È sereno Benedetto XVI quando parla della sua storica rinuncia al pontificato, come era sereno quando comunicò l’epocale notizia al Collegio cardinalizio e al mondo. D’altronde questa rinuncia “era per me un dovere”, come confida lo stesso Papa emerito nell’intervista pubblicata oggi da Repubblica al teologo Elio Guerriero, direttore dell’edizione italiana della rivista Communio, fondata nel 1972 da Von Balthasar, De Lubac e dallo stesso Ratzinger.
Guerriero, tra l’altro, pubblica in questi giorni una biografia dedicata a Benedetto XVI. Ed è proprio l’appuntamento per portare gli ultimi capitoli nel monastero Mater Ecclesiae ad offrire allo scrittore l’occasione per fare “alcune domande a mo’ d’intervista” al Papa emerito. Il quale “come sempre, gentile e pratico” risponde: “Mi faccia le domande, poi mi mandi il tutto e vediamo”.
Fulcro del colloquio è il suo rapporto con il successore Francesco, in questa situazione senza precedenti storici della convivenza di ‘due Papi’ in Vaticano, oltre naturalmente ai quesiti sulle dimissioni. Al riguardo spiega Ratzinger: “Avevo a cuore di portare a compimento l’Anno della fede e di scrivere l’Enciclica sulla fede che doveva concludere il percorso iniziato con Deus caritas est”, ma “nel 2013 vi erano numerosi impegni che non ritenevo più di poter portare a termine”.
Tra questi, in primis, la Gmg di luglio a Rio de Janeiro. “Dopo l’esperienza del viaggio in Messico e a Cuba (l’ultimo del suo pontificato ndr) non mi sentivo più in grado di compiere un viaggio così impegnativo”, confida Benedetto. Inoltre “con l’impostazione data da Giovanni Paolo II a queste giornate, la presenza fisica del Papa era indispensabile” e “non si poteva pensare a un collegamento televisivo o ad altre forme garantite dalla tecnologia. Anche questa era una circostanza per la quale la rinuncia era per me un dovere”.
Il Papa aveva tuttavia “la fiducia certa” che anche senza la sua presenza “l’Anno della fede sarebbe comunque andato a buon fine. La fede, infatti, è una grazia, un dono generoso di Dio ai credenti. Avevo, perciò, la ferma convinzione che il mio successore, così come è poi avvenuto, avrebbe ugualmente portato al buon fine voluto dal Signore, l’iniziativa da me avviata”.
Fu proprio durante il viaggio in Messico che maturò la decisione di dover rinunciare al ministero petrino. Il viaggio “era stato bello e commovente da molti punti vista”, ma in quegli stessi giorni – racconta Ratzinger – “ho sperimentato con grande forza i limiti della mia resistenza fisica”. “Soprattutto mi sono reso conto di non essere più in grado di affrontare in futuro voli transoceanici per il problema del fuso orario. Naturalmente ho parlato di questi problemi anche con il mio medico, il prof. Patrizio Polisca. Diveniva in questo modo chiaro che non sarei più stato in grado di prender parte alla Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, vi si opponeva chiaramente il problema del fuso orario. Da allora in poi dovetti decidere in un tempo relativamente breve sulla data del mio ritiro”.
Una volta assunta la decisione bisognava, però, pensare a cose pratiche. Ad esempio, dove andare a vivere dopo la rinuncia? Benedetto XVI ebbe un’illuminazione ricordando che Giovanni Paolo II aveva deciso che il monastero Mater Ecclesiae, in passato abitazione del direttore della Radio Vaticana, diventasse “un luogo di preghiera contemplativa, come fonte d’acqua viva in Vaticano”. “Avendo saputo che in quella primavera scadeva il triennio delle Visitandine – ricorda il Papa – mi si dischiuse quasi naturalmente la consapevolezza che questo sarebbe stato il luogo dove potermi ritirare per continuare a mio modo il servizio della preghiera al quale Giovanni Paolo II aveva destinato questa casa”.
Il resto è storia. Molti – fa notare l’intervistatore – si aspettavano uno scenario decadente in cui compiangere “un vinto, uno sconfitto della storia”, laddove ora, in questo monastero immerso nel verde, c’è un uomo sereno e fiducioso. “Sono pienamente d’accordo”, afferma Ratzinger, “avrei dovuto davvero preoccuparmi se non fossi stato convinto, come dissi all’inizio del mio pontificato, di essere un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Dall’inizio ero a conoscenza dei miei limiti e accettai, come ho sempre cercato di fare nella mia vita, in spirito di obbedienza. Poi vi sono state le difficoltà più o meno grandi del pontificato, ma vi sono state anche tante grazie”.
A proposito di obbedienza, Joseph Ratzinger ci tiene a precisare nell’intervista che quella al successore “non è mai stata in discussione”. “Al momento della sua elezione – rammenta – provai, come tanti, uno spontaneo sentimento di gratitudine verso la Provvidenza. Dopo due Pontefici provenienti dall’Europa Centrale, il Signore volgeva per così dire lo sguardo alla Chiesa universale e ci invitava a una comunione più estesa, più cattolica”.
“Personalmente – prosegue – rimasi profondamente toccato fin dal primo momento dalla straordinaria disponibilità umana di Papa Francesco nei miei confronti. Subito dopo la sua elezione cercò di raggiungermi al telefono. Non essendo riuscito questo tentativo, mi telefonò ancora una volta subito dopo l’incontro con la Chiesa universale dal balcone di san Pietro e mi parlò con grande cordialità. Da allora mi ha fatto dono di un rapporto meravigliosamente paterno-fraterno. Spesso mi giungono quassù piccoli doni, lettere scritte personalmente. Prima di intraprendere grandi viaggi, il Papa non manca mai dal farmi visita”.
“La benevolenza umana con la quale mi tratta – confida il Papa bavarese – è per me una grazia particolare di quest’ultima fase della mia vita della quale posso solamente essere grato. Quello che dice della disponibilità verso gli altri uomini, non sono solamente parole. La mette in pratica con me. Che il Signore gli faccia a sua volta sentire ogni giorno la sua benevolenza. Per questo prego il Signore per lui”.