Dalla periferia di Torino alle periferie del mondo

A tre giorni dalla visita del Papa a Valdocco, un salesiano spagnolo racconta: “Il Bicentenario di don Bosco ci spinge a guardare al futuro”

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Il grande viaggio di don Bosco per abbracciare i giovani di tutto il mondo, come è noto, partì dal quartiere di Valdocco, alla periferia di Torino, per giungere alle periferie del mondo: dapprima l’America Latina, poi l’Asia e l’Africa, passando per l’Europa.

Nel vecchio continente è in particolare in Spagna che i salesiani hanno attecchito molto ed è da lì, per la precisione dalla Catalogna, che proviene don Rafael Gasol, 63 anni ben portati, di cui una cinquantina trascorsi a stretto contatto con la congregazione di don Bosco.

Lo scorso agosto don Rafael è stato incaricato dal rettor maggiore, don Angel Fernandez sdb, di gestire l’accoglienza dei pellegrini a Valdocco, nella speciale occasione del Bicentenario della nascita di don Bosco. È proprio nel cortile centrale della “cittadella salesiana” che ZENIT lo ha incontrato, ricevendo la testimonianza di una vocazione vissuta più che mai in simbiosi con il carisma del fondatore: l’attenzione ai giovani, in particolare i più bisognosi.

Don Rafael, a che età lei ha pensato di diventare salesiano?

Sono nato e cresciuto in un piccolo paese a 130 km da Barcellona. A 10 anni ancora non avevo mai sentito parlare di don Bosco, quando poi vinsi una borsa di studio pagata dai salesiani. Quando mi recai per la prima volta in un pensionato salesiano, incontrai giovani seminaristi e coadiutori, tutti intorno ai 18-22 anni, incaricati della nostra formazione che mi colpirono subito per la loro allegria. Ridevano, giocavano con noi, erano persone felici. Un giorno uno di loro mi chiese se volevo farmi anch’io salesiano e la mia risposta fu immediatamente negativa. La mia aspirazione era infatti di diventare calciatore o pilota… Con il passare degli anni, però, mi aprii sempre più a questa possibilità, così a 17 anni feci la mia professione come salesiano. A poco a poco imparai cosa significasse vivere quella vocazione, fare vita di comunità, quale fosse il carisma, chi dovevo servire. Mi capitò qualcosa di simile a quello che capitò a don Bosco: dover decidere che tipo di sacerdote dovevo essere. La vita di salesiano mi ha portato a fare una scelta per i piccoli e i poveri. Ho trascorso molti anni della mia vita in quartieri segnati dall’emarginazione. In seguito ho avuto altri incarichi, anche di coordinamento, ma la cosa più bella per me è essere un salesiano a servizio di coloro che sono in difficoltà per dar loro un segno dell’amore di Dio.

Siamo nel pieno del Bicentenario di don Bosco: cosa significa questa ricorrenza per voi?

Il Bicentenario è per noi un momento per guardare al futuro. Tutto è iniziato qui a Valdocco, oggi siamo in 132 paesi del mondo e in ogni paese bisogna dare una risposta alle necessità dei giovani, in particolare dei più bisognosi. In questo senso il Bicentenario per noi è l’occasione per ripensare – non solo con le idee ma col cuore – quello che farebbe don Bosco per i giovani d’oggi – non solo cattolici – perché tutti hanno bisogno di un futuro. Valdocco è un luogo nato nella povertà ma oggi è una ricchezza per la Chiesa e per i giovani. In questo contesto appare la presenza del Papa che qui incontrerà i rappresentanti degli oratori italiani, della pastorale giovanile, parrocchiani e gente del quartiere. Immagino il Papa ci incoraggerà a continuare il lavoro di don Bosco per il mondo e per i giovani, a portare quanto di più originale c’è nel nostro santo, con la passione per Dio, per i giovani e per il loro futuro.

Questo Bicentenario si intreccia con un altro evento fondamentale per Torino: l’ostensione della Sindone…

L’ostensione della Sindone sta attirando migliaia e migliaia di pellegrini cui abbiamo l’occasione di raccontare il nostro don Bosco, spiegare perché è un grande della storia d’Italia, del mondo e della Chiesa. Dobbiamo ringraziare l’arcivescovo per aver pensato a un’ostensione così di così lunga durata, che permetterà che tantissima gente, conosca meglio don Bosco. Per me la Sindone non è un motivo fondamentale di fede, tuttavia quello che questa reliquia mi dice è che dobbiamo trovare Cristo nei piccoli, nei poveri e nella gente senza futuro. In questo senso per me, salesiano, il collegamento del Bicentenario con la Sindone è qualcosa di molto bello perché mi porta a stare a contatto con i giovani più poveri di qualsiasi parte del mondo.

Voi salesiani avete sempre avuto una forte vocazione missionaria: come si declina oggi questo aspetto del vostro carisma?

La missione salesiana inizia in Europa, poi passa in America, a partire dall’Argentina nel 1875. Un secondo momento importante fu l’avvio delle missioni in Asia, all’inizio del XX secolo, poi intorno al 1980, i salesiani arrivano in Africa. Anche le missioni sono frutto dei sogni mistici di don Bosco, l’ultimo dei quali avvenne nel 1886 a Barcellona, quando gli apparve che, dal Cile a Pechino, passando per l’Africa centrale, ovunque vi erano luoghi dove si formavano i missionari. E così 132 paesi del mondo hanno assorbito l’esperienza iniziata qui in Piemonte. Oggi i salesiani continuano a lavorare soprattutto nel settore educativo, che comprende scuola, università, formazione professionale, mondo del lavoro. Veniamo a contatto con ragazzi vittime delle guerre, della prostituzione, ragazzi di strada, ecc. Al tempo stesso attraverso le università, creiamo cultura e visione del futuro. È curioso notare come le nostre università in India o in altri paesi asiatici formano giovani in gran parte non cattolici, induisti e musulmani in particolare.

A questo proposito: come vivono i salesiani la realtà del dialogo interreligioso?

Ai suoi primi missionari don Bosco fece due raccomandazioni molto importanti: 1) diffondere ovunque la devozione a Maria Ausiliatrice; 2) aiutare i figli dei poveri. Tra i figli dei poveri c’è anche molta gente non cattolica: ciò significa che i salesiani sono lì per loro! Un carissimo amico che ha visitato un paese musulmano, mi raccontò di avervi trovato due soli cattolici: don Bosco e lui… tutti gli altri, educatori compresi, erano musulmani ed erano i migliori imitatori di don Bosco, coloro che meglio parlavano del sistema preventivo. Don Bosco è molto apprezzato dalle altre religioni. Pare che anche Mao Tse-Tung dicesse: “Rispettate sempre il compagno Giovanni Bosco, è sempre vicino ai figli dei poveri”.

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Luca Marcolivio

Roma, Italia Laurea in Scienze Politiche. Diploma di Specializzazione in Giornalismo. La Provincia Pavese. Radiocor - Il Sole 24 Ore. Il Giornale di Ostia. Ostia Oggi. Ostia Città (direttore). Eur Oggi. Messa e Meditazione. Sacerdos. Destra Italiana. Corrispondenza Romana. Radici Cristiane. Agenzia Sanitaria Italiana. L'Ottimista (direttore). Santini da Collezione (Hachette). I Santini della Madonna di Lourdes (McKay). Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato (Vallecchi).

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