Cristiani e musulmani, insieme contro la violenza in nome della religione

Il messaggio agli islamici del cardinale Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, per l’inizio del Ramadan e la festa di ‘Id al-Fitr

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Si intitola Cristiani e musulmani: insieme per contrastare la violenza perpetrata in nome della religione, il messaggio inviato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso a tutti i musulmani, in occasione del mese di Ramadan e per la festa di ‘Id al-Fitr. Firmatario del testo è il cardinale Jean-Louis Tauran, il quale, con Papa Francesco, augura ai fedeli islamici “che i frutti del Ramadan e la gioia di ‘Id al-Fitr possano portare pace e prosperità, favorendo la vostra crescita umana e spirituale”. Esprime pure l’auspicio che le “buone opere” compiute nel mese – digiuno, preghiera, elemosina, aiuto ai poveri, visite a parenti ed amici – possano “arricchire” la vita di tutti.

“Per alcuni tra voi – aggiunge poi il porporato – come pure per altri appartenenti a diverse comunità religiose, sulla gioia della festa getta un’ombra il ricordo dei propri cari che hanno perso la vita o i loro beni o sofferto fisicamente, mentalmente e persino spiritualmente a causa della violenza”“Comunità etniche e religiose in numerosi Paesi del mondo – prosegue – hanno patito sofferenze enormi ed ingiuste: l’assassinio di alcuni dei loro membri, la distruzione del loro patrimonio culturale e religioso, emigrazione forzata dalle loro case e città, molestie e stupro delle loro donne, schiavizzazione di alcuni dei loro membri, tratta di esseri umani, commercio di organi, e persino la vendita di cadaveri!”.

Denunciando la gravità di questi crimini, Tauran sottolinea che “ciò che li rende ancora più odiosi è il tentativo di giustificarli in nome della religione”. Si tratta di “una chiara manifestazione della strumentalizzazione della religione per ottenere potere e ricchezza”, afferma, ribadendo a “coloro che hanno la responsabilità della sicurezza e dell’ordine pubblico” l’invito a “proteggere le persone e le loro proprietà dalla cieca violenza dei terroristi”.

D’altro canto, osserva ancora il cardinale, “c’è pure la responsabilità di coloro che hanno il compito dell’educazione: le famiglie, le scuole, i testi scolastici, le guide religiose, il discorso religioso, i media”, perché “la violenza e il terrorismo nascono prima nella mente delle persone deviate, successivamente vengono perpetrate sul campo”. Pertanto, chi è coinvolto nell’educazione dei giovani e nei vari ambiti educativi, dovrebbe insegnare “il carattere sacro della vita e la dignità che ne deriva per ogni persona, indipendentemente dalla sua etnia, religione, cultura, posizione sociale o scelta politica”.

“Non c’è una vita che sia più preziosa di un’altra per motivo della sua appartenenza ad una specifica razza o religione”, afferma infatti il presidente del Dicastero per il Dialogo Interreligioso. “Dunque, nessuno può uccidere. Nessuno può uccidere in nome di Dio; questo sarebbe un doppio crimine: contro Dio e contro la persona stessa. Non può esserci – prosegue – alcuna ambiguità nell’educazione. Il futuro di una persona, di una comunità e dell’intera umanità non può essere costruito su tale ambiguità o verità apparente”.

Per la Santa Sede, quindi, “cristiani e musulmani, ciascuno secondo la rispettiva tradizione religiosa, guardano a Dio e si rapportano a Lui come la Verità. La nostra vita e la nostra condotta in quanto credenti dovrebbero rispecchiare tale convinzione”. Insieme, inoltre, dovrebbero ritrovarsi in una comune preghiera “per la giustizia, per la pace e la sicurezza nel mondo; per coloro che si sono allontanati dal retto cammino della vita e commettono violenza in nome della religione, affinché possano ritornare a Dio e cambiare vita; per i poveri e gli ammalati”, scrive Tauran.

Conclude, quindi, esortando a guardare “con speranza” al futuro dell’umanità, “in particolare quando facciamo del nostro meglio affinché i nostri legittimi sogni diventino realtà”.

 

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ZENIT Staff

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