Un momento di forte ecumenismo e di riflessione sul comune destino al martirio per molti cristiani di tutte le denominazioni. La Santa Messa presieduta ieri da papa Francesco nella basilica vaticana, in occasione della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, ha infatti visto la partecipazione di patriarchi (Zizioulas di Pergamo e Maximos di Silvyria) e presbiteri ortodossi (il finlandese Heikki Huttunen).
Nel corso della celebrazione, durante la quale ha imposto il pallio a 46 arcivescovi nominati dall’inizio dell’anno, Francesco ha subito fatto riferimento alla Prima Lettura del giorno (cfr. At 12,1-11) che racconta la persecuzione e le minacce contro la prima comunità cristiana, così piena del “coraggio di portare avanti l’opera di evangelizzazione, senza timore della morte e del martirio, nel contesto sociale di un impero pagano”.
Venerare quegli apostoli della prima ora è “un forte richiamo alla preghiera, alla fede e alla testimonianza”, ha sottolineato il Papa.
Il “richiamo alla preghiera” emerge da quanto facevano i cristiani nelle catacombe, le quali non erano tanto “luoghi per sfuggire alle persecuzioni”, quanto soprattutto, “luoghi di preghiera, per santificare la domenica e per elevare, dal grembo della terra, un’adorazione a Dio che non dimentica mai i suoi figli”.
Emblematico è anche l’episodio che vede Pietro pregare durante la sua prigionia e poi venire liberato da un angelo (cfr. At 12,6-7): ognuno di noi nelle “situazioni difficili” vedrà quindi venirgli incontro un angelo ad “indicarci la via smarrita”, a “riaccendere in noi la fiamma della speranza”, o a dirci semplicemente: “Non sei solo”.
Dio mette numerosi angeli lungo il nostro cammino “ma noi, presi dalla paura o dall’incredulità, oppure dall’euforia, li lasciamo fuori dalla porta – esattamente come avvenne a Pietro quando bussò alla porta della casa e «una serva di nome Rode, si avvicinò per sentire chi era. Riconosciuta la voce di Pietro, però, per la gioia non aprì la porta» (At 12,13-14)”.
In secondo luogo, i primi Apostoli imprimono un forte “richiamo alla fede”, perché “tutto passa, solo Dio resta – ha spiegato il Pontefice -. Infatti, sono passati regni, popoli, culture, nazioni, ideologie, potenze, ma la Chiesa, fondata su Cristo, nonostante le tante tempeste e i molti peccati nostri, rimane fedele al deposito della fede nel servizio, perché la Chiesa non è dei Papi, dei vescovi, dei preti e neppure dei fedeli, è soltanto di Cristo”.
Dio non cancella le forze del male ma “dona la forza” per vincerlo, al punto che i cristiani, nel nome di Gesù, “hanno risuscitato i morti; hanno guarito gli infermi; hanno amato i loro persecutori; hanno dimostrato che non esiste una forza in grado di sconfiggere chi possiede la forza della fede!”.
Un terzo richiamo dei primi apostoli è alla “testimonianza”, senza la quale un cristiano è “sterile”, è “un morto che pensa di essere vivo; un albero secco che non dà frutto; un pozzo arido che non dà acqua!”, ha sottolineato il Santo Padre.
A tal proposito, ai nuovi arcivescovi Francesco ha spiegato che il pallio “è il segno che rappresenta la pecora che il pastore porta sulle sue spalle come il Cristo, Buon Pastore, ed è pertanto simbolo del vostro compito pastorale”.
La Chiesa, infatti, vuole che tutti i vescovi siano “uomini di preghiera” e “maestri di preghiera”, per insegnare che “la liberazione da tutte le prigionie è soltanto opera di Dio e frutto della preghiera, che Dio nel momento opportuno invia il suo angelo a salvarci dalle tante schiavitù e dalle innumerevoli catene mondane”.
Il richiamo di papa Francesco ai presuli è stato infine alla “testimonianza” attraverso una “vita coerente”. Ed oggi, più che mai, “sull’esempio di Pietro e Paolo”, c’è bisogno non tanto di “maestri” ma di “testimoni che non si vergognano del Nome di Cristo e della sua Croce né di fronte ai leoni ruggenti né davanti alle potenze di questo mondo”, ha poi concluso il Papa.