Quanto l’approccio economico di una società influisce sulle libertà sociali? E’ credibile e attuabile il modello francescano dell’economia del dono? In che modo la rivoluzione francescana compiuta otto secoli fa può ancora influire nella modernità? In che modo possono essere superati i limiti del liberalismo o egoistico?
A queste ed altre cento domande ha provato a rispondere padre Orlando Todisco, nel suo libro La solidarietà nella libertà – Motivi francescani per una nuova democrazia (Cittadella Editrice).
Padre Todisco è docente di Filosofia Francescana al Seraphicum ed è considerato a ragione come uno dei maggiori studiosi e divulgatori del pensiero francescano. ZENIT lo ha intervistato.
Perché ha scritto il libro La solidarietà nella libertà?
É duplice la motivazione. La prima è polemica e riguarda la diffusa concezione della società come ‘liquida’ (Bauman). Ma è davvero ‘liquida’ la società? La vita non scorre forse secondo forme rigidamente strutturate, su cui crediamo di non poter alcunché? Con quale risultato? Per un verso una trama inviolabile, da rispettare – la vita intesa in senso pubblico con le sue molte articolazioni – e per l’altro una vita residuale – quella privata. Ora, solo di questo frammento residuale la ‘società liquida’ di Bauman è la descrizione, e cioè del piccolo spazio della vita privata, vissuto senza freni e senza valori, sul presupposto tacito e improblematizzato che la nostra vita soggettiva debba essere respinta fuori dell’organizzazione scientifico-tecnica delle relazioni sociali o meglio fuori della vita pubblica. É vero, tutti esperiamo una sorta di frammentazione del pensare e del vivere a seguito della crisi delle ideologie. Ma quali ideologie sono in crisi? E perché? Sono in crisi le ideologie di matrice umanistico-religiosa a opera dell’unica ideologia vincente, quella scientifico-tecnica.
Günter Anders ne L’uomo è antiquato mette in luce l’enorme sproporzione tra le possibilità tecniche e le nostre capacità assimilative. Il che non riguarda solo il livello concettuale, ma anche quello operativo. Infatti, oggi ognuno di noi non solo non si sente all’altezza del volume di sapere incorporato nei mezzi di cui si serve, ma soprattutto non si ritiene responsabile dell’intero percorso, entro cui pur si colloca la sua azione. Ognuno di noi è consapevole solo della mansione che gli è assegnata e dunque degli effetti immediati del suo operare, non però della sua finalità ultima, dal momento che ignora le tappe successive e soprattutto la trama complessiva del progetto, alla cui realizzazione pur partecipa. Nessuno pare sia responsabile di tutti gli anelli della catena. Chi di noi può immaginare i processi che attiva all’interno di un complesso meccanismo – fabbrica, banca, scuola…! Siamo entro una trama sempre più fitta di relazioni – altro che ‘liquida!’ – che si sottraggono al nostro controllo. La nostra identità egologica è sopraffatta da un’identità funzionale, nel senso che lo spazio della nostra interiorità è occupato da un manipolo di verità che sono nel fondo regole e procedure che alludono più all’identità del sistema che all’identità del soggetto.
Ora – ecco la seconda motivazione di segno costruttivo del saggio – è forse illegittimo abbozzare un itinerario lungo il quale fare spazio alla responsabilità creativa dei singoli soggetti, le cui decisioni siano leggibili come espressione dell’anima e non soltanto o prioritariamente come possibilità calcolate dal sistema che non solo le prevede ma addirittura le prescrive indicando anche la forma della loro esecuzione? É quanto oso con questo saggio, muovendo dal presupposto che la libertà creativa è il volto proprio dell’essere e che il primo posto va riconosciuto non all’universale ma al singolare, non al sistema ma alla biografia, dunque non alla ragione, fonte del linguaggio astratto e dunque del sapere scientifico-tecnico, ma alla volontà, fonte del linguaggio simbolico e dunque del sapere metalogico e meta-scientifico, cui la ragione, il linguaggio astratto e il sapere scientifico-tecnico dovrebbero essere funzionali. Pur consapevole dell’arduità del traguardo, riporrei in tale libertà creativa la solidarietà che conta e lascia un segno.
Qual è la tesi su cui si basa l’architettura della sua ricerca e quali secondo lei le ragioni che la rendono attuale?
