Il salesiano monsignor Carlos Filipe Ximenes Belo è l’unico vescovo cattolico vivente che è anche Premio Nobel per la Pace. Nel 1996 ha ricevuto il Nobel insieme a José Ramos-Horta, per l’impegno pacifico a favore dell’indipendenza del suo paese, liberandolo dall’occupazione delle truppe indonesiane.
Nato a Dili, nell’Isola di Timor, il 3 febbraio 1948, da una famiglia di contadini, Belo ha iniziato ad interessarsi di questioni religiose in tenera età, ed è stato ordinato sacerdote nel 1981.Prima di essere ordinato sacerdote in Portogallo ha studiato Teologia all’Istituto Superiore di Studi Teologici di Lisbona e poi alla Pntificia Università Salesiana di Roma, dove è stato anche docente. È ritornato a Timor Est nel 1981 come direttore dell’Università di Fatumaca e due anni dopo è stato nominato coordinatore apostolico di Dili.
Ximenes Belo, ha apertamente denunciato la brutale occupazione indonesiana. Gli occupanti hanno risposto mettendo Belo sotto stretta sorveglianza, ma il vescovo ha respinto le intimidazioni e le minacce morte, continuando a professare la non violenza ed il rispetto della libertà e dei diritti umani. Nel 1987 le autorità hanno compiuto un sanguinoso massacro per reprimere le opposizioni. Circa 200.000 timoresi sono stati uccisi. Monsignor Ximenes Belo è riuscito a portare due testimoni oculari alla Commissione per i Diritti Umani di Ginevra. I due testimoni hanno descritto alla Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani come, dove e quando sono state effettuate le brutali e sanguinose violazioni.
Nel 1988 è stato consacrato vescovo di Lorium. Nel 1989 ha scritto al Segretario generale delle Nazioni Unite per denunciare la situazione nel Timor orientale: “Stiamo morendo come gente e come nazione”. Nella motivazione per l’assegnazione del Premio Nobel per la pace del 1996, il presidente del Comitato Nobel ha spiegato che monsignor Belo è diventato “molto più di un mediatore: quest’uomo di pace è diventato un punto di incontro per la sua gente provata dalle difficoltà, un rappresentante della loro speranza per un futuro migliore”.
Per gravi problemi di salute Monsignor Ximenes Belo nel 2002 si è ritirato in Portogallo. Dopo essersi ristabilito, il vescovo salesiano ha accettato l’invito della Santa Sede a dirigere una missione nell’arcidiocesi di Maputo, in Mozambico. In occasione del 200° anniversario della nascita di San Giovanni Bosco, ZENIT ha intervistato il presule.
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Come ha conosciuto don Bosco? E quale aspetto della storia e della vita del Santo l’ha più colpita?
Quello che più mi ha colpito è la condizione di orfano che don Bosco ha vissuto. E poi il suo intenso spirito di preghiera in famiglia, la catechesi brillante che ha trasmesso ai suoi compagni, la volontà di ferro che ha mostrato e l’allegria con cui contagiava i giovani e le persone che l’ascoltavano. Inoltre la determinazione con cui si è impegnato a trovare le risorse necessarie per pagare la scuola ai più poveri, educandoli e trovandogli anche il lavoro. Mi ha colpito anche l’umiltà di don Bosco, quando ha dovuto frequentare lezioni con studenti più piccoli di lui. La prima volta che ho sentito parlare di lui è stato nel 1961, quando ero al Collegio di Santa Teresa di Gesù Bambino a Ossu (Timor Est). Dopo la Santa Messa alle 6, l’insegnante ci ha letto la biografia di Don Bosco.
Qual è lo specifico del carisma salesiano? E come si riflette nella sua missione?
L’aspetto più tipico e speciale nel carisma salesiano è l’ottimismo e la vicinanza agli adolescenti e ai giovani. Nel mio ministero sacerdotale ed episcopale a Timor Est, ho cercato di dedicare particolare attenzione alla formazione umana, morale e spirituale dei giovani timoresi.
Può condividere con i nostri lettori la sua esperienza di vescovo a Timor Est fino al 2003 e la sua missione dopo tale termine. In che modo l’esempio di Don Bosco l’ha aiutata? E da quanto tempo è in Africa?
Il ministero sacerdotale ed episcopale da me esercitato a Timor Est tra il 1983 e il 2002 è stato per servire la Chiesa e il popolo. Erano anni difficili nella storia di Timor Est, perché la nostra terra è stata occupata dalle forze armate indonesiane. Non c’era libertà di opinione, di associazione, di movimento. Timor Est sembrava una grande prigione. Ho cercato di seguire l’esempio di San Giovanni Bosco e di essere ottimista di fronte alle difficoltà. Ho cercato di essere vicino alla gente, spesso visitando le città e parrocchie. Ho cercato anche di svolgere incontri con le famiglie, con i catechisti, con gli insegnanti, con le scuole e con i giovani studenti. Era un momento triste soprattutto per i giovani. Pertanto, nelle loro canzoni esprimevano rammarico, sottolineavano la tristezza e la sofferenza. Li ho invitati a alzare gli occhi, chiamandoli alla gioia, alla speranza e, soprattutto, alla fede in Dio, che è il Signore della storia. Nel 2004 sono andato in Mozambico, dove mi sono fermato solo per un anno, lavorando nella parrocchia di Jardim, alla periferia di Maputo. A causa della malattia che mi ha colpito, ho deciso di venire in Portogallo per curarmi e sono rimasto qui. In Portogallo, oltre a scrivere libri, in cui racconto della Chiesa a Timor Est, visito le scuole per discutere i temi della pace, dei diritti umani, della riconciliazione, del dialogo, della tolleranza, della cittadinanza e dei valori.
Può raccontarci qualcosa della sua missione a Timor Est? Ricordo ancora quando la scuola salesiana di Dili fu trasformata in un campo profughi dopo la prima crisi nazionale…
È dal 1946 che i Salesiani sono a Timor Est. Abbiamo sviluppato una serie di azioni nell’istruzione, nella formazione, nel lavoro missionario, nell’azione sociale esercitata nei villaggi. L’opera salesiana è caratterizzata da un’istruzione di qualità per migliaia di giovani di Timor, alcuni dei quali oggi sono membri del governo di Timor Est e del Parlamento nazionale, e altri agiscono come sacerdoti o laici, tutti uniti nel servizio alla Chiesa locale e alla società.
In che modo il carisma e gli insegnamenti di Don Bosco possono contribuire al mondo nel nostro tempo?
Ancora oggi don Bosco può contribuire al bene del mondo con un progetto per salvare le anime, i giovani e le classi popolari, dando loro la formazione, un lavoro e il pane… Così facendo si può fare in modo che i giovani del XXI secolo saranno “buoni cristiani e buoni cittadini”.