Vincenzo Mangiacapre celebrates victory in men's semi final at the 2015 European Games in Baku

ANSA

Un “campione di vita” vince l’argento agli Europei di pugilato

Vincenzo Mangiacapre, tra i protagonisti del libro “Campioni di Vita, uscito in coedizione tra ZENIT Books ed Ares, sale sul secondo gradino più alto del podio in quel di Baku

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Ha condotto uno splendido combattimento, ma nulla ha potuto contro Collazo ‘Lorenzo’ Sotomayor, cubano naturalizzato azero, nipote del famoso Javier Sotomayor, detentore del record mondiale di salto in alto. Vincenzo Mangiacapre si è dovuto così “accontentare” di una medaglia d’argento nel pugilato, categoria 64 kg, ai Giochi Europei di Baku, in Azerbaijan.

Già medaglia di bronzo ai Giochi olimpici di Londra nel 2012, ai Mondiali dei Superleggeri, sempre a Baku ma nel 2011, e agli Europei di Ankara, Mangiacapre è un ragazzo nato e cresciuto a Marcianise, nella periferia di Caserta. Nel primo capitolo del libro Campioni di Vita, pubblicato in coedizione da ZENIT Books e Ares, il pugile ventiseienne ha raccontato che a Marcianise “o prendi a calci un pallone o fai a cazzotti”.

A nove anni Mangiacapre era un po’ “cicciottello”, come ammette lui stesso. Così entrò in palestra con l’obiettivo di dimagrire. Ma bastò un primo pugno al sacco per far diventare quell’approccio disinvolto al pugilato in un viaggio di sola andata. In pochi mesi smaltì i chili in eccesso, prima ancora aveva già attirato gli sguardi esperti dei maestri. Avevano visto in lui “cose che gli altri ragazzini non erano in grado di fare”: ossia il talento.

Talento che da solo non basta. Sul ring, come in qualsiasi altro ambito sportivo, servono determinazione e testa sulle spalle. Doti che al piccolo Vincenzo non mancavano affatto. La palestra divenne non la sua seconda, bensì la sua prima casa. “Passavo più tempo lì che in qualunque altro posto”. Entrava alle quattro del pomeriggio e talvolta era l’ultimo a uscire prima che il proprietario chiudesse la saracinesca, oltre le nove di sera.

Mantenne questi ritmi quotidiani fino ai quattordici anni di età, passando con i maestri la maggior parte del suo tempo. “Per me loro furono come dei padri – spiega -, i quali mi insegnarono prima di tutto a essere umile e poi mi fecero capire che lo spirito di sacrificio alla fine paga sempre”.

A interrompere questo inflessibile idillio tra Vincenzo e il pugilato fu l’adolescenza. “Come tutti i ragazzi, in quella fase ho fatto un po’ il bullo”, ricorda oggi. E un bullo così bravo a tirare cazzotti si contorna inevitabilmente di un rispetto non disinteressato da parte dei coetanei, soprattutto di coloro che oggi Vincenzo identifica come parte di “amicizie non giuste”.

La cosa più triste – ha raccontato Vincenzo – è quando scopri che già nell’adolescenza non riesci più a sognare. Non nutri più nessuna speranza. Ti lasci trascinare da una vita di scontri quotidiani, sapendo che le cadute saranno sempre peggiori. “Sono caduto e mi sono fatto male”, racconta senza vergogna Vincenzo. Il quale fu costretto per un verdetto emesso da un giudice non di un ring a “passare un periodo a casa da solo”.

Fu in quel periodo che decise di indossare di nuovo i guantoni. Una riacquisita determinazione che fu subito foriera di nuove soddisfazioni. Il maestro Lello Bergamasco – tutt’oggi c.t. della Nazionale italiana – si spese in prima persona per integrare questo ragazzo tra gli azzurri. “La svolta della mia vita”, l’ha definita Vincenzo.

Dopo le medaglie di bronzo già conquistate ora Vincenzo ha vinto l’argento, e non dimentica che alla base dei suoi successi insieme ai maestri di vita incontrati in palestra ha sempre avuto una famiglia unita che l’ha saputo sostenere. In particolare uno zio che oggi è malato di Sla. Vincenzo ha raccontato a proposito: “Mi dimostra il suo bene non per quello che sono diventato ma per quello che sono e basta”.

La famiglia e il pugilato, con i loro legami e la loro disciplina, rappresentano una scuola di valori. Vincenzo ne conosce il patrimonio, di qui il suo impegno nel sociale. Da qualche anno è diventato ambasciatore della Steadfast Onlus, nata per la tutela della cultura e la promozione dello sviluppo dei Paesi in difficoltà economica.

Ambasciatore la cui vita racchiude le finalità della Steadfast. Un ragazzo cresciuto in “periferia”, a Marcianise, che riesce a cambiare le sue sorti diventando un simbolo di riscatto per tanti giovani vulnerabili alle tentazioni. Del resto, come diceva un certo Muhammad Alì, “non c’è niente di male a cadere, è sbagliato rimanere a terra”.

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Per ogni approfondimento sulla storia di Mangiacapre e su quelle di altri quindici atleti, leggi il libro “Campioni di vita“. Richiedilo all’indirizzo zenitbooks@zenit.org oppure acquistalo qui: http://ares.mi.it/products-campioni-di-vita-622.html.

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ZENIT Staff

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