Quello tra Chiesa Cattolica e mass media è un rapporto non sempre facile, che ha comunque conosciuto sviluppi molto interessanti negli ultimi anni. Il Giubileo della Misericordia fornisce una grande occasione per accendere una luce nuova sul mondo dell’informazione, rinnovando in particolare l’interesse per le “buone notizie”, tutte figlie di quella grande “Buona Notizia” che ha cambiato il mondo 2000 anni fa.
È con questo spirito che tre sacerdoti e due giornalisti laici si sono dati appuntamento ieri sera alla Pontificia Università della Santa Croce, in occasione del Premio “Giuseppe De Carli”, per un dibattito informale e non accademico sulla Chiesa di papa Francesco.
La tavola rotonda, introdotta e moderata da Michela Nicolais, redattrice del SIR, ha visto in primo luogo l’intervento di padre Raffaele Di Muro, ofm conv., professore di Teologia Spirituale e Spiritualità Francescana alla Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura – Seraphicum”.
Lasciando momentaneamente da parte le disquisizioni teologiche, padre Di Muro ha parlato dell’altra sua attività, quella di assistente spirituale al carcere di Rebibbia, un luogo che, il frate francescano ha confidato di aver approcciato la prima volta con una certa sensazione di “paura”, alla quale ben presto, si è sostituita la “gioia di incontrare ed ascoltare”.
Nei detenuti, anche in quelli che si sono macchiati dei crimini più terribili, emerge sempre il “desiderio di riparare il male fatto”, attraverso i “colloqui spirituali” e la “lettura della Parola di Dio”, ha raccontato Di Muro. Da “luoghi di disperazione”, le carceri possono così diventare “luoghi dove si incontra una vita nuova”.
Il francescano ha raccontato di come per i detenuti, in realtà, la pena più grande sia “la lontananza dai propri cari” e di come nei penitenziari “le barriere religiose vengono meno”.
Se è vero che, come affermava San Massimiliano Kolbe, “solo l’amore crea”, è anche vero che “solo l’amore guarisce”, ha commentato infine padre Di Muro.
A stretto contatto con gli “ultimi” è anche l’attività pastorale di don Giacomo Pavanello, 34 anni, sacerdote di Nuovi Orizzonti, che il prossimo febbraio riceverà ufficialmente dal Santo Padre il mandato di “missionario della Misericordia” per il Giubileo.
“La misericordia è scritta nel nostro DNA”, ha affermato don Pavanello, raccontando del suo impegno nel movimento fondato da Chiara Amirante, che vide la luce un quarto di secolo fa, a servizio dei barboni della Stazione Termini.
La vocazione degli operatori – sacerdoti e laici – di Nuovi Orizzonti è una vera e propria “discesa agli inferi” dei nostri tempi: ragazzi sbandati, senza più nessun riferimento o ideale, vittime di droga, alcool, sette sataniche, che, a poco a poco, grazie all’amore di Dio, conoscono la loro personale resurrezione.
Dagli “inferi” tuttavia, ha osservato don Pavanello, non è esente nemmeno il mondo dell’informazione, come dimostra l’insistenza morbosa su particolari di cronaca che “lasciano basiti”, mentre meno disponibilità si riscontra quando si tratta di “raccontare la bellezza”.
Da parte sua padre John Wauck, docente di letteratura e comunicazione alla Pontificia Università della Santa Croce si è soffermato in modo particolare sulle novità del pontificato di Francesco, di cui l’imminente Giubileo rappresenta un po’ il “cuore”.
Per capire cosa anima la spiritualità di Jorge Mario Bergoglio, ha osservato padre Wauck, va tenuto conto della sua devozione per San Matteo, nella cui ricorrenza liturgica, il 21 settembre 1953, il futuro pontefice, allora sedicenne, avvertì per la prima volta la sua vocazione al sacerdozio.
Anche nel suo motto episcopale (e poi papale), Miserando atque eligendo, Bergoglio mette in luce la vocazione al “sacrificio” che è propria di San Matteo, il pubblicano e peccatore al quale Gesù mostrò misericordia e, al tempo stesso, gli chiede la vita.
Il Giubileo, ha spiegato il docente, sarà l’occasione per riscoprire anche le “opere di misericordia”, una delle quali – meno ‘politicamente corretta’ di altre – consiste nell’“ammonire i peccatori”. Sarebbe infatti “mancanza di misericordia” sminuire la natura del peccato a chi lo commette. Al tempo stesso, le opere di misericordia, vanno compiute non “per cortesia” ma con l’ardore che è proprio del “cuore di Cristo”, ha aggiunto Wauck.
Ha chiuso il ciclo di interventi il vaticanista argentino Andres Beltramo, corrispondente della testata messicana Notimex, secondo il quale, la misericordia e la carità di papa Francesco è “molto più di una croce d’argento e di un paio di scarpe nere”.
Come Gesù, papa Francesco “non ha paura dello scandalo” e, soprattutto, non cade nella “paura di perdere i salvati” ma, piuttosto, si lancia a “salvare i perduti”. Alla “logica dei farisei”, Bergoglio preferisce di gran lunga la “logica di Dio”.
Il pontefice argentino non è esente da “errori” ma sa sempre come “superarli” e si pone più come un “conduttore” che come un “leader”.
“Senza misericordia non potremmo capire papa Francesco”, ha poi concluso il giornalista argentino.