C’è una identità cristiana concreta, basata sulla fede che Dio imprime come un sigillo nei fedeli e che include anche il peccato. E c’è una religione “un po’ soft”, un po’ “annacquata”, campata “sull’aria”, praticata da “quelli che sempre hanno bisogno di novità”. Tutti coloro cioè che hanno “dimenticato di esser stati scelti, unti” dal Signore e che invece cercano “i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna manderà alle 4 del pomeriggio”. E “vivono di questo”.
“Questa non è identità cristiana”, perché “l’ultima parola di Dio si chiama ‘Gesù’ e niente di più”. Nella Messa a Santa Marta di oggi, Francesco parla implicitamente ma abbastanza chiaramente per ricordare a tutti i cristiani quale sia la loro vera essenza e quale la strada giusta da seguire.
Una strada che parte dalla “ambiguità” e si conclude nella “vera identità”. La strada, cioè, preparata da Dio per il suo popolo: “un lungo cammino di storia” che trova il culmine nell’arrivo del Suo Figlio. “Anche noi dobbiamo fare nella nostra vita un lungo cammino, perché questa identità cristiana sia forte” così da poterne dare “testimonianza”, dice il Papa.
In questo cammino, tuttavia, si può anche crollare: “È vero, c’è il peccato, e il peccato ci fa cadere”, sottolinea, ma “noi abbiamo la forza del Signore per alzarci e andare con la nostra identità”. Anche perché il peccato stesso “è parte della nostra identità: siamo peccatori, ma peccatori con la fede in Gesù Cristo”. “E non è soltanto una fede di conoscenza, no!”, rimarca il Santo Padre, bensì “una fede che è un dono di Dio e che è entrata in noi da Dio. È Dio stesso che ci conferma in Cristo. E ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo, ci ha dato la caparra, il pegno dello Spirito nei nostri cuori. È Dio che ci dà questo dono dell’identità”.
Bisogna pertanto essere “fedele” ad essa e “lasciare che lo Spirito Santo, che è proprio la garanzia, il pegno nel nostro cuore, ci porti avanti nella vita”. I cristiani non sono infatti “persone che vanno dietro ad una filosofia”: “Siamo unti” e “abbiamo la garanzia dello Spirito”, evidenzia il Pontefice. Tutto ciò “si fa vedere nella testimonianza”: per questo Gesù parla della testimonianza “come il linguaggio della nostra identità cristiana”. Il rischio, però, è che questa identità così “bella” sia “tentata” – perché noi siamo peccatori” e “le tentazioni vengono sempre” – fino a “indebolirsi e perdersi”.
Due vie, secondo Papa Francesco, sono particolarmente pericolose: “Prima – spiega – quella del passare dalla testimonianza alle idee, annacquare la testimonianza. ‘Eh sì, sono cristiano. Il cristianesimo è questo, una bella idea. Io prego Dio’”. E così, “dal Cristo concreto”, passiamo a “queste spiritualità cristiane un po’ eteree”, a una “religione un po’ soft, sull’aria e sulla strada degli gnostici”. Una religione che vuole evitare “lo scandalo” che è insito a questa identità cristiana, che dice: “No, no, senza scandalo”. Ciò equivale, di fatto, a rifiutare la croce che “è uno scandalo”, afferma il Pontefice.
Mette in guardia quindi da un altro atteggiamento che è quello di chi cerca sempre qualcosa di nuovo, di chi trascura il fatto che ha “la garanzia dello Spirito” preferendo invece cercare i veggenti ‘a orario’. Percorrendo queste due vie prima o poi si cade in un burrone ancora più profondo: la mondanità. “Allargare tanto la coscienza che lì c’entra tutto”, avverte Bergoglio, “sì, noi siamo cristiani, ma questo sì…’ Non solo moralmente, ma anche umanamente. La mondanità è umana. E così il sale perde il sapore. E vediamo comunità cristiane, anche cristiani, che si dicono cristiani, ma non possono e non sanno dare testimonianza di Gesù Cristo”.
Con questo “nominalismo mondano” il risultato è uno solo: “l’identità va indietro, indietro e si perde”. Allora rivolgiamoci a Dio che, nella storia della salvezza, “con la sua pazienza di Padre, ci ha portato dall’ambiguità alla certezza, alla concretezza dell’incarnazione e la morte redentrice del suo Figlio”. Chiediamogli – esorta il Santo Padre – che sempre ci dia “questo regalo”, questa “grazia”, questo “dono” di un’identità “che non cerca di adattarsi alle cose” fino “a perdere il sapore del sale”.