settimana ha luogo una sessione di indottrinamento, a cui deve partecipare tutto il campo. Al momento della pausa, con i miei compagni cattolici, approfittiamo per passare un pacchettino a ciascuno degli altri quattro gruppi di prigionieri: tutti sanno che Gesù è in mezzo a loro, è Lui che cura tutte le sofferenze fisiche e mentali.
La notte, i prigionieri si alternano in turni di adorazione; Gesù eucaristico aiuta in modo tremendo con la sua presenza silenziosa. Molti cristiani ritornano al fervore della fede durante questi giorni; anche buddhisti e altri non cristiani si convertono. La forza dell’amore di Gesù è irresistibile. L’oscurità del carcere diventa luce, il seme è germinato sotto terra durante la tempesta.
Offro la Messa insieme al Signore: quando distribuisco la comunione do me stesso insieme al Signore per farmi cibo per tutti. Questo significa che sono sempre totalmente al servizio degli altri. Ogni volta che offro la Messa ho l’opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla Croce con Gesù, di bere con lui il calice amaro. Ogni giorno, recitando o ascoltando le parole della consacrazione, confermo con tutto il cuore e con tutta l’anima un nuovo patto, un patto eterno fra me e Gesù, mediante il suo Sangue mescolato al mio (1Cor 11, 23-25).
Gesù sulla croce iniziò una rivoluzione. La vostra rivoluzione deve cominciare dalla mensa eucaristica e da qui essere portata avanti. Così potrete rinnovare l’umanità (CP, p. 50-51).
In questo testo, particolarmente rivolto ai sacerdoti, si vedono tutte le dimensioni del Mistero Eucaristico, come Sacrificio della Nuova Alleanza, celebrato dal sacerdote in Persona Christi, misticamente identificato con Lui, con una forte insistenza sulla Presenza Reale e permanente di Gesù nell’Ostia Consacrata. Qui, Thuan parla della Messa celebrata per gli altri prigionieri ai quali dà la comunione e lascia la Presenza del Santissimo Sacramento.
In seguito, racconta come ha vissuto l’Eucaristica quotidiana quando era completamente solo, ricordando ancora questo fatto di portare sempre con sé l’Ostia consacrata:
Ho trascorso 9 anni in isolamento. Durante questo periodo celebro la Messa ogni giorno verso le 3 del pomeriggio: l’ora di Gesù agonizzante sulla croce. Sono solo, posso cantare la mia Messa come voglio, in latino, francese, vietnamita… Porto sempre con me il sacchettino che contiene il Santissimo Sacramento: «Tu in me ed io in te». Sono le più belle Messe della mia vita.
La sera, dalle 21 alle 22, faccio un’ora di adorazione, canto Lauda Sion, Pange lingua, Adoro Te, Te Deum e cantici in lingua vietnamita, malgrado il rumore dell’altoparlante che dura dalle 5 del mattino alle 11 e 30 della sera. Sento una singolare pace di spirito e di cuore, e la gioia, la serenità della compagnia di Gesù e Maria e Giuseppe. Canto Salve Regina, Salve Mater, Alma Redemptoris Mater, Regina coeli… in unità con la Chiesa universale. Malgrado le accuse, le calunnie contro la Chiesa, canto Tu es Petrus, Oremus pro Pontifice nostro, Christus vincit…
Come Gesù ha sfamato la folla che lo seguiva nel deserto, nell’Eucaristia è lui stesso che continua ad essere cibo di vita eterna. Nell’Eucaristia annunciamo la morte di Gesù e proclamiamo la sua risurrezione.
Vi sono momenti di tristezza infinita, come faccio? Guardare a Gesù crocifisso e abbandonato sulla croce. Agli occhi umani, la vita di Gesù è fallita, è inutile, è frustrata, ma, agli occhi di Dio, sulla croce Gesù ha compiuto l’azione più importante della sua vita, perché ha versato il suo sangue per salvare il mondo. Quanto Gesù è unito a Dio, quando, sulla croce, non può più predicare, curare gli infermi, visitare la gente, fare miracoli, ma rimane nell’immobilità assoluta! (CP, p. 51-53).
Tutto questo è profondamente teologico e molto importante per ricordare il valore della Messa celebrata dal Sacerdote nella solitudine, quando la presenza degli altri non è possibile. Nello stesso periodo, Paolo VI insisteva su questa verità, molto combattuta in questi anni di crisi della fede. Nel suo totale isolamento, il sacerdote prigioniero compie l’opera più grande e più efficace quando celebra la Messa. Si unisce a Gesù Crocifisso e Redentore, ed è in comunione con tutta la Chiesa del Cielo e della Terra.
Gesù Eucaristia irradia il suo Amore verso tutti, amici e nemici
Nell’esperienza di Mons. Thuân, si vede come la continua presenza di Gesù Eucaristia è irradiazione di amore verso tutti: amici e nemici, prigionieri cattolici e poliziotti comunisti.