La tesi su cui la ricerca si basa è costituita dalla libertà come originaria sorgente di energia, nel cui nome si vive e per il cui approfondimento si pensa e si progetta. Come intendere tale sorgente? Voluto da Dio, l’uomo ‘sente’ di appartenergli. Il che significa che l’uomo non si percepisce in balìa assoluta delle forze ostili della natura – si pensi in quest’ottica alla storia delle religioni e come punto d’approdo alla religione cristiana. L’uomo è sostenuto da questa coscienza – e cioè sa di appartenere a Dio – e dunque si sente investito di un privilegio che né lo straniero né lo schiavo avvertono – e l’uomo in quanto voluto da Dio – è il tratto proprio del discorso biblico – non si sente né straniero né schiavo, pertanto disposto a far fronte con coraggio alle avversità. Dunque, la libertà anzitutto come energia di vita e ricerca di spazi sempre più ampi. Sulla base di questa idea biblica della libertà si iscrive poi la libertà tipicamente moderna, come paradigma della scelta tra bene e male, con gli infiniti interrogativi su ciò che è bene e su ciò che è male e con l’implicito invito a tornare all’intuizione biblica secondo cui la libertà è coscienza di vita e coraggio di ampliarne la sfera sul presupposto della compagnia di Dio. A me pare sia questo l’orizzonte – biblico e moderno – che occorra condividere se si vuole porre mano allo sradicamento della diffusa conflittualità in atto.
Lei sostiene che l’occidente è la terra della ragione e per questo il laboratorio del diritto a essere. In questo contesto lei afferma che la scuola francescana ha operato una rivoluzione nell’identificare l’essere come dono di essere. Quali sono i limiti della concezione individualista dei diritti e quali le caratteristiche della rivoluzione insite nella cultura del dono e del servizio?
Ciò che caratterizza l’Occidente è la persuasione greca secondo cui il mondo è da sempre – nessun dio lo fece (Eraclito) – o è lì, come un dato da esplorare, individuando in ciò che è ciò che deve essere e cioè nel dato il diritto. Il tema del divenire ne è il compendio. Ora, la scuola francescana, richiamandosi alla Bibbia, sottolinea che il mondo non è da sempre e per sempre. Non era e ora è. Non essendo, il mondo non aveva alcun diritto a essere – il diritto comincia dal momento in cui si è. Dunque, se un tempo non era e ora è, il mondo è perché voluto e, non avendo alcun diritto a essere, se ora è è da considerare come un dono e cioè è del tutto gratuito. Se il mondo e noi in esso siamo gratuiti, come vivere e pensare se non all’insegna della gratuità e cioè in fedeltà al nostro essere originario? Ciò che segna il limite dei diritti conquistati è il tratto rivendicativo e il carattere individualistico. Come farvi fronte o tentare la loro trasfigurazione se non recuperando la coscienza originaria dell’essere come dono, nel qual caso il diritto equivale a quello spazio necessario entro cui e attraverso cui mostrare la gratitudine di essere al mondo? In fondo, il diritto che nell’ottica dell’essere come dono compendierebbe tutti i diritti è il diritto a poter ringraziare e dunque a disporre di uno spazio di creatività di segno oblativo tagliato su misura della nostra soggettività.
Interessantissimi i capitoli in cui lei affronta il rapporto tra povertà e ricchezza. Lei critica la fragilità delle ragioni alla base del pensiero liberale, secondo cui dall’intreccio degli interessi privat
i sorga magicamente il bene comune. É debole e ingannevole l’idea che la crescita dell’interesse egoistico possa garantire un altrettanto bene pubblico. Può illustrare in sintesi il suo pensiero in proposito?
Una delle ragioni della fragilità del passaggio dall’interesse egoistico al bene comune sta nel fatto che l’interesse egoistico implica la riduzione della soggettività del soggetto a strumento dell’interesse che si persegue, come risulta dall’economia di segno liberale – raggiungere il massimo profitto con il minimo dispendio di mezzi. Questa, infatti, è un sistema, una rete, con una sua logica inflessibile e cioè con una sua razionalità rispetto a cui l’agente è in situazione di sudditanza, al punto da riconoscere che è agito, pensato o meglio che non può pensare e agire diversamente da come agisce e pensa. L’individuo è sopraffatto da una rete – razionalità oggettiva – che non può smagliare, da rispettare, perché l’agire contro o fuori di essa equivarrebbe a restare escluso dalla competizione. Diventato strumento – è questa l’idea da mettere al centro – tale soggetto come può progettare e vivere per il bene comune? Il che è agevole intenderlo se si ricorda che il bene comune non è quello solo proprio (bene privato) o di tutti indistintamente (bene pubblico), ma quello che circola e tiene insieme i molti nella loro singolarità soggettiva, se cioè contribuisce alla crescita qualitativa di quanti costituiscono la comunità.