I documenti conciliari e l’autocoscienza storica dei cristiani

Un punto di partenza e base di rilettura per l’impegno cattolico nella società contemporanea, intorno al binomio ricerca/verità

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Riportiamo di seguito la sintesi della relazione tenuta dalla prof.ssa Renata Salvarani, docente di Storia del Cristianesimo e Storia Medioevale, in occasione del XII Simposio Internazionale dei professori universitari (Roma, 25-27 giugno 2015), sul tema Storia del Cristianesimo e autocoscienza storica nel contesto del concilio Vaticano II.

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Una riflessione sul ruolo della storia del Cristianesimo e sull’autocoscienza storica per i cristiani di oggi si impone, a cinquant’anni dalla conclusione del Concilio che con maggiore evidenza ha voluto sottolineare la dimensione dell’essere nel tempo – dentro il tempo – della Chiesa e della Salvezza stessa.

Le elaborazioni dei padri conciliari, fissate nei documenti finali, riannodano alcuni fili che hanno tessuto gli sviluppi filosofici del secolo scorso, facendo del mutamento e della consapevolezza del divenire la cifra di un clima culturale occidentale che, proprio in quegli anni si apriva a includere più diversità, in una dimensione mondiale.  Sono per noi eredità da valorizzare  e stimolo a sviluppare studi che mettano in evidenza, nella concretezza degli eventi, il dinamismo cristiano e le sue implicazioni all’interno delle società.

Alcuni documenti conciliari, in particolare, mettono in evidenza la centralità della storia e dell’autocoscienza storica per i cristiani e per il Cristianesimo stesso. Aspetto storico e aspetto escatologico sono affermati, infatti, come due componenti essenziali della realtà del popolo di Dio, della sua stessa esistenza. A entrambe le dimensioni corrisponde la coscienza della Chiesa.

Il capitolo I della costituzione Lumen gentium esprime chiaramente che la coscienza della salvezza è collegata, nella fede della Chiesa, non soltanto con l’esistenza stessa di Dio nella sua trascendenza, oppure con la sua chiamata rivolta all’uomo, ma soprattutto con la “venuta” di Dio all’uomo, alla comunità umana. Tale venuta ha un carattere storico, soprattutto nel senso che si è compiuta e si compie incessantemente nel corso della storia dell’umanità. Il continuo inserimento della Chiesa nella storia umana è stato presentato dal Concilio con perspicacia tanto riguardo alle persone quanto riguardo ai popoli e alle nazioni. È altrettanto evidente come l’universalità della Chiesa sia tutta permeata di coscienza storica.

Nella Gaudium et spes si afferma che la coscienza della Chiesa come popolo di Dio è “storica”: “La Chiesa procedendo dall’amore dell’eterno Padre fondata da Gesù Cristo redentore, radunata nello Spirito Santo, ha una finalità salvifica e escatologica, che non può essere raggiunta pienamente se non nel mondo futuro. Essa poi è già presente qui sulla terra, ed è composta da uomini, i quali appunto sono membri della città terrena, chiamati a formare già nella storia dell’umanità la famiglia dei figli di Dio, che deve crescere costantemente fino all’avvento del Signore”.  La costituzione sottolinea che per la storia della salvezza è importante il corso stesso della storia: “Ne  segue un’accelerazione tale della storia, da poter difficilmente essere seguita dai singoli uomini. Unico diventa il destino della umana società senza diversificarsi più in tante storie separate. Così il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell’ordine a una concezione più dinamica ed evolutiva; ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e sintesi nuove”.

Anche nella Dei Verbum la salvezza ha la propria storia nel popolo di Dio. La “venuta” di Dio decide della salvezza anche nella dimensione storica, cioè della storia della salvezza e questa venuta è soprattutto una rivelazione di se stesso da parte di Dio. Quindi, Dio parla agli uomini come ad amici. Questi uomini sono “storici”, nel senso che ognuno di loro ha la propria storia individuale e nello stesso tempo tutti e ciascuno partecipano delle storie delle varie società e di quella dell’intera famiglia umana.

Sono intimamente connessi a questo concetto il carattere universale della Chiesa e la necessità del  suo annuncio dentro tutte le culture: la storia della salvezza passa attraverso le anime umane, trova però la sua espressione anche in varie comunità, anzi diventa storia di queste comunità.

Ne deriva una importanza emergente dello studio della storia del Cristianesimo, come analisi oggettiva degli eventi in cui si è verificato l’inserimento del messaggio evangelico all’interno delle trasformazioni delle società nel tempo.

La presentazione più esplicita del tema è nel decreto Ad gentes sull’attività missionaria della Chiesa.

Anche nella Nostra aetate, il testo conciliare dalla elaborazione più complessa, abbozzato già nel 1961, è evidente l’importanza dell’autocoscienza storica del percorso della salvezza in relazione con la storicità del legame fra Cristianesimo ed Ebraismo.

Ancora, il breve testo Perfectae caritatis, emanato per esortare al rinnovamento le comunità e gli ordini religiosi si riferisce alla necessità di approfondire la conoscenza dei fondatori per mantenere vivo il loro carisma, nonché i rispettivi percorsi per arricchire la loro presenza nel mondo contemporaneo.

A partire da queste premesse magisteri ali, la lettura e rilettura del Concilio, negli ultimi cinquant’anni, ha riannodato i fili del dibattito del secondo dopoguerra sull’ermeneutica della storia, sulle filosofie della storia, sulla teologia della storia.

Henri Irené Marrou riprende i temi critici degli studi sull’impegno morale e politico dello storico nelle stesure di Teologia della storia (prima nel 1968, poi nel 1979) e nella Nuova storia della Chiesa (1970) che alla lezione conciliare fa esplicito riferimento, sia nell’impostazione generale, sia in particolare nei riferimenti a collegialità e mondialità.

Le paysan de la Garonne, che Jacques Maritain pubblicò a Parigi nel 1966, si presenta come una riflessione su questioni ancora aperte e ben presenti dopo l’assise ecumenica: laicità, ruolo della cultura europea e soprattutto il rapporto fra ricerca e verità, binomio irrinunciabile per affrontare con coscienza e autocoscienza la post modernità e le sue contraddizioni. In questa prospettiva la conoscenza storica emerge come necessità centrale.

Così Luigi Giussani, a partire dal saggio su Reinhold Neibuhr e poi soprattutto in L’impegno del cristiano nel mondo (1971), ha fatto dell’ingresso del “fatto” di Cristo nel tempo e nella storia il perno delle sue elaborazioni teologiche, fondandovi sia la dimensione morale del cristiano, sia quella dell’annuncio, sia la centralità della Chiesa-comunità nel mondo di oggi.

Karol Wojtyla, che ai lavori del Concilio aveva partecipato in qualità di amministratore capitolare dell’Arcidiocesi di Cracovia , nel saggio  dello stesso anno tradotto in italiano  con il titolo Alle fonti del rinnovamento (Rubbettino), dedicato alla definizione di un’ermeneutica del Vaticano II in chiave spirituale e non politica di dialettica fra due fronti interni, riserva un intero capitolo ad esplicitare l’importanza dell’autocoscienza storica del cristiano rispetto al suo agire nel mondo e alla prospettiva escatologica del suo essere, come persona e come Chiesa.

Questi testi – e gli sviluppi critici ad essi collegati – sono per noi punto di partenza e base di rilettura dell’impegno dello storico cristiano nella società contemporanea, intorno al binomio ricerca/verità e alla questione del ruolo della cultura europea nel mondo globalizzato.

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ZENIT Staff

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