“Solo se radicata nella giustizia e nel rispetto della legge l’economia concorre a un autentico sviluppo, che non emargini individui e popoli, si tenga lontano da corruzione e malaffare, e non trascuri di preservare l’ambiente naturale”. Lo ha detto il Papa ricevendo stamane in udienza, in Sala Clementina, i membri della Federazione Nazionale italiana dei Cavalieri del Lavoro.
“È veramente giusto – ha detto il Vescovo di Roma – chi, oltre a rispettare le regole, agisce con coscienza e interesse per il bene di tutti, oltre che per il proprio. È giusto chi si prende a cuore la sorte dei meno avvantaggiati e dei più poveri, chi non si stanca di operare ed è pronto a inventare strade sempre nuove. La pratica della giustizia, in questo senso pieno, è quello che ci auguriamo per ogni operatore economico e per tutti i cittadini”.
Come insegnano infatti “sapientemente i testi biblici”, ha sottolineato, “la pratica della giustizia non si limita all’astensione dalle iniquità o all’osservanza delle leggi (anche se questo già è tanto!), ma va addirittura oltre”.
Bergoglio si è poi soffermato sul tema del lavoro ricordando che, da oltre 100 anni, il conferimento dell’Ordine ‘al Merito del Lavoro’ costituisce “un importante riconoscimento, da parte delle più alte cariche dello Stato, a chi come voi si è distinto nel mondo imprenditoriale ed economico, contribuendo a creare lavoro e a far crescere il valore dei prodotti italiani nel mondo”.
Un’opera “più che mai preziosa”, ha osservato il Pontefice, specie in un tempo come quello attuale che, “a seguito della crisi economico-finanziaria, ha conosciuto una pesante stagnazione e anche una vera recessione, in un contesto sociale già segnato da disuguaglianze e dalla disoccupazione, in particolare quella giovanile”. Quest’ultima, in particolare, è per il Papa “una vera e propria piaga sociale”, che “priva i giovani di un elemento essenziale per la loro realizzazione e il mondo economico dell’apporto delle sue forze più fresche”.
“Il mondo del lavoro dovrebbe essere in attesa di giovani preparati e desiderosi di impegnarsi e di emergere”, ha affermato Bergoglio. Il messaggio che invece è passato in questi anni alle nuove generazioni è “che di loro non c’è bisogno”. E questo “è il sintomo di una disfunzione grave, che non si può attribuire soltanto a cause di livello globale e internazionale”.
Infatti, “il bene comune, fine ultimo del vivere associato, non può essere raggiunto attraverso un mero incremento dei guadagni o della produzione, ma ha come presupposto imprescindibile l’attivo coinvolgimento di tutti i soggetti che compongono il corpo sociale”, ha evidenziato il Santo Padre. E ai presenti ha rammentato che “voi vi siete distinti perché avete osato e rischiato, avete investito idee, energie e capitali, facendoli fruttare, affidando compiti, chiedendo risultati e contribuendo a rendere altri più intraprendenti e collaborativi”.
Questa è, secondo il Pontefice, “la portata sociale del lavoro”, ovvero “la capacità di coinvolgere le persone e affidare responsabilità, in modo da stimolare l’intraprendenza, la creatività, l’impegno”. Solo così – ha assicurato – si potranno “avere effetti positivi sulle nuove generazioni” e far sì “che una società ricominci a guardare avanti, offrendo prospettive e opportunità, e quindi speranze per il futuro”.
Perché come insegna la Dottrina sociale della Chiesa bisogna porre l’essere umano al centro dello sviluppo. Invece, “finché uomini e donne restano passivi o ai margini, il bene comune non può considerarsi pienamente conseguito”.