"La morte di un figlio, voragine che inghiotte passato e futuro. Ma la fede è più forte"

In una commovente catechesi sui lutti in famiglia, il Papa, nell’Udienza generale, ricorda che “la morte non ha l’ultima parola” e che la fede ci impedisce di cadere “nel vuoto più buio”

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È irrorata di lacrime la catechesi che Papa Francesco pronuncia nell’Udienza generale di oggi, in piazza San Pietro. Le lacrime di chi, in famiglia, ha subito il lutto di una persona cara: un parente, i genitori, il marito, la moglie o il proprio figlio. Forse il dolore più “devastante”, quest’ultimo, che – dice il Papa – sembra aprire “una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro”.

Ma “ogni lacrima verrà asciugata” grazie alla fede, assicura Francesco: essa restituisce la speranza e squarcia l’inesorabile buio che annienta chi patisce una scomparsa. È quello che accade alla vedova di Naim, presentata dal Vangelo di oggi, che vede morire il suo unico figlio, riportato poi in vita da Cristo che lo restituisce alle braccia di sua madre.

“Una scena molto commovente” che “ci mostra la compassione di Gesù per chi soffre” e “anche la potenza di Gesù sulla morte”, dice il Santo Padre ai fedeli presenti nella piazza, commossi dal ricordo di un lutto subìto. Perché “la morte è un’esperienza che riguarda tutte le famiglie, senza eccezione alcuna”, sottolinea. Essa “fa parte della vita; eppure, quando tocca gli affetti familiari, la morte non riesce mai ad apparirci naturale”.

Particolarmente “straziante” per i genitori – riprende il Papa – “è sopravvivere ai propri figli”, qualcosa “che contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa”. “La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo”; “uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere. Tante volte vengono a messa a Santa Marta genitori con la foto di un figlio, di una figlia, bambino, ragazzo, ragazza, e mi dicono: ‘Se n’è andata’. E lo sguardo è tanto addolorato. La morte tocca e quando è un figlio tocca profondamente”.

Parimenti acuto è il dolore che “patisce anche il bambino che rimane solo, per la perdita di un genitore, o di entrambi”, evidenzia Bergoglio. “Quella domanda… ‘Ma dov’è papà? Dov’è mamma?’… Questa domanda che copre un’angoscia nel cuore del bambino o la bambina. Rimane solo. Il vuoto dell’abbandono che si apre dentro di lui è tanto più angosciante per il fatto che non ha neppure l’esperienza sufficiente per “dare un nome” a quello che è accaduto. ‘Quando torna papà? Quando torna mamma?’. Cosa si risponde? E il bambino soffre”.

Il morire di un proprio caro è dunque un “buco nero” che si apre nella vita delle famiglie, a cui il più delle volte “non sappiamo dare alcuna spiegazione”, se non, talvolta, quella di “dare la colpa a Dio”. “Io li capisco – commenta il Papa a braccio – chi si arrabbia con Dio, bestemmia… ‘Perché mi hai tolto il figlio, la figlia? Ma Dio non c’è, Dio non esiste! Perché ha fatto questo?’…”.

Il fatto è – spiega il Papa – che “la morte fisica ha dei ‘complici’”, che sono anche “peggiori di lei” e che la rendono “ancora più dolorosa e ingiusta”. Sono “odio, invidia, superbia, avarizia”, davanti ai quali “gli affetti familiari appaiono come le vittime predestinate e inermi di queste potenze ausiliarie della morte, che accompagnano la storia dell’uomo”.

“Pensiamo all’assurda ‘normalità’ con la quale, in certi momenti e in certi luoghi, gli eventi che aggiungono orrore alla morte sono provocati dall’odio e dall’indifferenza di altri esseri umani. Il Signore ci liberi dall’abituarci a questo!”, afferma Bergoglio a braccio.

Prosegue poi volgendo la catechesi in positivo, tingendola cioè della speranza che dona la fede, più forte della stessa morte. “La morte non ha l’ultima parola”, grida infatti il Santo Padre, e tutte le volte “che la famiglia nel lutto – anche terribile – trova la forza di custodire la fede e l’amore che ci uniscono a coloro che amiamo, essa impedisce già ora, alla morte, di prendersi tutto”.

Pertanto, “il buio della morte va affrontato con un più intenso lavoro di amore”. “Noi possiamo togliere alla morte il suo ‘pungiglione’, come diceva l’apostolo Paolo; possiamo impedirle di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio”, assicura Francesco. E con la fede – insiste – “possiamo consolarci l’un l’altro, sapendo che il Signore ha vinto la morte una volta per tutte”.

Dunque possiamo esserne certi: “I nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla; la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio”, ribadisce il Pontefice. Inoltre, “se ci lasciamo sostenere da questa fede, l’esperienza del lutto può generare una più forte solidarietà dei legami familiari, una nuova apertura al dolore delle altre famiglie, una nuova fraternità con le famiglie che nascono e rinascono nella speranza”.

Bergoglio cita quindi le parole di Benedetto XVI sulla fede, la quale – diceva il Papa emerito – “ci protegge dalla visione nichilista della morte, come pure dalle false consolazioni del mondo, così che la verità cristiana ‘non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere, cedendo ai riti della superstizione, antica o moderna”.

A braccio aggiunge poi che “non si deve negare il diritto al pianto”: “Dobbiamo piangere nel lutto!”, come Gesù che ‘scoppiò in pianto’ per il grave lutto di una famiglia che amava. Anche, sottolinea il Pontefice, “possiamo attingere dalla testimonianza semplice e forte di tante famiglie che hanno saputo cogliere, nel durissimo passaggio della morte, anche il sicuro passaggio del Signore, crocifisso e risorto, con la sua irrevocabile promessa di risurrezione dei morti”.

“Il lavoro dell’amore di Dio è più forte del lavoro della morte”, rimarca il Santo Padre. E proprio di quell’amore “dobbiamo farci ‘complici’ operosi, con la nostra fede”, non dimenticando il gesto di Cristo che “lo restituì a sua madre”. “Così – assicura Papa Francesco – farà con tutti i nostri cari e con noi quando ci incontreremo, quando la morte sarà definitivamente sconfitta in noi. Lei è sconfitta dalla croce di Gesù. Gesù ci restituirà in famiglia a tutti”.

 

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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