“La speranza è l’ultima a morire, ma fra la gente regna un sentimento diffuso di scetticismo e vi sono poche possibilità che la missione questa volta abbia successo”. È quanto riferisce ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, commentando l’arrivo ieri a Damasco dell’inviato speciale Onu per la Siria, Staffan de Mistura.
L’alto funzionario delle Nazioni Unite è chiamato alla difficile impresa di rilanciare i colloqui di pace per mettere fine a un conflitto giunto ormai al quinto anno. Già in passato aveva sottoposto alle parti un piano per il cessate il fuoco ad Aleppo, respinto però dalle fazioni ribelli – divise al loro interno – che non hanno mai saputo trovare una linea unitaria per il confronto con Onu e governo siriano. Ed è proprio la frammentazione del fronte anti-Assad, composto da movimenti radicali islamici, gruppi jihadisti vicini allo Stato islamico, cellule locali di al Qaeda e militanti anti-governativi, uno dei principali ostacoli al raggiungimento di un piano di pace.
“Davvero noi speriamo che vi sia una svolta positiva”, dice mons. Khazen, nonostante la situazione sul campo “non è migliorata”: “Oggi come un anno fa non vi è un fronte unito”. Rientrato oggi ad Aleppo dopo una visita pastorale nella regione costiera, il vicario apostolico avverte che quanti comandano e decidono le sorti della guerra, se continuare a combattere “non sono affatto siriani e, di conseguenza, non hanno alcun interesse alla pace”.
Secondo il vescovo, inoltre, l’Occidente e le potenze regionali del mondo arabo e mediorientale “devono smetterla di fornire armi, addestramento e sostegno” logistico e finanziario. “Siamo al cospetto – afferma – di una spirale di violenza senza fine, con soldati governativi da un lato sfiancati da quattro anni di conflitto e un fronte opposto in cui subentrano centinaia di combattenti nuovi ogni mese”.
Per questo il vicario di Aleppo rilancia l’appello che stiamo lanciando da tempo: basta guerra, basta armi, bisogna lavorare per la pace e la riconciliazione. Non fomentate la guerra fra noi, interrompete il flusso di armi e combattenti. Servono pressioni diplomatiche, non militari perché si possa fermare il conflitto e si trovi una via reale e concreta per la pace”.
Tuttavia il prelato ci tiene a precisare che, nonostante la guerra e le difficoltà, il lavoro pastorale continua “e in questi giorni abbiamo tenuto incontri e riunioni con suore, sacerdoti e laici per l’Anno della vita consacrata”. “La nostra missione – aggiunge – è anche quella di cercare di continuare l’attività pastorale, sostenere il lavoro di tanta gente, star loro vicino anche e soprattutto in questi tempi difficili”.
Intanto ad Aleppo si continua a combattere e a morire. È di almeno 34 persone uccise il bilancio – tuttora provvisorio – dell’attacco sferrato ieri dalle fazioni ribelli siriane contro il sobborgo occidentale di Aleppo, fedele al presidente Bashar al-Assad. Secondo quanto riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione con base a Londra, i gruppi combattenti hanno lanciato almeno 300 razzi, provocando la morte di diversi civili fra cui 12 bambini. Tuttavia, testimoni oculari riferiscono che il numero è destinato a salire perché vi sono quasi 200 feriti, molti dei quali in condizioni gravi.