L’indulgenza plenaria in parole semplici

Non basta chiedere perdono, è necessario rimediare al danno commesso. C’è in gioco la nostra felicità

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Ma cos’è, di preciso, l’indulgenza plenaria? Visto che il 2 agosto si può riceverla in regalo da Dio, andando alla Porziuncola (o in qualsiasi altro posto francescano), proviamo a spiegarla con parole semplici.

C’era una volta… sì, proprio così.

Iniziamo con “c’era una volta”, lasciamo da parte per un attimo il Catechismo della Chiesa Cattolica al n°1471 (dove c’è la spiegazione chiara, ma con un linguaggio un po’ da addetti ai lavori) e partiamo da una storia.

Dicevamo…

C’era una volta un ragazzino con un brutto carattere. Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno nello steccato del giardino ogni volta che avesse perso la pazienza e litigato con qualcuno. Il primo giorno il ragazzo piantò 37 chiodi nello steccato.

In seguito il numero di chiodi piantati nello steccato diminuì gradualmente. Aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare quei chiodi. Finalmente arrivò il giorno in cui il ragazzo riuscì a controllarsi completamente. Lo raccontò al padre e questi gli propose di togliere un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non avesse perso la pazienza. I giorni passarono e finalmente il ragazzo fu in grado di dire al padre che aveva tolto tutti i chiodi dallo steccato.

Il padre prese suo figlio per la mano e lo portò davanti allo steccato. Gli disse: “Ti sei comportato bene, figlio mio, ma guarda quanti buchi ci sono nello steccato. Lo steccato non sarà più quello di prima. Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di brutto, gli lasci una ferita come queste. Puoi piantare un coltello in un uomo e poi estrarlo. Non avrà importanza quante volte ti scuserai, la ferita rimarrà ancora lì. Una ferita verbale fa male quanto una fisica”.

Un bel racconto realistico e concreto, così come realistica e concreta è la vita di tutti i giorni.

Ogni chiodo piantato nello steccato rappresenta un peccato che abbiamo commesso e se togliamo questi chiodi (con il pentimento, con il sacramento della riconciliazione, con la conversione…) possiamo vedere i buchi che essi lasciano nel legno e che rimarranno per sempre.

Ecco: l’indulgenza cancella quel “per sempre” che abbiamo appena scritto e lo trasforma in “fino a che non ci mette le mani Dio in persona”.

Nel sacramento della riconciliazione si riceve il perdono di Dio, certo; ma intorno a noi non si cancellano le ferite (i buchi) che abbiamo lasciato.

Come possiamo sanare quelle ferite?

Come possiamo cancellare quei buchi, rimasti nel legno?

Con l’indulgenza plenaria Dio stesso interviene, cancellando perfino i segni di stucco usato per coprire i buchi lasciati dai chiodi.

Scompare ogni conseguenza del male che abbiamo fatto intorno a noi e la realtà intera viene guarita da Dio.

Per utilizzare dei termini un po’ più teologici, si dice che nella confessione viene cancellata solo la colpa (cioè il peccato che abbiamo fatto) ma con l’indulgenza viene annullata anche la pena (cioè la penitenza che dovremmo affrontare per le brutte conseguenze che abbiamo provocato in noi e negli altri).

Il termine “penitenza” oggi sembra desueto ma ne possiamo recuperare il valore, collegandolo al concetto di giustizia.

Se un uomo uccide un padre di famiglia e poi si pente, può darsi pure che la sua richiesta di perdono venga accolta dai figli particolarmente buoni dell’uomo ucciso. Ma poi, la faccenda, non può finire lì.

Come dovrebbe continuare, lo ha spiegato bene un insegnante speciale americano.

Nel famosissimo discorso fatto nella sua “ultima lezione”, Randy Pausch (sapendo di stare per morire) dice ai suoi allievi alcune perle preziose per poter diventare delle persone brave e felici.

Ad un certo punto esorta:

Se vuoi realizzare i tuoi sogni è meglio che giochi onestamente con gli altri… quando sbagli, chiedi scusa. Una buona scusa è formata da tre parti:

1) mi dispiace

2) era colpa mia

3) cosa posso fare per rimediare?

La maggior parte della gente salta la terza parte”.

Quanto è vero!

Quando noi sbagliamo bersaglio e non facciamo centro (questo è il significato etimologico della parola “peccato” nell’Antico Testamento), per diventare bravi arcieri dobbiamo passare attraverso tutte e tre le fasi.

La prima fase è il pentimento; la seconda fase è l’assunzione di responsabilità, mentre la terza fase (e qui arriviamo al concetto di indulgenza) è rimediare alle conseguenze dei nostri sbagli.

Troppo facile fermarsi al chieder scusa ai figli dell’uomo che hai ucciso. Devi assumerti le tue responsabilità a dare a quei figli tutto quel che il padre avrebbe dato loro, se fosse stato ancora vivo.

Giovanni Paolo II ricorda che “anche dopo l’assoluzione rimane una zona d’ombra, dovuta alle ferite del peccato, all’imperfezione dell’amore nel pentimento, all’indebolimento delle facoltà spirituali, in cui opera ancora un focolaio infettivo di peccato, che bisogna sempre combattere con la mortificazione e la penitenza” (Reconciliatio et paenitentia 31,III).

La penitenza rimette in moto la giustizia, cioè toglie i chiodi dallo steccato e mette lo stucco al posto del buco. Rimedia al danno fatto.

L’indulgenza plenaria è aggiustare il legno, ricreandolo con la potenza di Dio. Lo steccato ritorna integro e neanche lo stucco si vede più.

Dio stesso interviene per sanare il nostro equilibrio interiore, la comunione con Lui ed il rapporto con tutte le sue creature che sono state ferite da noi.

L’indulgenza plenaria ripara i disordini da noi provocati e purifica la nostra vita, perché “sfrutta” la forza santificatrice di Gesù e dei santi.

Gesù immette in noi (o nei nostri cari, nel caso chiedessimo l’indulgenza plenaria per qualche defunto) la sua forza creatrice, per rendere più rapida ed efficace la riparazione che noi, da soli, faremmo peggio e molto più lentamente.

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, al n.1471 si spiega molto bene questo regalo di Dio: “L’Indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, dispensa ed applica autoritativamente il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi”.

È un regalo che riceviamo, allungando la mano nel tesoro di Dio!

Un tesoro le cui monete d’oro sono state messe lì da Gesù stesso e dai santi che, man mano, hanno offerto tutto di loro per la nostra salvezza.

Sono quelle monete (pagate spesso col sangue della vita e con l’amore per i peccatori) che hanno riempito il baule di Dio di grazie che ci guariscono.

E Dio le dona a chi:

  1. Chiede perdono
  2. È pentito di quel che ha fatto
  3. È disposto a rimediare 

Perché fa tutto questo?

Perché arriviamo ad essere felici, il prima possibile.

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Maria Cristina Corvo

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