Sudan: liberati i due pastori cristiani a rischio pena di morte

Ora si teme la sorte, in Iran, di padre Saeed Abedini, pastore americano convertito al cristianesimo, in carcere da tre anni a causa della sua fede

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Dopo otto mesi di prigionia, sono stati finalmente rilasciati e sono tornati dalle loro famiglie i due pastori cristiano-evangelici arrestati a maggio in Sudan, a rischio pena di morte per motivi religiosi. 

Si tratta del pastore presbiteriano Yat Michael e del pastore della Chiesa evangelica di Khartoum, il reverendo Peter Yein Reith, entrambi detenuti in custodia in questi mesi, senza garanzia del rispetto dei propri diritti, con a carico otto capi di imputazione per i quali la legge sudanese prevede la pena capitale o l’ergastolo.

Del loro caso si è occupato l’avvocato Mohaned Mustafa Alnour, noto per aver seguito legalmente la questione di Meriam Ibrahim, la 27enne madre cristiana arrestata lo scorso anno all’ottavo mese di gravidanza e condannata all’impiccaggione per apostasia.

La vicenda dei due pastori era finita pure al centro di un’interrogazione presentata dal senatore Luigi Manconi (Pd), presidente della Commissione Diritti umani a Palazzo Madama, al ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni. E anche la piattaforma CitizenGo, impegnata per la difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali dell’uomo, aveva promosso una campagna internazionale di firme per chiederne la liberazione. 

Lo stesso portale ha lanciato in queste ore un allarme ai governi occidentali affinché possano prendersi carico della sorte di un altro pastore cristiano: padre Saeed Abedini, rinchiuso in un carcere iraniano da oltre mille giorni a causa della sua fede.

Tre anni fa, il pastore, di origine americana, era arrivato in Iran con l’idea di costruire un orfanotrofio. Poco dopo è stato arrestato e tuttora si trova in carcere, separato dalla moglie e dai due figli. La sua maggior colpa è quella di essersi convertito al cristianesimo dall’Islam, quindi di essersi macchiato di apostasia, crimine punibile con la pena di morte. Abedini è inoltre considerato dal governo iraniano “un rischio per la sicurezza nazionale” per aver instaurato chiese domestiche e aver aiutato altri musulmani convertiti al cristianesimo.  

Attualmente, è recluso nella prigione più dura dell’Iran: Rajai Shahr, un carcere sovraffollato, inumano e potenzialmente mortale – denuncia CitizenGo – in cui mancano cure mediche e le più basilari norme igieniche e sanitarie. Si teme quindi che il pastore possa morire prima di essere giudicato.

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Per prendere parte alla petizione di CitizenGo per chiedere la liberazione di padre Saeed cliccare qui 

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ZENIT Staff

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