Domenica 13 dicembre, il card. Francesco Montenegro ha aperto la Porta Santa della chiesa concattedrale Santa Croce ad Agrigento, dando inizio al Giubileo straordinario della Misericordia. Dopo, un momento stazionale davanti la Chiesa Madonna della Catena, ha avuto inizio la processione dietro il libro dei Vangeli fin sul sagrato della Chiesa Santa Croce, dove alle 18 il Pastore della Chiesa agrigentina ha aperto la Porta lignea sostando per alcuni istanti, in preghiera, sulla soglia. A varcare la Porta, dopo l’arcivescovo, i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose ed i numerosissimi fedeli giunti dalle 194 parrocchie dell’arcidiocesi.
Presenti alla concelebrazione le massime autorità civili e militari, l’ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede e l’autore del crocifisso dono di Castro a Papa Francesco che il Santo Padre ha voluto donare alla diocesi di Agrigento perché venga collocato nella parrocchia di Lampedusa. Proprio il crocifisso “Milagro” verrà portato in alcune chiese giubilari delle zone pastorali dell’arcidiocesi, prima di essere consegnato alla comunità lampedusana il prossimo 17 gennaio, Giornata mondiale dei Migranti. Al termine, dopo la lettura della Bolla d’indizione del Giubileo, Montenegro ha consegnato ai rappresentanti delle parrocchie il materiale pastorale per l’anno 2015-2016: la Lettera Pastorale «…E ti vuole misericordioso come il Padre»; il Piano Pastorale Diocesano 2014-2016 per il secondo anno del biennio ed il calendario diocesano.
Momento centrale dell’apertura del Giubileo è stata la celebrazione dell’Eucarestia nella III domenica di Avvento “della gioia”. Nell’omelia, il cardinale ha esordito invitando i presenti a lasciarsi prendere “per mano dalla Parola per comprendere il perché di questa gioia e come ci è chiesto di vivere il Giubileo”. “Possiamo gioire – ha detto commentando la prima lettura – perché il Signore è in mezzo a noi, nonostante le nostre infedeltà e i nostri peccati; perché ci ama da sempre e per sempre”.
È proprio da questa professione di fede che il Giubileo prende le mosse, secondo l’arcivescovo. “Durante l’Anno santo – ha detto – siamo invitati a riscoprire la bellezza della misericordia di Dio che ci ama di un amore viscerale; di un Padre che è pronto ad accoglierci quando ci decidiamo di tornare a Lui e a far festa perché noi siamo la Sua gioia”. Soffermandosi sul Vangelo, in cui Giovanni ha indicato la venuta del Messia e con linguaggio deciso ha invitato a cambiare vita e fare frutti degni di conversione, il porporato ha domandato: “Cosa dobbiamo fare?”. “Se è importante scoprire la radice della misericordia è altrettanto urgente capire quali sono i frutti dell’agire misericordioso di Dio, ha sottolineato. Sarebbe infatti ‘grazia a buon mercato’ pensare la misericordia come una sanatoria che mette i conti a pari con Dio per poi ricominciare da capo”.
“È vero che la misericordia di Dio va oltre i nostri peccati – ha rimarcato Montenegro – ma è anche vero che essa richiede una conversione sincera e una vita cristiana che ci faccia essere misericordiosi”. In tal ottica, il Giubileo è insieme “tempo di contemplazione della misericordia divina e tempo di azione misericordiosa per noi cristiani”. Quindi “cosa dobbiamo fare?”: la risposta di Giovanni è la via della carità che si fa dono –“chi ha due tuniche ne dia chi non è ha”– della giustizia a tutti i livelli – “non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato” – e del rispetto di ogni vita umana – “non maltrattate e non estorcete niente a nessuno”. È così che la misericordia diventa operosa e si trasforma in impegno e in responsabilità, ha affermato il cardinale.
