Scriveva Giuseppe Berto, uno dei più grandi scrittori del ‘900, a margine di un libro pubblicato negli anni Settanta: “Posso dire che in vita mia non avevo mai lavorato tanto per scrivere tanto poco, né mi ero mai così abbandonato al tormentoso piacere di permettere ai pensieri di cercarsi a lungo le parole più appropriate, e nel cercarsele magari mutano e differentemente si presentano sicché ne vogliono altre, e così via. È un’operazione che, d’abitudine, l’industria culturale non richiede, e forse nemmeno gradisce”.
In poche battute, Berto fotografa due concetti: la complessità del processo creativo, difficilmente comprimibile in “prodotto”, e – all’opposto – la riduttiva semplicità dell’industria che, invece, proprio di “prodotti” ha bisogno: ossia di oggetti replicabili in serie e veicolabili con le logiche del marketing.
Questo stato di cose spiega l’indifferenza della grande editoria libraria nei confronti della poesia. È un fenomeno che data ormai da molti anni e che gli addetti ai lavori ben conoscono. Un fenomeno che, da un lato, penalizza la poesia perché la priva dei grandi spazi promozionali di cui l’industria dispone, ma, dall’altro, la sottrae al cosiddetto “mercato” e alle logiche massificanti che questo impone.
La poesia dunque, editorialmente parlando, vive in una sorta di “sottobosco” non privo di contraddizioni. Ma se alla parola “sottobosco” sostituiamo il termine inglese underground, ecco che il concetto assume immediatamente una migliore accezione. Come si ricorderà, l’underground nacque negli USA negli anni ’50 e si sviluppò nel decennio successivo per indicare una via esistenziale estranea alla cultura del consumo. Una filosofia che diede vita a rilevanti espressioni artistiche, che proprio dall’underground trassero la loro linfa creativa. Qualcosa di quello spirito, oggi desueto, è rimasto nella poesia che, proprio grazie alla sua estraneità alla produzione di massa, è riuscita a conservare una sorta di “verginità d’arte”.
Capita così di intercettare volumetti preziosi, magari stampati in piccola tiratura, a volte con il sostegno economico dell’autore, a volte con una sorta di co-produzione tra autore ed editore, il quale ultimo è sovente un appassionato lui stesso, che non pubblica libri per lucro ma per il gusto di vivere il mondo della poesia. Per fortuna, poi, sono a portata di mano il web e i social network che offrono opportunità di diffusione un tempo impossibili.
Così la poesia continua a vivere e prosperare, facendo leva su un pubblico tutt’altro che minoritario. Ed è bello, per chi ama il “tormentoso piacere” delle parole (come scriveva Berto), scoprire ogni tanto un nuovo ed interessante poeta, specie laddove si tratta di una vocazione
densa di calore umano e soffusa di sensibilità religiosa.
È questo il caso di Henry Ariemma, che ha recentemente pubblicato la silloge poetica Tuba mirum (2015, Edizioni Creativa). “Tuba mirum è mirabile suono di tromba che totalizza ogni attenzione e Henry Ariemma con la poesia cerca un monito da dove poter ripartire…”, leggiamo nella quarta di copertina. Un concetto ripreso da Gianni Maritati nella prefazione al volume: “Lo squillo di una tromba, estratto da una antica e famosa preghiera cristiana in latino, fa convergere tutta l’attenzione del lettore sulla parola del poeta come esperienza ed espressione, magistero ed epifania”.
La silloge di Ariemma è divisa in due sezioni. La prima, Tuba mirum, è quella che dà il titolo all’opera ed è composta interamente di poesie; la seconda, Fiore del mandorlo, consta di una serie di aforismi suddivisi in “parole chiave”: amicizia, arte, bellezza, vita… Il prefatore cita, in particolare, uno di questi aforismi: “Essere poeta è stare al mondo da colpevoli”, e aggiunge: “Il poeta è un’antenna piantata sul tetto della coscienza collettiva, vive in una condizione permanente di osservatore sensibile della realtà che ci circonda ed ha una fondamentale missione da compiere. Per questo si sente anche ‘colpevole’ di fronte al mondo intero: perché deve ricordarci, sempre, che la realtà è finita ma infinitamente migliorabile, che il mistero è un meraviglioso eccesso di luce, che bisogna vivere come persone e non esistere come cose”.
Ecco dunque un florilegio di versi di Henry Ariemma, che abbiamo selezionato dalla silloge privilegiando le linee guida della sua ispirazione, sorretta da una chiara matrice religiosa e da uno stupore sul mondo che lo porta ad immedesimarsi con la purezza ingenua dei bambini e con le misteriose espressioni della natura, che hanno eco nella solitudine umana, ma, al tempo stesso, sono rivelatrici della presenza di Dio.
*
Non ho gli anni del mio dolore
rigogliosa pianta di spine
per il bocciolo che mai
scalfisce
il pieno ramo al pungere dei mancanti giorni
come specchio di vita
(Un nuovo inizio)
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Anche il sole
si porta il buio
universo dentro.
Stella d’impari luce
un punto nel nulla
(Anche il sole)
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Sono giorni che ti cerco invano Dio
ovunque come la tua luce
e non basta lo sguardo che somma
per fare del chiarore fuoco
e del dolore una tua parola.
Mi arrendo al silenzio della tua presenza
che guida i passi che non vedo
(Portano a te)
*
Perché solo il colore
sopravvive al niente
e riempie del blu delle aquile
il giallo delle oasi
e il mare che si distende
dal nuovo cammino di vento
per torrenti di canali
dove un calore porta
a rompere nelle pietre
le dure conchiglie di sabbie
per rallentare da vicino le orme
di cancellate solitudini.
(Vicino)
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Bisogna ringraziare i bambini
perché vogliono i giocattoli.
Perché vogliono i fiori e il circo per ridere
con maschera temendo le ira
della tigre dagli occhi di zucchero
e i tristi elefanti assoldati al galoppo degli acrobati
sulle reti che fermano il vuoto di altre magie.
(Perché vogliono)
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E, per concludere, ecco alcuni aforismi tratti dalla seconda sezione della silloge Tuba mirum:
AMICIZIA: L’amicizia è una naturale pratica di iniziazione.
ARTE: L’arte è l’assolutizzazione di una maniera del sentimento.
BELLEZZA: La misura è la ragione della bellezza.
VITA: La vita esige il tempo per vivere. Il tempo esige la vita per dimenticare.
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NOTA BIOGRAFICA DELL’AUTORE: Henry Ariemma è nato a Los Angeles nel 1971 e vive a Roma. Ha pubblicato per la Aletti Editore, per la casa editrice Il Filo e con la Ennepilibri Edizioni. Ha ricevuto una serie di recensioni sulla rivista internazionale di poesia italiana Gradiva e una premiazione al Città di Ostia, oltre ad essere stato finalista al premio Anguillara Sabazia e al Polimnia. Tuba mirum è il suo quarto libro di poesie.
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