L’Eucaristia è per eccellenza il Sacramento dell’Amore di Gesù che ci unisce a Lui e a tutti i fratelli, sacramento dell’Unità in Cristo Gesù. La testimonianza di Thuân su questo punto è fortissima. Il contatto continuo con Gesù Eucaristia, che porta sempre con sé, lo rende capace di uno straordinario amore verso i nemici, riuscendo spesso a farli diventare amici. E’ una scelta libera e radicale: “Io avevo deciso di amarli” (P. p. 578).
Thuân voleva essere “strumento dell’amore di Gesù” (P. p. 590), vivendo nella più grande profondità la spiritualità dell’unità che la Serva di Dio Chiara Lubich condivideva con l’Opera di Maria, cioè il Movimento dei Focolari. Egli aveva conosciuto e assimilato questa spiritualità quando studiava a Roma e l’aveva portata nella sua diocesi, sviluppando particolarmente la sua dimensione eucaristica e mariana. Tra lui e Chiara, c’era una profonda comunione spirituale. La stessa Chiara andrà a visitarlo nell’ospedale pochi istanti prima della sua morte.
Nell’ultima malattia
Nell’ultima e dolorosissima malattia, l’Eucaristia quotidiana rimarrà il centro della sua vita. Così ne parla una testimone:
Egli mi raccontava che la notte non riusciva a dormire, e allora non trovava nulla di meglio da fare che andarsene a pregare nella cappella privata e mettersi a celebrare la santa Messa pregando per i preti in difficoltà (P. p. 251).
Era la Messa celebrata nella solitudine, come nel periodo dell’isolamento. Poi ricoverato in ospedale, a Milano e poi a Roma celebrava sempre la Messa ogni giorno.
“Verum Corpus natum de Maria Virgine”
Insieme a Gesù, Maria è stata sempre molto presente in tutta la vita di Mons. Thuân, dall’infanzia fino alla sua morte. Ne ha dato una bella testimonianza nel 1999 a Colonia, parlando ad un assemblea di sacerdoti, spiegando come Maria si trova al cuore della sua spiritualità eucaristica e sacerdotale, ricordando sempre la sua esperienza in carcere:
Come figlio di Maria, in particolare durante la Santa Messa, quando pronuncio le parole della consacrazione, mi identifico con Gesù, in persona Christi. Quando mi domando cosa ha significato Maria nella mia scelta radicale per Gesù, la risposta è chiara: sulla croce Gesù disse a Giovanni: «Ecco tua madre!» (Gv 19, 27). Dopo l’istituzione dell’Eucaristia, il Signore non poteva lasciarci nulla di più grande che sua Madre. Per me Maria è il Vangelo vivente, in formato tascabile, con la più vasta diffusione, più vicina a me che la vita di tutti gli altri santi. Maria è la mia mamma: quella che Gesù mi ha donato. La prima reazione di un bambino quando sta male o ha paura è quella di chiamare: «Mamma!». Questa parola, per un bambino è tutto. Maria ha vissuto interamente ed esclusivamente per Gesù (P. p. 562-563).
Nel periodo più duro dell’isolamento aveva scritto una preghiera di consacrazione, di affidamento totale di sé stesso a Gesù per mezzo di Maria:
O Madre, mi consacro a Te, tutto a Te, ora e per sempre. Vivendo nel tuo spirito e in quello di Giuseppe, io vivrò nello spirito di Gesù, con Gesù, Giuseppe, gli angeli, i santi e tutte le anime.
Ti amo, o Madre nostra, e condividerò la tua fatica, la tua preoccupazione e il tuo combattimento per il regno del Signore Gesù. Amen[2]
E’ la stessa consacrazione di san Luigi Maria Grignion de Montfort, vissuta da Giovanni Paolo II e riassunta nel suo Totus Tuus. Il Trattato della Vera Devozione a Maria del Montfort, che ha avuto lo stesso influsso nella vita di Karol Wojtyla e di Van Thuân, si conclude con un finale eucaristico, per vivere pienamente la santa comunione con Maria e in Maria (n. 266-273).
In modo splendido, il Cardinale Van Thuân ci invita a riscoprire la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa Pellegrinante, la presenza di Gesù morto e risorto, l’Emmanuele, “Dio con noi”, fino alla fine del mondo.
[1] F.X. NGUYEN VAN THUAN: Cinque pani e due pesci (Milano, 1997, ed san Paolo, p. 55-57). Citeremo questo volume con la sigla CP. Per altri testi inediti e testimonianze, attingeremo alla Positio della sua beatificazione, che verrà indicata con la lettera P.
[2] E’ la prima delle preghiere pubblicate nel volume Preghiere di speranza. Tredici anni in carcere (Milano, 1997, ed San Paolo, p. 9-10).