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Il comandamento del giornalista: non adulterare la verità

A Noto un seminario sulla deontologia della comunicazione alla luce del magistero di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco

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Parole forti e incisive quelle usate dal Vescovo di Noto, mons. Antonio Staglianò, delegato regionale della Conferenza Episcopale Siciliana per le comunicazioni sociali, durante la lezione di un corso di formazione per giornalisti, promosso dall’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana), tenutosi sabato 13 giugno, presso il seminario di Noto.

L’incontro, che ha assegnato ai giornalisti presenti i crediti professionali, è stato introdotto da Salvo di Salvo, presidente dell’Ucsi di Siracusa, con la partecipazione del consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Santo Gallo, il quale in apertura ha dato lettura di un documento che mette in evidenza il particolare momento di difficoltà della professione del giornalista.

Nel corso del dibattito è intervenuto anche il dott. Pino Malandrino, direttore di Vita Diocesana, periodico della diocesi di Noto.

La deontologia professionale del giornalista implica un dovere fondato sull’essere, ma nella società di oggi, che mette in dubbio l’affermazione dell’essere, perché prevale il nichilismo, impera il relativismo e si canta il “vuoto a perdere”, diventa difficile sostenere e ricercare la verità dell’essere e delle cose.

L’attenzione verso l’umano dell’uomo è la regola, il traguardo e l’ideale del giornalista, che dà voce alla notizia vera e si rende comunicatore non solo di belle parole, ma di idee e di azioni che promuovono il bene comune.

Nella società dell’ipermercato che esalta il consumo, che chiude la persona nel bunker della solitudine, in compagnia degli strumenti tecnologici che gli consentono persino di comprare e di spendere, senza uscire da casa, di consumare tempo ed energie utilizzando le dita e non sempre la testa, si constata che ciascuno crede di giocare la propria partita a scacchi, senza regole, fingendo di giocare una vera partita, quasi una consolidata finzione che rievoca il verso leopardiano “io nel pensier mi fingo”.

L’essere in comunicazione, qualità sostanziale e dato fondamentale e costitutivo dell’uomo, oggi si presenta, infatti, come una finzione che mostra tante persone formalmente “connesse” ma “non in comunicazione”, come la parabola del fico di cui parla il Vangelo, che aveva tante foglie e non dava frutti (cfr. Lc 13,6-9).

Le caratteristiche della comunicazione – scambio d’interiorità, dialogo, gratuità – restano soltanto delle artificiose espressioni se non si cerca alla radice l’essenza dell’uomo che, nella sua vocazione globale, è un “essere spirituale” impegnato nella ricerca e nel servizio della verità.

Facendo riferimento alla primaria traduzione del VI comandamento “Non adulterare”, tradotto poi in “Non commettere adulterio” e interpretato come “Non commettere atti impuri”, il Vescovo ha sollecitato i giornalisti a “non adulterare la verità” che sostanza la notizia, non svendersi per seguire gli indirizzi del momento o del padrone e non addomesticare le notizie alle regole del partito o della corrente vincente o della moda.

L’attenzione alla verità dell’uomo, centrata sull’umano non può essere adulterata con altre pseudo-verità, salutate come segni del progresso e della civiltà, e spesso in contrasto con i principi e con valori della natura umana.

La natura comunicativa della Chiesa che ha il mandato di “annunciare il Vangelo” ha avuto negli ultimi decenni degli esempi mirabili di “comunicatori” a cominciare da San Giovanni Paolo II, che ha saputo valorizzare i “segni del progresso” e ha tracciato l’orizzonte dall’autentica deontologia nella fruizione dei moderni mezzi di comunicazione, fondati sui “criteri supremi della verità e della giustizia”. La partecipazione corresponsabile e il dialogo rendono tali mezzi “veicoli di reciproca conoscenza di solidarietà e di pace”, “risorsa positiva potente se messi a servizio della comprensione tra i popoli; un’arma distruttiva, se usati per alimentare ingiustizie e conflitti”.

Papa Benedetto XVI ha ben evidenziato le ambiguità dei media, espressione dell’ambiguità del progresso che offre “inedite possibilità per il bene ma apre al tempo stesso possibilità abissali di male”. La dittatura culturale svilisce le potenzialità del pensiero e la strada da seguire è un “recupero del dato antropologico della sacralità dell’uomo” e dell’umano.

La comunicazione autentica è ritmata da parola e silenzio, ascolto e discernimento, sentiero e guida nel cammino dell’evangelizzazione.

Per papa Francesco la comunicazione diventa “incontro”, accoglienza, luogo dell’abitare umano, risposta alla cultura dello scarto, facendo riferimento alla verità che si alimenta con la bellezza della carità.

La semplicità del linguaggio immediato e diretto di Papa Francesco, i suoi “sermoni umili”, evidenziano, afferma mons. Staglianò, “una mistica della comunicazione” che si trasforma in una vera esperienza di fraternità.

Nella babele della comunicazione che oggi pervade l’etere si registra pur sempre una negativa azione di scarto nei confronti di coloro che restano esclusi dal circuito e non entrano a far parte della rete.

 Agli “scartati dalla comunicazione”, il giornalismo cattolico dovrebbe essere in grado di dare risposta e attenzione.

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Giuseppe Adernò

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