“Sì, abbiamo bisogno di essere misericordiosi”, ha proseguito, “Dio ci ha insegnato come si fa, ora tocca a noi imitarlo. Ci ha mostrato che la misericordia consiste nell’aprire il cuore quando ci si accorge delle miserie altrui. Non possiamo invocare il perdono di Dio – ha esortato – e poi ritornare a quell’ozio spirituale che diventa indifferenza e ci rende dei ‘manichini liturgici'”. L’arcivescovo ha pertanto invitato i fedeli ad avere “uno sguardo orizzontale, oltre a quello verticale della preghiera e della lode a Dio”: “Dobbiamo conoscere le miserie del nostro tempo; aprire cioè gli occhi su ciò che accade nel nostro territorio e intervenire con l’amore che abbiamo ricevuto da Dio”.
Uno sguardo quindi alla realtà di Agrigento: “Il nostro tempo e il nostro territorio – ha rilevato il cardinale – sono pieni di miserie e di povertà che molto spesso si trasformano in tragedie: sono molti coloro che fanno uso di droghe, o che si giocano il poco che hanno nei punti-scommessa disseminati nei nostri comuni, o che cadono nelle trappole mortali dell’usura o della malavita. A loro si uniscono le persone sole che vivono situazioni di malattia senza potersi pagare le medicine, anziani che vivono da soli, immigrati abbandonati alla loro sorte, giovani disoccupati in balia del nulla, uomini e donne di tutte le età, che vivono gravi forme di dipendenza da alcool o da gioco d’azzardo; giovani – a volte pure giovanissime – che si prostituiscono anche solo per una ricarica telefonica”.
“E noi – ha aggiunto – come facciamo a non chiederci: ‘Cosa dobbiamo fare? Da anni sto chiedendo di fare la lettura del territorio per capire cosa si vive tra le case e le nostre strade ma, diciamocelo, manca inspiegabilmente l’interesse di tanti presbiteri e operatori pastorali. Mi chiedo, come si può progettare la pastorale senza tale conoscenza? Non riesco a convincermi quando mi si dice che si conosce la parrocchia. In tempi in cui la vita sta cambiando velocemente, è come se non ce ne accorgessimo. È come se il nostro territorio fosse altro dalla nostra attività pastorale, spesso ripiegata su pochi”.
“Conosco gli sforzi che fate anche attraverso le Caritas parrocchiali o altro ma vi prego: apriamo gli occhi, andiamo incontro alle tante povertà di questo tempo”, ha incitato Montenegro. E ha ribadito l’invito a non scadere in uno “scandaloso sciupio di denaro” per le feste popolari. “Avevo chiesto – ha detto – in occasione delle feste popolari di provare a spendere di meno e investire in gesti concreti di carità. C’è troppa povertà in questo nostro territorio. Non tutti mangiano ogni giorno! Certe feste patronali sono scandalose per lo sciupio del denaro. Dio è contento quando aiutiamo qualcuno a sorridere e a vivere!”.
Insomma, quello che chiede alla Chiesa agrigentina il suo pastore è un cristianesimo pieno di umanità, “non vissuto con gli occhi chiusi per evitare di essere disturbati”. Non è mancato, infine, il riferimento al dono del Papa: la Croce realizzata con i remi dei pescatori cubani (che ricordano quelli degli immigrati), esposta alla venerazione dei fedeli nella Chiesa Santa Croce.
“Questo dono – ha detto – sembra vada proprio in questa direzione. Il Crocifisso è poggiato sui remi di coloro che faticosamente lottano per avere un po’ di pane e di futuro. Quello è il posto di Dio! Lo troviamo sempre dove c’è il povero, dove c’è qualcuno che lotta per la verità, la giustizia, il rispetto, lì dove ci sono dei crocifissi! Questo regalo del Papa prendiamolo come impegno a vivere pienamente il Giubileo: in questo anno la nostra gioia più grande sia quella della carità! C’è una porta che è necessario aprire affinché ci sia vero Giubileo: quella del nostro cuore. Se lasciamo chiusa la porta del cuore, il Giubileo si ridurrà a una semplice manifestazione esteriore. Perciò cuori che si aprono, comunità, parrocchie, gruppi, movimenti, associazioni… che si aprono a Dio, ai poveri, tra loro perché nell’incontro dell’uno nell’altro sperimentiamo la vera gioia”.