Storico ed esemplare. Così i firmatari hanno definito l’Accordo Globale tra Santa Sede e “Stato di Palestina” (espressione apparsa per la prima volta in un documento vaticano), siglato oggi, venerdì 26 giugno, in Vaticano. La notizia della firma era già stata anticipata da una nota della Sala Stampa vaticana, lo scorso 13 maggio, in cui si annunciava che la Commissione aveva dichiarato “conclusi” i negoziati sul testo dell’Accordo globale elaborato sull‘Accordo di base siglato il 15 febbraio 2000. La firma della Santa Sede, oggi, è stata apposta da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati; per lo Stato di Palestina c’era invece Riad Al-Malki, ministro degli Affari Esteri.
Costituito da un Preambolo e da 32 articoli distribuiti in 8 capitoli, l’Accordo riguarda aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa nello Stato di Palestina, e riafferma al contempo il sostegno per una soluzione negoziata e pacifica della situazione nella regione. L’intesa entrerà in vigore una volta che ambo le Parti avranno notificato per iscritto che sono stati soddisfatti i requisiti costituzionali o interni perché l’Accordo entri in vigore.
Più nel dettaglio, nel Preambolo l’Accordo – con un rinvio al vigente diritto internazionale – inquadra alcuni punti chiave, come sottolinea L’Osservatore Romano. Anzitutto l’autodeterminazione del popolo palestinese, poi l’obiettivo della two-State solution, il significato non solo simbolico di Gerusalemme, il suo carattere sacro per ebrei, cristiani e musulmani ed il suo universale valore religioso e culturale come tesoro per tutta l’umanità, gli interessi della Santa Sede in Terra Santa.
Le due Parti indicano nell’intesa un modo per operare, insieme e distintamente, non solo nel definire la condizione della Chiesa cattolica in Palestina ma anche per il bene delle persone e delle istituzioni. L’Accordo, dunque, si propone come strumento concorrente all’obiettivo di una pace “giusta e duratura” che può scaturire solo da un “accordo tra le autorità palestinesi e israeliane”, come si legge nel Preambolo.
Al capitolo II viene invece affrontata la questione della Libertà di religione e di coscienza nelle sue molteplici dimensioni e contenuti. Si spazia quindi dagli effetti civili del matrimonio canonico, alle “facilitazioni consuetudinarie” per i diversi riti, al rispetto delle festività e del diritto dei cristiani impiegati in uffici pubblici di adempiere l’obbligo della messa festiva, fino all’assistenza religiosa per le forze armate, i detenuti, e al diritto dei genitori a impartire ai figli un’educazione “religiosa e morale”. Nel testo, inoltre – rileva ancora L’Osservatore Romano – spicca poi l’esplicito riconoscimento di una “autentica ‘obiezione di coscienza’ quale pratica coerente con il diritto alla libertà di coscienza, credo e religione”.
Nel capitolo III si riconosce poi la personalità giuridica e il diritto di autorganizzazione della Chiesa, in modo da salvaguardarne l’ordine interno. Ad esempio, l’esenzione dei chierici da servizi personali obbligatori incluso quello militare. Si conferma anche la competenza, prevista dall’ordinamento palestinese, dei tribunali ecclesiastici ad esercitare giurisdizione civile. La questione, che trova precisazione nel IV capitolo, riguarda anzitutto materie quali il matrimonio, la filiazione e l’adozione, seguendo lo statuto personale dei cristiani in Terra Santa.
Il capitolo V declina invece la natura e la tipologia dei Luoghi Santi, ponendo il concetto di santità come fonte di obbligazione per le autorità civili chiamate a rispettare su di essi in via esclusiva “autorità e giurisdizione canonica” della Chiesa cattolica. La questione si lega alla libertà di culto e alle necessarie garanzie per i pellegrinaggi e le strutture di accoglienza dei pellegrini. Nel capitolo VI viene garantito il diritto della Chiesa ad operare nel settore educativo, sociale, di assistenza e della comunicazione. Mentre il VII è interamente dedicato alle proprietà ecclesiastiche e al particolare regime fiscale loro applicabile ispirato a criteri funzionali di non imponibilità.
Insomma “una tappa importante nel cammino delle buone relazioni che da tempo esistono felicemente tra le Parti”, come ha sottolineato mons. Gallagher nella cerimonia per la firma. A differenza dell’Accordo sopra menzionato – ha dunque spiegato – quello attuale è un “segno del cammino compiuto dall’Autorità Palestinese negli ultimi anni e soprattutto dell’approvazione internazionale culminata nella risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu, del 29 novembre 2012, che ha riconosciuto la Palestina quale Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite”.
Auspicio del segretario per i Rapporti con gli Stati è perciò che il presente Accordo possa in qualche modo costituire “uno stimolo per porre fine in modo definitivo all’annoso conflitto israeliano-palestinese, che continua a provocare sofferenze ad ambedue le parti”. “Spero – ha aggiunto Gallagher – anche che l’auspicata soluzione dei due Stati divenga realtà quanto prima”, perché “il processo di pace può progredire solo tramite il negoziato diretto tra le Parti con il sostegno della comunità internazionale”. E ciò “richiede certamente decisioni coraggiose, ma anche sarà un grande contributo alla pace e alla stabilità della regione”.
Guardando al complesso contesto mediorientale, “dove in alcuni Paesi i cristiani hanno sofferto persino la persecuzione”, l’arcivescovo evidenzia infine che il testo siglato “offre un buon esempio di dialogo e di collaborazione”, offrendo un modello da seguire per altri Paesi arabi e a maggioranza musulmana.
“Storico” è invece la parola usata dal ministro Al-Malki per definire l’Accordo, il quale – ha detto – è un traguardo che non si sarebbe potuto raggiungere “senza il sostegno e l’impegno personale del presidente Abbas e senza la benedizione di Sua Santità Papa Francesco verso i nostri sforzi al riguardo”.
“L’Accordo è globale”, ha proseguito, “le sue disposizioni abbracciano la visione comune delle due Parti a favore della pace e della giustizia nella regione, la protezione delle libertà fondamentali, lo status e la protezione dei Luoghi Santi, e i mezzi per rafforzare e promuovere la presenza e le attività della Chiesa cattolica nello Stato di Palestina”.
In particolare, Al-Malki ha posto in evidenza il fatto che per la prima volta la Santa Sede include in un suo documento il riconoscimento ufficiale della Palestina come Stato. Un segno, questo, “di riconoscimento del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, alla libertà e dignità in un proprio Stato indipendente libero dalle catene dell’occupazione”.
L’intesa, dunque, “rafforza il nostro legame con disposizioni nuove e senza precedenti connesse con lo status speciale della Palestina quale luogo di nascita del cristianesimo e culla delle religioni monoteiste”, ha soggiunto il politico, incarnando “i nostri valori comuni di libertà, dignità, tolleranza, coesistenza e uguaglianza di tutti”.
Un aspetto non da poco considerando il momento attuale dove “l’estremismo, la violenza barbara e l’ignoranza minacciano il tessuto sociale e l’identità culturale della regione e sicuramente del patrimonio umano”. Proprio in questo scenario, “lo Stato di Palestina reitera il proprio impegno a combattere l’estremismo e a promuovere la tolleranza, la libertà di coscienza e di religione e a salvaguardare nello stesso modo i diritti di tutti i suoi cittadini”, ha assicurato il ministro.
Perché proprio questi sono “i valori e i principi che riflettono le convinzioni e le aspirazioni del popolo palestinese e della sua leadership e sono le basi sulle quali continuiamo a sforzarci di fondare il nostro Stato indipendente e democratico”. p>