I giovani del Sud sono i nuovi emigranti. L’84,4% di loro si dichiara, infatti, disposto a trasferirsi ovunque pur di trovare un lavoro. Se le offerte arrivano dall’estero tanto meglio, infatti, oltre il 50% dichiara di essere disposto a trasferirsi stabilmente in un altro paese per migliorare il proprio lavoro. Non è neppure snobbato il resto del nostro paese, infatti, il 34,2% prenderebbe maggiormente in considerazione anche lo spostarsi all’interno della penisola.
È quanto emerge dallo speciale focus sul mondo giovanile meridionale del Rapporto Giovani: indagine promossa ed elaborata a partire da un panel di 5000 giovani tra i 19 e i 32 anni dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo.
Secondo l’indagine inoltre la disponibilità a spostarsi è più alta per chi ha titolo di studio maggiore, questo significa che la mobilità tende ad impoverire non solo quantitativamente ma anche qualitativamente la presenza dei giovani nel territorio di origine. In particolare il 73% di chi ha solo la scuola dell’obbligo è disposto a trasferirsi stabilmente (in Italia o all’estero) contro l’86% dei laureati. Inoltre, solo il 43% di chi ha titolo basso è pronto ad andare all’estero, contro il 52% dei laureati.
La decisione di spostarsi dei giovani del Sud è legata non solo alle minori opportunità di trovare lavoro (la quota di giovani che non studiano e non lavorano è superiore al 35% in molte regioni del Sud contro meno del 20% al Nord), ma anche alla più bassa qualità e soddisfazione per vari aspetti del lavoro svolto (Tabella 2). Chi rimane nel Sud anche trovando lavoro, si trova maggiormente a doversi adattare a svolgere una attività non pienamente in linea con le proprie aspettative.
Se la soddisfazione sull’aspetto relazione è solo leggermente più bassa rispetto al resto del Paese, i divari sulla stabilità del lavoro e sul guadagno sono più marcati. In generale circa un giovane meridionale su tre non è soddisfatto del lavoro che svolge conto uno su quattro nel Nord (Tabella 3). Un motivo per andarsene è anche la bassa fiducia nelle istituzioni e in particolare nella possibilità che la politica locale sia in grado di migliorare le condizioni di vita e lavoro dei cittadini. La fiducia nelle istituzioni locali (comune e regione) è pari al 23% per i giovani italiani in generale, mentre scende al 17% per i giovani del Sud.
“Rispetto alla fiducia nelle proprie capacità e al considerarsi – spiega il prof. Alessandro Rosina, tra i curatori dell’indagine – la principale ricchezza del proprio paese non c’è molta differenza tra giovani meridionali e settentrionali. Oltre il 90% degli intervistati dal “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo è infatti convinto, con omogeneità su tutta la penisola, di essere la risorsa più importante che l’Italia dovrebbe mettere in campo per tornare a crescere. Quello che fa la differenza tra Nord e Sud sono, da una lato, le opportunità di trovare lavoro e la qualità dell’occupazione.
Come è ben noto, è molto più alta la probabilità che finiti gli studi un giovane del Sud non riesca a trovare un lavoro. Se poi un lavoro lo trovano, più spesso nel Sud è di bassa qualità. In particolare pesa l’instabilità e le basse remunerazioni, indicati come aspetti problematici da oltre la metà dei giovani occupati nel meridione. Inoltre maggiore nei ragazzi meridionali è la sfiducia nella classe dirigente locale e nelle prospettive future di miglioramento.
La conseguenza è che per i giovani del Sud risulta molto più drastica la decisione tra rimanere ma doversi accontentare a rivedere al ribasso le proprie aspettative lavorative e i propri obiettivi di vita, o invece andarsene altrove. Solo il 16% è infatti indisponibile a trasferirsi. Se però in passato come destinazione prevaleva il Nord Italia, ora più della metà degli under 30 meridionali punta a un possibile volo direttamente all’estero”.
“A progettare di andarsene – continua Rosina – sono ancor più i laureati e gli studenti, mentre i più rassegnati a rimanere sono i Neet, ovvero i giovani che non studiano e non lavorano. Il rischio è quindi quello di impoverire non solo quantitativamente ma anche qualitativamente la presenza delle nuove generazioni nelle regioni meridionali, andando ad erodere la componente che maggiormente può contribuire alla rinascita del territorio. La sfida è quindi quella di costruire condizioni per rimanere oltre a quelle per riattrarre chi è andato a studiare o a fare esperienze di lavoro al Nord o oltre confine. Molti giovani emigrati sarebbero disposti a tornare anche con opportunità inferiori a quelle che trovano negli altri paesi sviluppati, purché però in presenza di un processo solido e credibile di miglioramento a cui possano contribuire da protagonisti”.