In queste ore in cui si aprono le Porte Sante di tutto il mondo, l’Arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, ha aperto la Porta della Misericordia in Duomo ed ha invitato ogni fedele ad aprire il proprio cuore all’opera di Dio.
«Vi supplico, lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20). “Questo grido – ha osservato Mons. Nosiglia – si alza forte dentro la nostra coscienza in questo momento dell’apertura della Porta Santa e ci reca tanta gioia e riconoscenza. Per tanti peccati che possiamo avere, mai dobbiamo disperare di poter essere perdonati e amati dal Padre. Nessuno in questo anno giubilare deve essere privato di questa certezza e speranza che la sua vita sia salvata, rinnovata, cambiata e resa nuova dalla misericordia di Dio”.
La disponibilità e l’apertura del cuore e della vita alla riconciliazione è necessaria da parte nostra, ma non è il primo passo, che resta prerogativa ed opera di Dio misericordioso e fedele. Egli ama per primo, desidera salvare, offre il suo perdono. E lo compie mediante un’azione incredibile: tratta da peccato Colui che era senza peccato, Cristo suo Figlio (cfr. 2Cor 5,21).
L’Arcivescovo di Torino si è soffermato a parlare del Sacramento della Riconciliazione che “è la seconda tavola di salvezza, dopo il Battesimo”. Attraverso il Sacramento della Riconciliazione noi permettiamo a Dio di esercitare il suo grande amore di misericordia verso di noi; gli offriamo la possibilità di perdonarci e di gioire, perché c’è più gioia in cielo per un peccatore che si converte che per novantanove giusti che pensano di non aver bisogno di penitenza (cfr. Lc 15,7).
Non è facile oggi riconoscerci peccatori, sia perché siamo sempre portati a giustificare le nostre colpe, sia perché il peccato è visto solo come un male che si fa agli altri non a se stessi. Invece, il peccato è anzitutto una autodistruzione di se stessi, della propria libertà, che viene svenduta al male e non produce frutti di bene ma di malvagità e infedeltà a quanto la coscienza e la legge di Dio ci indicano con chiarezza.
“Il male – ha commentato Mons. Nosiglia – si vince facendo crescere il bene in noi e attorno a noi. Perché le tenebre si diradano e scompaiono solo quando subentra la luce. Così l’odio e l’ingiustizia si vincono con la forza dell’amore, dell’unità e solidarietà di tutti gli uomini di buona volontà. Perché allora Dio agisce e moltiplica il bene che facciamo, rendendolo più forte di ogni male”.
Parlare di misericordia nel nostro tempo sembra un discorso ingenuo e poco realista di fronte a tanta gente che abusa del potere per arricchirsi, uccide in nome di Dio bestemmiandolo con gesti violenti che sono da Dio stesso severamente condannati, esercita senza patemi di coscienza la corruzione, ricerca il proprio interesse e la propria felicità a scapito dei poveri, ignorandone i diritti di giustizia ed equità.
“Ma è proprio per questo – ha proseguito l’Arcivescovo – che la misericordia ci mostra una via alternativa che è quella di non illuderci di vincere questo male con la stessa moneta. Ce ne ha dato la prova con la Passione e morte di Cristo, il massimo segno della misericordia di Dio verso l’umanità peccatrice, da cui è scaturita la vittoria persino sulla morte ed è scaturita la pienezza di vita per ogni uomo che ne segue la via”.
Mons. Nosiglia si è soffermato a commentare la parabola del Padre misericordioso “che rappresenta il culmine dell’annuncio evangelico della misericordia”: “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide (il figlio), gli corse incontro e lo baciò” (v. 20). Non è il figlio che vede il padre e corre verso di lui; è il padre che ama, e perciò vede e perdona prima di sapere che cosa il figlio desideri. È quest’abbraccio del padre che ama in modo preveniente a sciogliere il cuore del figlio nella conversione. L’accoglienza che egli riserva a questo figlio che ha dilapidato tutto il suo avere con una vita dissoluta non ha altra spiegazione che il suo amore. Il motivo della sua gioia si esprime in una specie di ritornello: “Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato!” (v. 24).
Prima viene l’amore di Dio che perdona, e poi l’amore di chi, scoprendosi perdonato, lo manifesta con un reale cambiamento di vita. Accade lo stesso anche nell’episodio di Zaccheo, che troviamo in Luca 19. Gesù perdona i suoi peccati e lo ama. Zaccheo, proprio perché si sente accolto e perdonato gratuitamente, senza averlo chiesto e prima ancora di dare segni di conversione, si pente e cambia vita. E così è per la pecorella smarrita, ritrovata per la costante ricerca del pastore che non vuole perderla (Lc 15; Mt 18).
Mons. Nosiglia ha ricordato che quest’esperienza della misericordia del Padre la possiamo provare e gustare nel cuore e nella vita anche quando compiamo una delle Opere di misericordia che ci impegnano a portare agli altri il dono ricevuto, con gesti di amore, di perdono, di servizio e di accoglienza dei fratelli più poveri, soli, malati o “scartati” dalla società. E quanto queste azioni di misericordia siano essenziali per la nostra stessa salvezza ce lo ricorda il giudizio a cui tutti gli uomini saranno sottoposti al termine della loro vita: saremo giudicati giusti e degni del Paradiso, o ingiusti e non degni della gioia eterna, sull’amore che avremo avuto verso i nostri fratelli più poveri e sofferenti.
“L’Anno della Misericordia – ha concluso l’Arcivescovo di Torino – sia il tempo gioioso del ritorno al Signore con tutto il nostro cuore e dell’impegno di essere misericordiosi verso il prossimo per edificare insieme un mondo nuovo, la vera civiltà dell’incontro e della pace”.
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Mons. Nosiglia: “Apriamo la Porta Santa del nostro cuore per riconciliarci con Dio”
Per il Giubileo l’arcivescovo di Torino si sofferma in particolare sull’importanza della confessione e delle opere di misericordia